Anita Calzavara, la protagonista del nuovo romanzo di Emanuela Canepa, Resta con me, sorella (Einaudi, 2023) è una giovane donna che il destino ha già messo a dura prova. Orfana di madre dall’età di sei anni, perde anche il padre a causa dell’epidemia di spagnola che, finita la Grande Guerra, ha mietuto più vittime del conflitto. Viene assunta insieme al fratellastro Biagio, figlio della matrigna, nella redazione del quotidiano dove lavorava già il padre. È intelligente, ha una buona istruzione, ma le sue mansioni si riducono alla copia a macchina degli articoli: negli anni Venti del secolo scorso una donna non poteva aspirare a molto di più.
Ma quel poco che guadagna le permette di contribuire al ménage familiare per condurre una vita dignitosa. La sua esistenza viene sconvolta da un furto che Biagio commette in redazione. Confesserà di essere lei la responsabile non tanto per salvare lui, quanto per assicurare all’altra sorellastra, Luisa, a cui è molto legata, uno stipendio maggiore del suo, che consentirà alla famiglia un sostentamento accettabile per quanto modesto.
Anita da Padova a Venezia
Da Padova, dove viveva e dove si è consumato questo tragico evento, la narrazione si sposta a Venezia, nel carcere della Giudecca, dove Anita sconterà una pena di pochi mesi, piuttosto blanda in realtà, capace tuttavia di cambiare completamente la sua vita.
In questo luogo di restrizione, angusto e inospitale, tra compagne simili a «molecole di mercurio che si respingono, incapsulate nella rabbia e ostili le une alle altre» (p. 45) imparerà ad adattarsi a un ambiente dove vigono regole ferree saldamente gestite da religiose «impossibili da decifrare. Grandi uccelli rapaci esangui e senza voce.» (p.162). Imparerà che l’obbedienza è «quasi una forma di piacere, l’atto di consegnarsi a un altro che deciderà per noi» e che «la sopravvivenza in carcere è una disciplina che impone di opporre alla debolezza tutta la resistenza possibile.» (p. 122).
Anita affronta ogni prova a testa alta
L’attenzione al mondo femminile, che Emanuela Canepa ha già avuto modo di esplorare nei romanzi precedenti, qui si sviluppa all’ennesima potenza in una realtà popolata esclusivamente da donne, una realtà dolente fatta di sopraffazione e di umiliazione, dove però splendono anche momenti di comprensione e umanità. Una realtà dove è possibile venire messe alla prova per dimostrare il proprio valore e vederlo, alla fine, riconosciuto.
La bravura di Anita nel far di conto le permetterà di ottenere un lavoro a fianco della suora che gestisce la contabilità del carcere, per esempio, come anche l’abilità nel ricamo di Noemi, una carcerata scontrosa ed evitata a tutte, a cui Anita pian piano si avvicina. Insieme, a poco a poco, immaginano un progetto da realizzare una volta uscite da lì: aprire un piccolo laboratorio di cucito e ricamo, utilizzando i soldi del loro povero salario che le suore conservano per consegnarli al momento del rilascio.
Anche in un luogo tanto ostile e disperato si può dunque sognare una vita diversa che non prevede la presenza e il sostegno di un uomo, un marito al fianco.
Una svolta inaspettata
Ma Noemi cova un segreto, per lei inconfessabile, che la porterà lontana da Venezia una volta ridiventata libera. Mentre Anita, aspettandola, ha continuato a credere nella promessa che si erano fatte. Non torna dalla famiglia, che non solo non prova riconoscenza per il suo sacrificio, ma non la vuole nemmeno riprendere in casa. Dovrà accettare la carità di una signora veneziana, Clelia Berlendis, che la assume inizialmente come cameriera e che un poco alla volta prenderà a cuore la sua situazione.
Gli anni Venti sono anni infuocati e la Storia irrompe nella vita di Anita, mentre si avventura nelle calli e nei campi di Venezia, che percepisce come «un assedio di costruzioni, un bosco urbano in cui ogni edificio pare spuntare dall’altro. Un mare di tegole di cotto che digradano da tetti spioventi. Comignoli che puntellano il paesaggio come acuti di una melodia su un pentagramma.» (p. 183).
Assiste a scontri tra brigate di socialisti e manipoli di fascisti, inizia a riflettere sulla guerra appena conclusa partecipando all’arrivo alla stazione ferroviaria della salma del Milite Ignoto prima di essere interrato il 4 novembre 1921. La sua conoscenza della guerra, come accadeva allora alle donne, è solo riflessa e il morto anonimo nel sarcofago è il primo soldato che lei vedrà da vicino tra i tanti che hanno combattuto e sono morti. La guerra prende forma anche dai racconti di Bruno Feruglio, un giovane che frequenta casa Berlendis, che diventerà un suo assiduo corteggiatore e che presto chiederà la sua mano.
Anita simbolo di ogni donna
Emanuela Canepa conduce questa storia minima, che però racchiude in sé molti temi e aspetti legati alla natura umana scandagliando in particolare la condizione delle donne di quel tempo, la fatica e le difficoltà che incontravano per farsi spazio nel mondo, per vedersi riconosciute come persone e non come “appendice” di qualcuno, padroni o mariti che fossero. Mette in scena le relazioni complicate tra detenute, tra religiose (anch’esse prigioniere alla Giudecca), attraversa sentimenti come l’amicizia, l’amore, l’attrazione sessuale, la paura di non essere mai all’altezza, la sfida continua verso se stesse. Ma Anita, attraversando esperienze diverse, dovrà sperimentare l’ambiguità, la necessità di mentire, di adulare, come anche l’ipocrisia che a volte può salvare la vita, e al tempo stesso la lealtà di mantenere fede alle promesse e soprattutto la coerenza di fronte a scelte molto difficili.
I personaggi di questo romanzo sono potenti e ben delineati, il mondo femminile che descrive sia durante la detenzione di Anita e Noemi sia durante la permanenza a palazzo Berlendis è un mondo sfaccettato e ricco di sfumature. I personaggi maschili, a cominciare dal fratellastro Biagio per finire con Bruno Feruglio, non ci fanno una gran bella figura, ma questo fa parte della Storia, purtroppo. Così come l’incapacità femminile di opporsi a un destino già segnato e alle catene che le tengono legate a una condizione di sudditanza. Ma per fortuna non per tutte sarà così, almeno in questo romanzo.
La scrittura di Emanuela Canepa si rivela sempre più matura e sorvegliata, libro dopo libro; straordinaria è la sua capacità di restituire un ambiente e di indagare l’animo umano in tutta la sua profondità.
L’autrice
Emanuela Canepa (Roma, 1967) vive a Padova. Il suo esordio L’animale femmina (Einaudi 2018 e 2019), vincitore all’unanimità del Premio Calvino 2017, ha avuto un’ottima accoglienza di critica e di pubblico e ha vinto il Premio Letterario Fondazione Megamark, il Premio Anima della Confindustria e il Premio per la Cultura Mediterranea – Fondazione Carical nella sezione Narrativa Giovani. Sempre per Einaudi ha pubblicato Insegnami la tempesta (2020) e Resta con me, sorella (2023). Per Tetra è uscito Quel che resta delle case (2022).
Libro stupendo. ♥️
🙂
Cara Annalisa, ti ringrazio per questa analisi così attenta, precisa e lusinghiera.