Fonti recenti e accreditate ci dicono che i comparti della bioeconomia, in Italia, occupano circa 2 milioni di lavoratori e producono oltre 415 miliardi di Euro, con un incremento del 16% rispetto all’anno precedente, grazie alla performance dell’agroalimentare. E tutto questo si sta verificando in una tendenza di crescita lenta ma costante, che non conosce soste, almeno all’apparenza.
Questo è quanto emerge dal consueto Rapporto sulla Bioeconomia in Europa – il nono realizzato da quando sono iniziati i rilevamenti – a cura della Direzione Studi di Intesa Sanpaolo in collaborazione con il Cluster SPRING, un’Associazione nata nel 2014 in risposta a un invito del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e formata da oltre 150 soggetti aderenti che operano nel settore della trasformazione e della raccolta della biomassa; a essi si aggiungono numerosi altri soggetti attivi nel campo del trasferimento tecnologico e della comunicazione ambientale e Assobiotec, l’associazione nazionale di Federchimica per lo sviluppo delle biotecnologie.
Dopo il rimbalzo del 2021, per cui si stima un valore della produzione della bioeconomia pari a 358,2 miliardi di euro, in crescita del 12,1% rispetto al 2020, nel 2022 la tendenza di sviluppo è proseguito con un incremento del 15,9%, confermando segnali di vivacità in tutti i comparti del meta-settore. Il risultato porta la bioeconomia italiana a pesare l’11% sul totale del valore della produzione, in netto aumento rispetto al 9,9% registrato nel 2019. L’incidenza degli occupati sul totale nazionale è invece pari al 7,8%, in linea con quello degli anni precedenti.
La bioeconomia . . .
I comparti oggetto di analisi sono quelli a monte della catena produttiva (agricoltura, silvicoltura e pesca, industria del legno e della carta, industria chimica e della gomma-plastica), ma anche quelli a valle del processo produttivo (alimentare, abbigliamento, mobili, a farmaceutica). Sono inoltre considerati la bioenergia, i biocarburanti e il ciclo idrico. Inoltre, parlando di economia circolare, è inclusa anche la componente che proviene da riciclo e trattamento degli scarti e delle biomasse.
. . . E la filiera agroalimentare
Il contributo più rilevante alla crescita della bioeconomia italiana nel 2022 è stato dato dalla filiera agro-alimentare che rappresenta circa il 60% del valore totale del meta-settore, con un output di circa 247 miliardi di euro. Seguono il sistema moda (11,6%, dato dalla somma di tessile, abbigliamento, concia e calzature bio-based) e dal settore della carta e prodotti in carta (7,6%). “L’evoluzione del valore della produzione di ciascun comparto – spiegano gli analisti di Intesa Sanpaolo – deve essere letta tenendo conto della dinamica inflattiva, che ha impattato in maniera differente i diversi settori. I rincari dei prezzi delle materie prime e l’aumento significativo dei prezzi alla produzione che ne è conseguito, hanno condotto, anche in caso di rallentamento dei livelli di attività, ad aumenti del fatturato importanti, soprattutto per alcuni comparti a monte della catena del valore e per il settore della bioenergia”.
Bioceonomia: lo strano caso del tessile
Proprio la performance del comparto tessile-abbigliamento è stata sottolineata nella ricerca 2023 perché la filiera è protagonista di una profonda trasformazione negli ultimi decenni. Il suo valore in Italia ha raggiunto i 63,5 miliardi di euro di fatturato nel 2022, occupando 300mila addetti. Il nostro Paese risulta quindi il nono produttore mondiale per numero di occupati, quinto per valore della produzione e per quota di mercato nei prodotti di fascia alta. L’Italia mantiene una quota di produzione bio-based tra le più elevate nel contesto europeo e risulta quarto esportatore mondiale di fibre, filati e tessuti bio-based. Peraltro, un’inchiesta ad hoc sulle imprese della bioeconomia ha rilevato che oltre il 40% degli operatori del settore intervistati, quelli della filiera tessile-abbigliamento, abbia dichiarato di voler ampliare le proprie produzioni bio-based nei prossimi 3 anni.
“La filiera del tessile presenta infatti un alto potenziale di circolarità che, a tutt’oggi, risulta sfruttato solo in minima” commenta Gregorio De Felice, Chief Economist and Head of Research di Intesa Sanpaolo. “È dunque opportuno che le best practice già in parte adottate si diffondano ulteriormente, sia fra le aziende sia fra i consumatori. In prospettiva, l’attenzione a questi temi diventerà imprescindibile come leva strategica per il nostro tessuto produttivo”.
La traiettoria verso una maggiore sostenibilità e circolarità delle produzioni tessili è peraltro favorita all’introduzione dell’obbligo di raccolta differenziata dei tessuti, già partita in Italia e di prossima applicazione nel resto dell’Unione Europea. “Si assisterà – spiega la ricerca – a un aumento dei quantitativi di rifiuti da trattare e gestire e ne cambierà anche il mix con l’ampliamento dell’incidenza dei rifiuti di peggiore qualità e privi di valore. In questo contesto la capacità di recuperare materia in una logica fiber to fiber (come dire: riciclo una fibra per ricavare un’altra fibra) diventerà fondamentale”.
La locomotiva della bioeconomia non è ancora italiana, bensì tedesca
Gli ottimi risultati che ultimante si sono registrati in Italia non sono però gli unici visti in Europa, a dimostrazione che la bioeconomia è destinata a diventare uno dei fattori di competitività dell’intero sistema economico. Anche negli altri Paesi europei considerati nel rapporto (Francia, Germania e Spagna), la bioeconomia ha registrato nel 2022 una sensibile crescita. Complessivamente, nei 4 Paesi oggetto della ricerca, ha generato l’anno scorso un output di circa 1.740 miliardi di euro, occupando oltre 7,6 milioni di persone.
In termini assoluti, fa notizia il valore della bioeconomia tedesca, che si colloca al primo posto per valore della produzione (583,3 miliardi di euro) e per numero di occupati (2,2 milioni di persone). Al secondo posto, troviamo la Francia, con (452 miliardi di euro), seguita da Italia (415,3 miliardi) e Spagna (289,2 miliardi). Il nostro Paese, in ogni caso, si posiziona al terzo posto per valore della produzione e al secondo per occupazione, seguita da Francia (1,9 milioni) e Spagna (1,6 milioni).