Il governo Conte è oberato da tanti grattacapi ai quali trovare immediate soluzioni. Cosa non proprio semplice. Dalla pandemia al problema migratorio, dalle vicissitudini economiche e di sviluppo alla mancanza di lavoro. Un’altra tegola caduta sulla testa di questo governo concerne la vicenda dei pescatori siciliani che erano a bordo dei loro pescherecci battenti bandiera italiana. Poi sequestrati per ordine del Generale Kalifha Haftar, da motovedette costiere verso gli inizi di settembre, al largo delle coste della Cirenaica.
La vicenda dei pescatori
La vicenda è stata avvolta da polemiche fondate e anche artifiociose. A parte le giustissime proteste dei parenti di pescatori italiani detenuti nelle carceri libiche poco accoglienti e prive di rispetto dei più elementari diritti della persona, credo che sia importante inquadrare la situazione sotto l’aspetto anche giuridico e non solo politico. Il confronto riguarda l’Italia e quella parte della Libia sotto il controllo del generale Haftar.
Le notizie
Dalle notizie che ho potuto accertare, le due imbarcazioni battenti bandiera italiana, si trovavano nella zona economica esclusiva della Libia, oltre il mare territoriale di Bengasi. Cioè in un’area di transizione tra il mare territoriale e quello internazionale. Lo Stato rivierasco ha diritto esclusivo di pesca sia in questa zona che nelle proprie acque interne. Se i bastimenti procedono alla pesca nel mare della Libia, potrebbero incorrere nella illiceità. A meno che non vi sia un accordo che consente di poter pescare nella zona considerata.
Le polemiche per il mancato intervento per i pescatori
Altre polemiche sono sorte in Italia circa il cacciatorpediniere Durand de la Penne che non è intervenuto. La risposta dei vertici della Marina militare è stata chiara. La nave da guerra, battente bandiera italiana, non era in grado di intervenire. Sia per la ragione che la distanza era molto consistente, sia per la sua dinamica. A questo proposito è necessario focalizzare se l’intervento della nostra Marina militare possa essere inquadrato nella sua liceità.
La situazione in Libia
È noto che, dalla caduta del regime di Gheddafi, la Libia è spaccata in due parti territorialmente. Da una parte vi è la presenza del governo riconosciuto dalla comunità internazionale, che non è in grado però di esercitare il controllo pieno sulla fascia di mare – quella dove i pescatori sono stati tratti in arresto – senza poter agire nel far rispettare i diritti esclusivi di pesca. Dall’altra, un governo insurrezionale guidato da Haftar. Il quale ha il pieno ed effettivo controllo sulla regione cirenaica. Quindi, il movimento insurrezionale guidato dal generale Haftar ha la titolarità per esercitare il potere anche sul mare costeggiante.
Il riconoscimento
Il nostro Paese, oltre ad essere stato partecipe assieme al resto degli Stati nel riconoscere il governo di Tripoli, ha anche riconosciuto quello insurrezionale di Tobruk. Tanto da considerare le autorità al servizio del governo di Haftar dei veri e propri organi dello Stato. Che non possono essere paragonabili a gruppi che hanno fini di genere terroristico o piratesco.
La questione, però, riguarda il modus operandi con cui il governo del generale Haftar intende rispettare i diritti ittici. Esiste una importante Convenzione che si occupa del diritto marittimo internazionale. In essa viene stabilito che lo Stato rivierasco è vincolato all’immediato rilascio di imbarcazioni assieme all’equipaggio, nel momento in cui infrange i diritti ittici e inibisce la condanna in carcere se si è responsabili di aver compiuto la pesca non legale. Va, tuttavia, ricordato che la Libia, nella sua complessità, non ha mai aderito alla Convenzione sul mare del 1982.
Zona economica e pescatori italiani
La zona economica esclusiva, in cui i pescatori italiani erano intenti a sfruttare le risorse ittiche, su cui il governo insurrezionale di Aftar esercita dei poteri, è parte delle acque internazionali dove vige la libertà di navigazione. L’eventuale presenza in loco di navi da guerra o navi di servizio pubblico al fine di proteggere le imbarcazioni dedite alla pesca, rientra nella piena legalità.
Si spera che al più presto si trovi una via d’uscita. E ci si augura che sia l’UE sia le autorità libiche di due governi che si contrastano possano riprendere i negoziati sulla pesca. Il nostro Governo deve farsi carico della liberazione dei pescatori. È anche attraverso azioni del genere che si misura l’autorevolezza internazionale di una Nazione.