«Ogni confessione equivale a ciò che nell’arte è un ritratto del quale non si dice “è un documento” ma si parla di “immagine”. Un’immagine che evoca il lato fantastico della realtà. Creare il mondo non secondo le leggi della verosimiglianza quotidiana, ma “a nostra immagine e somiglianza”». Così, citando quanto scrive Svetlana Aleksieviĉ negli appunti di lavoro preliminari al suo Ragazzi di zinco (e/o, 2003), Claudio Panzavolta ci spiega il metodo di lavoro che l’ha guidato nella costruzione di questo suo nuovo romanzo. Al passato si torna da lontano. Una storia italiana ha per oggetto la storia dei sentimenti, quella speciale storia che sta alla base della sua omonima con la esse maiuscola. Tutto parte da registrazioni, una lunga intervista a puntate, che l’autore ha fatto alla nonna materna, recuperando i suoi ricordi che iniziano nel 1944 e si dipanano lungo gli anni del secondo dopoguerra fino al 1963, in pieno boom economico.
Un passato che ritorna con un’accurata ricerca
Accanto a una documentazione scrupolosa – che nel libro trova spazio nella citazione, all’inizio di alcuni capitoli narrati in terza persona, anche di articoli di giornali d’epoca – l’autore ha affiancato l’invenzione, pur mantenendosi fedelissimo al contesto storico in cui si muovono i suoi personaggi.
Il romanzo
Si tratta di un romanzo corale che ha però per protagonista assoluta Anita, una donna forte e determinata. La conosciamo bambina, la vediamo assistere alla crudeltà fascista che segnerà per sempre la sua vita (la madre, Teresa e lo zio partigiano, Checco, vengono barbaramente assassinati dal federale del paese), siamo con lei nella sua vendetta trasversale, la vendetta di una bambina che non riesce a prevedere gli esiti del suo gesto, una vendetta che però non la ripagherà di tanta sofferenza.
Il passato di Anita
Sono 18 i capitoli che riportano i ricordi di Anita, ci restituiscono la sua voce, ci raccontano la sua infanzia a Brisighella, la giovinezza e la maturità a Faenza, il suo percorso di vita, la conquista dell’autonomia attraverso il lavoro, la scoperta dell’amore, l’impegno sociale e politico, la ricostruzione di un’Italia distrutta dalla guerra e dalle lacerazioni che questa ha portato anche nelle relazioni tra le persone.
Panzavolta e le immagini
La narrazione è intima, arricchita da fotografie d’epoca che ci restituiscono l’atmosfera di quegli anni, difficili ma per certi versi esaltanti.
Panzavolta per restituirci questo mondo ha lavorato moltissimo, alla base del romanzo c’è una profonda ricerca delle fonti che gli hanno permesso di rendere la sua storia familiare, naturalmente trasfigurata, la storia di tutti noi che siamo in qualche modo figli di quegli eventi e ne portiamo ancora addosso le tracce, le ferite mai del tutto rimarginate.
Molto forti sono le pagine che descrivono il ritorno dei soldati a guerra conclusa, gli incontri e gli scontri lungo la strada per tornare a casa, momenti densi di violenza, ma anche di fuggevoli rifugi nel sesso consumato durante un bombardamento, desiderio quasi inconsapevole ma incontrollabile, di vita, di rinascita.
Ai capitoli in prima e terza persona si aggiungono, con un’idea molto originale, alcune mappe, percorsi di un personaggio secondario, Ersilia, che va in città, i suoi piccoli spostamenti, momenti di vita, di quotidianità, fermati sulla pagina anche con la modalità della grafica.
Perchè Anita e perchè il suo passato spiccano
Tra i vari personaggi, spiccano quelli della famiglia di Anita, diventata una donna alla continua ricerca di giustizia attraverso le battaglie per l’emancipazione femminile e i dibattiti all’interno della sinistra italiana. La zia Ada, che farà da madre alle due orfane; la sorella Edda, più schiva e tradizionale; il padre Armando, che, tornato dalla prigionia, nel dopoguerra viaggia per lavoro tra Grecia, Turchia e Nord Africa; Renzo, l’unico e grande amore, marito e compagno di Anita (memorabili le pagine del loro viaggio di nozze in Unione Sovietica). Su tutti emerge però una figura straordinaria, un ingresso sorprendente: Chet Baker, che si ritrova a Faenza nel momento più problematico della sua vita e della sua carriera artistica, segnato dall’alcolismo e dalla dipendenza dalla droga, una presenza che aggiunge alla narrazione il ritmo del jazz.
Il titolo
Per venire al titolo di questo bel romanzo, Al passato si torna da lontano, è molto significativo che l’autore abbia voluto mettere insieme i due concetti di tempo e di spazio, lasciandoci intuire che per chiudere i conti di quanto ci è accaduto nella vita è necessario affrontare le questioni aperte, anche se fa male, anche se ci costa una fatica e un coraggio enormi. Ed è quello che faranno sia Anita che suo padre: chiudere il cerchio, costi quel che costi.
In conclusione, una nota a parte va fatta alla scrittura di Panzavolta: ha usato una lingua ricca, colta ma non stucchevole, musicale e raffinata senza esibizionismo, un bell’italiano che siamo invitati a riscoprire in tutte le sue sfumature, le sue potenzialità, alle volte anche con il dizionario alla mano. E anche per questo mi sento, in particolare, di ringraziarlo.