Parlare o meglio scrivere della/sulla poesia di Francesca Ruth Brandes, è come scalare un ottomila metri in jeans e maglietta, ovvero “un’impresa titanica”. Questo perché è una poetessa che esce dagli schemi classici, pur mantenendo una classicità che potremmo definire parzialmente “esteriore”. Però il suo “graffio” letterario è dirompente, a volte burrascoso, ma senza mai trascendere nella battaglia, la lascia solo intuire, qualora ce ne fosse bisogno. In questi giorni è uscita per Zacinto edizioni la sua ultima raccolta intitolata “Esodi”, dove ci regala una ventina di liriche, che partono da un’opera di Sandra Zemor, artista di origini franco-romene della quale in copertina vengono impressi in una fotografia dei cerchi lattiginosi tracciati sulla riva del mare.
Prima di entrare nei versi di Francesca Brandes è doveroso sintetizzare il suo ricco “bagaglio”
Vive e opera a Venezia, giornalista, curatrice d’arte e poetessa. Ha scritto e condotto per RadioRai diversi programmi di attualità culturale, occupandosi a più riprese di tematiche legate all’ebraismo. Tante le sue pubblicazioni, tra queste “Canto a più grida” (Centro Internazionale della grafica, 2005), “Trasporto” (Lieto Colle, 2009), “L’undicesimo giorno” (Lieto Colle, 2012), “Storie dal giardino”, La Vita Felice, 2017), “Tutti i pesci del mare”, Zacinto 2021”. Ora “Esodi”, dove tra i versi traspare nitida la convinzione che esiste una via d’uscita contro quella forma di odio che vige tra esseri umani appartenenti solo sulla carta d’identità a “razze” diverse. Contro la violenza si può combattere trovando un accordo comune dettato dall’intelligenza e non dalle armi che sono e saranno sempre sinonimo di morte. Questo ci suggerisce Francesca Brandes.
Il sangue ha il medesimo
sapore di ferro
una dolcezza putrida.
Rossa è la morte
in cima ai nostri stracci.
Sogno di mettere i corpi
traverso alla storia.
Il Libro
Il sangue che sgorga sembra quasi accompagnare la “penna” dell’autrice, con un inchiostro di colore rosso che bagna queste pagine con rabbia, con dolore, con una grande ferita nel cuore. I versi si susseguono dando sempre l’impressione di un certo malessere dettato da una situazione contingente che abbraccia il suo essere donna di grande umanità. Il prossimo la coinvolge a tutto tondo ed è in questo frangente che “escono” le parole di possibilità, di via d’uscita, forse di speranza, che ci aiuta a non abbandonare e soprattutto non dimenticare la parola “pace”.
Voce
cammina con me
non siamo pochi
a dar acqua alla radice
piantare nuovi semi
baciarci sulla bocca
il nuovo giorno.
Riusciremo a vivere ,
l’amore richiede più forza
dell’odio
per una volta rinunciamo
alla bandiera.
Perdonate la mia voce
che trema
perdonatemi
se sono fragile
ancora in esodo.
Una domanda a cui è difficile dare risposta
Ci pone quasi di fronte ad un interrogativo molto difficile, quasi impossibile, dove la risposta non sapremo mai se corrisponde giusta soluzione. C’è un confine ben preciso in questi versi, ed è quello tra il bene e il male, tra il torto e la ragione. Fuori dalle mura si combatte con bombe, mitra, fucili, pistole e non può arrivare una risposta razionale, ma solo ed esclusivamente sangue. Francesca Brandes, insegna, che l’unica speranza possibile è non perdere la memoria, o meglio ciò che avremmo dovuto apprendere dal momento che siamo venuti al mondo. Riconoscere il nostro ruolo di esseri umani, sempre e comunque. Lo dice ad alta voce, la voce di una poetessa che vola nell’aria, sperando che l’eco dei suoi versi possa in qualche modo arrivare laddove non arrivano le menti corrotte e annebbiate di coloro che si credono potenti.
Francesca, con la sua gentilezza e la sua leggerezza, con i suoi versi sa colpire dove fa piu male. E non si preoccupa del politicamente corretto, di specificare, di giustificare.
Guarda al dolore, al sangue, all’esodo, alla distruzione. É un canto per la vita, per l’umanità
❤️grazie Mara, di tutto