Chi segue con attenzione le recensioni letterarie pubblicate da éNordEst, sicuramente ricorderà la parola “bisnente”, utilizzata da Antonella Benvenuti nel suo romanzo I principi di Venezia (Padova, Linea edizioni, 2022) e riferita all’assassino di Giovanni Stucky, Giovanni Vincenzo Bruniera (https://www.enordest.it/2022/08/07/i-principi-di-venezia-e-la-loro-tragica-fine/) . Con questa parola, che significa “due volte niente”, si indicavano i più poveri tra i poveri, e a molti di essi, verso la fine dell’800 non rimaneva altro modo per sopravvivere e sfuggire alla miseria più nera che emigrare nelle Americhe. Così aveva fatto, senza incontrare fortuna Bruniera, così farà il protagonista del romanzo di Paolo Malaguti, Piero fa la Merica ( Torino, Einaudi, 2023) insieme alla sua famiglia che vive di stenti ai margini del bosco del Montello e parte per il Brasile.
Piero e la sua “Merica”
Piero dei Gevori ha quindici anni e la sua avventura comincia quando “i siori” Pisani, proprietari della villa e della proprietà su cui sorge la baracca dove abita, decidono di venderla determinando da parte dei nuovi “paroni” lo sfratto immediato.
La madre e i fratelli più piccoli trovano ospitalità da uno zio, lui parte con il padre, il fratello Tonìn e la sorella Lina per un viaggio lungo e rocambolesco, prima in treno, fino a Genova, poi in nave fino a San Paolo e poi a Rio Pardo per attraversare infine a piedi la grande foresta del “mato” per raggiungere il luogo che dovrà diventare una nuova colonia.
La narrazione procede in terza persona, ma il punto di vista è quello di Piero, e il lettore si trova proiettato in territori sconosciuti osservati dai suoi occhi stupiti e spesso spaventati. A casa Piero ha lasciato una vita grama di fatica per credere, assieme al padre, a un futuro fatto di terre fertili e di opportunità, ma il sogno si infrange presto di fronte a una realtà ancora più dura dove le conquiste si determinano anche a spese delle popolazioni autoctone.
La “Merica” sognata e quella reale
Il Brasile non è il paradiso che gli avevano promesso: la terra da coltivare deve essere prima strappata al “mato”, la foresta vergine da domare a colpi di machete tagliando alberi e facendosi spazio tra insidie di ogni genere, serpenti, malattie, incidenti, assalti dei nativi: i selvaggi “bugre”.
Piero cresce, impara, riflette su ciò che vede e ciò che accade attorno a lui, affronta inattese pene d’amore, tradimenti e delusioni.
La prosa di Malaguti è ricca di termini dialettali che le conferiscono immediatezza e ritmo, nelle frasi convivono parole venete e portoghesi, immagini crude e realistiche insieme a momenti lirici e colmi di poesia, scene drammatiche si alternano ad altre divertenti e spensierate, soprattutto nelle prime pagine che descrivono le giornate di Piero e Tonìn in giro per il bosco del Montello in cerca di nidi.
La storia dei migranti
Questo romanzo narra una pagina poco esplorata della storia dei nostri migranti e ci invita a riflettere su un’importante verità che Piero ha tratto dalla sua esperienza di vita: «presto o tardi tutti sono calpestati e tutti calpestano, e gli stessi che di là erano derelitti di qua meritano l’inferno perché hanno sgozzato e distrutto» (p.180). Perché la terra che si sono presi era di qualcun altro. «Difficile che venissero a ringraziarli. E se ti metti pure a ferire e ammazzare quei selvaggi, facile che reagiscano» (p.158). E la sensibilità di Piero lo porta a domandarsi a lungo «se valga davvero la pena di venire fuori dalla miseria se il prezzo da pagare è così alto» (p. 182).
Il romanzo conduce il lettore attraverso il bosco rigoglioso del Montello con le sue tinte morbide e le dolci linee delle sue colline fino ai colori forti della foresta amazzonica, alle sue potenti manifestazioni atmosferiche, ai colori violenti della vegetazione e alle forme stravaganti di animali mai visti e strabilianti. Tutto filtrato e restituito dallo sguardo stupefatto e curioso di Piero, che dovrà fare i conti fino in fondo con un destino sempre in agguato.
L’autore
Paolo Malaguti è nato a Monselice (Padova) nel 1978. Con l’editrice Santi Quaranta ha pubblicato Sul Grappa dopo la vittoria (2009; Einaudi 2024), Sillabario veneto (2011), I mercanti di stampe proibite (2013). Con La reliquia di Costantinopoli (Neri Pozza 2015) ha partecipato al Premio Strega. Ha scritto inoltre Nuovo sillabario veneto (BEAT 2016), Prima dell’alba (Neri Pozza 2017), Lungo la Pedemontana (Marsilio 2018) e L’ultimo carnevale (Solferino 2019). Per Einaudi ha pubblicato Se l’acqua ride (2020 e 2023, Premio Latisana per il Nord-Est ex aequo, Premio Biella Letteratura e Industria, selezione Premio Campiello), Il Moro della cima (2022 e 2024, Premio Mario Rigoni Stern per la Letteratura Multilingue delle Alpi, Premio Monte Caio e Premio Vallombrosa), Piero fa la Merica (2023, Premio Acqui Storia, Premio internazionale Alessandro Manzoni) e Fumana (2024).
Davvero molto interessante, anche per l’aspetto linguistico di cui si parla qui. Senza questa bella lettura, l’avrei ignorato.
Grazie!
Grazie!!
Grazie Annalisa per avermi accostato a un così grande autore come Paolo. È un onore per me. Come sai ho letto tutti i suoi romanzi e appena mi rimetterò dall’ intervento leggerò con molto piacere anche questo.
Buon lavoro!
Anto