Il nostro cielo, che ci copre in insieme a tutti gli altri viventi, vegetali e animali, è sporco. La pioggia che ci scarica addosso dovrebbe metterci paura, anche la più leggera: perché ormai sappiamo che non piove solo acqua, come non cade solo neve o grandine: c’è qualcosa di nuovo sotto il sole, e di terribile. Sabbie del deserto, scorie industriali, radiazioni, e adesso arrivano masse invisibili di polveri velenose prodotte da milioni di bombe esplose sui fronti di guerra: com’è attuale la definizione “sporca guerra”! Le guerre distruggono in terra, in cielo e in ogni luogo, cioè portano la morte lontano anche migliaia di chilometri dal fronte, nelle città, nelle campagne e nelle acque.
Dobbiamo prendere atto che esistono anche i “rifiuti” delle guerre: sono preda dei venti e vagano sopra le nostre teste e si infiltrano nei nostri polmoni. Non è una novità, ma una realtà che non possiamo eludere, perché la respiriamo: “Nei cieli del vostro pianeta Terra” ammonisce il saggio Yoda, “non migrano soltanto gli uccelli”. Così ogni momento della nostra vita è sotto minaccia. Contro la nostra volontà, l’aria che ci fa vivere è resa irrespirabile da un tipo di immondizia volatile, spesso invisibile, sempre nociva perché si annida nel nostro organismo…. Chissà quanti fra noi ne hanno consapevolezza?
In questi giorni ho letto la testimonianza del giornalista Franco Di Mare Le parole per dirlo. La guerra fuori e dentro di noi (Sem Libri 2024). E’ la cronaca della sua malattia provocata dalla fibra di amianto inalata in guerra in Bosnia (Sarajevo 1992), quando era sfuggito ai micidiali cecchini serbi ma non all’invisibile nemica, la polvere killer “seimila volte più leggera di un capello”. Sotto un cielo tossico e lacerato, si svolge la storia di un uomo e di una terra aggredita dalla guerra che lui racconta dopo averla vissuta “attraverso lo sguardo di chi la subisce”.
Un libro estremo, scritto con la morte nel petto.
“Ci vuole rispetto…”
“C’è sempre meno rispetto per il lavoro” ho sentito dire da qualche parte, e subito ho pensato alle ultime vittime, che potremmo chiamare ormai i caduti sul posto di lavoro. Una strage ogni tanto e poi lo stillicidio quotidiano, l’infernale contabilità che apre l’alba italiana. E’ impressionante come la vita ci metta alla prova: ci svegliamo al nuovo giorno e già allora dobbiamo capire che un uomo, giovane quasi sempre, che non conosciamo morirà sul posto di lavoro. I giorni sono catene di vite spezzate là dove uno di noi sta esercitando un sacrosanto diritto che fra l’altro ci garantisce benessere e dignità.
Nella *mente rimbalzano i titoli dei quotidiani, qualcuno con feroce ironia:
“La morte bianca colpisce ancora”;
“Di quali appalti si muore oggi?”;
“Il calendario delle stragi”;
“Statistica inesorabile: in media tre morti al giorno”.
Ah, quei numeri!
“Dietro ogni statistica” ha scritto la presidente del Consiglio d’Europa, Roberta Metsola, “ci sono vite e sogni di un futuro migliore.”
Tanti interrogativi ci stringono come lacci: perché e come avvengono tanti incidenti mortali mentre si lavora. Qualcuno ha scritto quella parola fatale con la maiuscola (forse pensando alla Costituzione) ma in tal modo sembra che LAVORO sia un Moloch, un idolo sanguinario e primitivo da placare con sacrifici umani! Non sarebbe più giusto accostarsi ad un lavoro – specie se a rischio – con il dovuto rispetto?
Chiamalo come vuoi
(poesia)
In tutto il mondo c’è, e puoi
ascoltarne il suono cadenzato
come quello del tuo andare.
Nella folla è multiplo, e puoi
sentirne il rombo di tamburo
molto duro e ossessionante…
Anche le città, tutte quante,
ne hanno uno, o forse più,
e il loro palpito è segreto.
Per gli artisti è un tam tam
come un battito di mani
mentre creano altri mondi.
A volte, il nostro, a sorpresa,
improvvisa e cambia ritmo,
ahimè, alla sua musica…
Ovunque sia, si chiama cuore.
Anonimo ‘24
Avete scritto ‘” c’è sempre meno rispetto per il lavoro ….sacrosanto DIRITTO.
Nessuno più ormai parla di DOVERE , è questa parola andata in disuso. Sarebbe meglio cancellarla nei vocabolari …. Nessuno accenna ai cartelli ” cercasi …..” Ma scusate : se il lavoro è un sacrosanto diritto, è altrettanto sacrosanto il DOVERE di andare a lavorare con adeguata preparazione , con la testa sul lavoro da svolgere e con il pensiero rivolto al lavoro da eseguire. O forse io ragiono così, perché sono nata nel secolo scorso ???????
Infatti, spesso mi vien da pensare di essere fortunata per essere nata nel secolo scorso Dopo le guerre, la vita riprendeva vigore, colore, forza. C’era molto da fare, da ricostruire – ma si andava verso tempi migliori. Ora che futuro hanno i nostri figli e nipoti davanti? Pericoli ovunque – quanto mi dispiace!