C’è un libro che mi piace proporre come lettura per l’estate, anche perché ci sono sicuramente molti nostri lettori appassionati di storia e di storie che ne saranno attratti. Si intitola Il Ducetto (Rubbettino editore) e l’autore si chiama Alessandro De Nicola, avvocato di successo a Milano, con freschi ricordi giovanili a Mestre. L’opera è un corposo e originale romanzo che dichiara nel sottotitolo la materia storica di cui è costituito: Anno XXX Era Fascista.
Esatto: il fascismo, in questo racconto, non è mai morto e il motivo principale, diciamo il motore che muove il romanzo è che l’Italia sotto dittatura non è entrata nel conflitto mondiale, con le (positive) conseguenze che De Nicola ha ampiamente immaginato e fantasticato, e che meravigliano i lettori.
La vicenda del Ducetto
Tutta l’inedita vicenda comincia nel 1952, nel trentesimo anniversario della fondazione dei fasci a Milano, che storicamente è stata la “culla” di quell’ideologia poi divenuta regime. La città è tutta imbellettata per celebrare la ricorrenza. Per l’occasione, racconta il romanzo, il capo del governo in carica, cioè il conte Gian Galeazzo Ciano detto il ducetto (il duce vero è morto nel suo letto nel 1948…) deve venire a celebrare, mentre medita o sogna di realizzare una Grande Riforma dello Stato. Il destino, però, cambia la location (ovvero i Colli fatali di Roma). Fra i più interessati all’evento c’è un commissario di polizia, un sagace sbirro veneziano “che pensa in dialetto e parla italiano”: sulle sue indagini, in concorrenza con l’Ovra, i Carabinieri ecc. non è però possibile fornire dettagli, trovandoci in pieno giallo – con attentati e congiure eccellenti -, le cui regole vanno rispettate.
Il Ducetto come artificio letterario
Questa “realtà romanzesca” si deve leggere come un paesaggio che cambia di curva in curva, cioè lasciandosi sorprendere: va sempre ricordato che Il Ducetto è il frutto di un artificio letterario scritto in leggerezza e ironia – il piacere del narrare… – non privo di una certa teatralità dove il Re e il Papa sono figure sbiadite e inerti mentre la tribù dei gerarchi, dei generali con i personaggi della fiction recitano insieme ai cortigiani e ai golpisti duri e puri del regime che fu.
Un feuilleton sulle colline
Notizie scarse e frammentarie ci hanno annunciato nelle scorse settimane la morte misteriosa del giovane veneziano Alex Marangon, 25 anni, scomparso in piena notte, seminudo, dall’abbazia di Santa Bona a Vidor, sulle colline della Marca trevigiana e trovato cadavere lontano da lì, sul greto del Piave. Pochi e confusi i primi particolari, ma sufficienti a lasciare intuire una cupa vicenda a base di sostanze allucinogene, di incensi, musica medicina e con il contorno di sciamani d’importazione: il tutto sullo sfondo di un luogo sconsacrato dove forse permangono infrattate le ombre dei monaci benedettini e il vento spinge l’eco della narrazione popolare che sempre accompagna certi edifici antichi e isolati.
Scenario da romanzo nero o, piuttosto, racconto da moderno feuilleton: grazie al dosaggio quotidiano delle informazioni, con la loro calcolata sospensione, lettori e spettatori dei media hanno trasformato la cronaca nera in una specie di romanzo d’appendice: la fantasia popolare ha preso il sopravvento sulla realtà e “la gente” ha cominciato a fantasticare sullo sventurato Alex, giovane barman di giorno e cultore di riti occulti di notte. In attesa della prossima puntata.
Abbiamo letto e ascoltato di tutto, per esempio si è ipotizzato che il giovane Alex fosse posseduto da “spiriti cattivi” e fosse andato lì, nell’abbazia, quella notte del 30 giugno, per esserne liberato da uno “sciamano” venuto da lontano. Siamo nel ventunesimo secolo, nella civile Marca gioiosa, amorosa e tecnologica… Forse manca qualcosa in questa storia: una volta si chiamava pietas.
Vento furtivo
(poesia)
Ieri ho espresso delle parole
a voce alta e un vento oscuro
me le ha rubate dalla bocca.
Come colombe fuggiasche
sono volate oltre il confine
del presente e non son tornate
con le risposte che aspettavo:
solo echi distorti, frammenti
senza senso sono giunti qui
dalle lontane rive dove
si arenano i nostri discorsi
le nostre fierezze perdute.
Anonimo 2024
Ho letto qualche notizia del povero Alex e mi è venuto l’ istinto di rileggere Hermann Hesse .
Quanti problemi !
Quanti drammi !
Ringrazio Dio per la tranquilla quotidianità che mi fa vivere, serenamente , senza voli pindarici e senza angosce
Grazie a tutti Voi del giornale.
Il periodo del Duce è per me un periodo non coinvolgente – ero piccolissima, sono cresciuta nel lontano nord, in pace e tranquillità. Certo, ricordo che col suono delle sirene bisognava rifugiarsi nei bunker, che il papà per tre mesi era al fronte per la difesa della patria, che gli alimenti erano “razionati” e ogni famiglia riceveva i ” bollini” che le spettavano. Per noi bimbi era normale anche il fatto che durante la notte si dovevano oscurare con teloni neri le finestre in modo che gli aerei nemici non potessero orientarsi – anche se qualche bomba “errata” cadeva nelle vicinanze: sono cresciuta a Basilea, dove, sul Reno, c’è un punto chiamato “l’angolo dei tre paesi”, incontro della Svizzera, della Francia e della Germania.
E concordo pienamente con Maria Pia: sono grata e felice di poter vivere questo attuale periodo della vita nel mio piccolo mondo tranquillo e con serenità. Anche se sono cosciente che sono una privilegiata …