Dice il poeta: “Quello che il nero è per i colori, il silenzio lo è per i suoni: un contenitore universale. Ogni suono, con tutti i rumori, convive nella dimensione del silenzio”. Qui, nel paese ritrovato (Arquà nel Polesine, 2600 abitanti) incontro la diversità, che non è solo dimensionale: come la vastità degli orizzonti, ma il dominio del silenzio, disteso. Assorbente …Hai voglia di dire globalizzazione, questa è l’altra faccia del tuo mondo, quello che hai lasciato per migrare a Venezia nel 1962.
Anche il tempo che passa, qui si percepisce in modo diverso. L’orologio della casa ospitale è fermo sulle 5,50 di chissà quale giorno o notte. Ma quello del campanile ha forti rintocchi che arrivano fino alla campagna circostante, e a mezzodì la campana maggiore fa volare il suo messaggio che infrange il silenzio dell’ora, ma subito la tela sonora si ricompone: un tessuto profumato d’erba e di gigli.
Il campanile manda altri messaggi, da sempre “in campagna”
Ieri mattina ha suonato in modo diverso. “Per chi suona la campana?” ho chiesto. “Per la Elvia” dice mia nipote, “ti ricordi?” Insieme alla Torre del castello Estense e alla torre piezometrica dell’Acquedotto “costruito negli anni del regime” il campanile non è solo monumento cattolico ma un emblema di poteri diversi e di storia vissuta: una triangolazione che trattiene nel presente i segnali più evidenti del passato.
Penso a quando i cittadini erano quasi cinquemila, e c’erano tre barbieri, tre macellai, due preti, due fabbriche: lo Zuccherificio e il Lievito. L’alluvione del ’51 è stata devastante, la storia ha lasciato le sue cicatrici, e i supermercati della città capoluogo hanno sterilizzato il piccolo commercio. Ferite e vuoti, come tante case silenziose in attesa di essere rivitalizzate…
Eppure nel fertile silenzio del paese ci sono ancora industrie che danno lavoro, non colossali come la Ceresio ma produttive comunque. Nelle strade e nei campi si ascoltano vivaci dialoghi nel nostro dialetto, e nel cortile dell’asilo cantano e giocano ancora tanti bambini: sembrano un campo fiorito multicolore.
Nel grande silenzio c’è anche altro, ed è la voce della cultura e del nuovo folclore del Maggio con gli sbandieratori
Qui, in settembre, si celebra un premio di poesia in dialetto che si alimenta della memoria di tanti autori fra cui molti veneti emigrati nel vasto mondo: lo ha chiamato Raìse, radici, un arquatese tornato dall’America, l’ingegnere Giuseppe Schiesaro. Siamo alla trentesima edizione.
E c’è pure il Centro studi etnografici che non sfigurerebbe in città: è intitolato al professor Vittorino Vicentini, umanista con la passione per la musica e la fotografia: l’istituzione vive dell’amore filiale di Chiara Vicentini, docente all’università di Ferrara. L’iniziativa pubblica più recente è una mostra dedicata a un veneto migrante che ha fatto fortuna nella cultura: l’editore Attilio Barion (Arquà Polesine 1877-1933), imprenditore coraggioso che nel 1808 , a Sesto San Giovanni, ha avviato la casa editrice che portava il suo nome. Edizioni popolari, le sue, che sfidavano i grossi editori della vicina Milano. Lo chiamarono l’editore delle bancarelle, ma lui pubblicò famosi autori italiani e stranieri (fra cui Thomas Mann), entrò in lite giudiziaria con gli eredi di Salgari e fece concorrenza alla Casa Ricordi per la pubblicazione dei libretti d’opera allora molto richiesti. Nel tempo, la casa editrice confluì nel catalogo Mursia.
Il Centro studi assegna un premio annuale a persone che testimonino il loro amore alla terra polesana
Pensierino finale: ritrovare la dimensione paese senza indugiare su presunta innocenza del popolo “di campagna” fuori dalla Storia ma riconoscerne il presente aperto al mondo della tecnosofia e delle popolazioni erranti. Solo così anche i gloriosi tramonti, le persone che ci dicono ciao per la strada, e i campi rosseggianti di papaveri non faranno “color locale” o cartolina nostalgica ma semplice e forte poesia del vivere quotidiano.
Plessi sposa… una città
Tutto scorre nelle sue opere, anche l’oro del tempo e i suoni: Fabrizio Plessi è un artista che non finisce di sorprendere, tecnologico anzi digitale d’avanguardia, la sua mostra in corso al complesso di Santa Giulia a Brescia si intitola “Plessi sposa Brixia”. Le sue opere monumentali si potranno vedere fino a gennaio 2024. Ma del vecchio amico voglio qui ricordare un pensiero che rivela la sua anima.
Dice, infatti: “L’arte contemporanea non deve mai dimenticare il passato ma, anzi, partire da questo e portarlo, come un valore, un atto di fede, uno strumento di rinascita anche nei periodi più drammatici. D’altra parte, – conclude – il flusso della storia non si ferma mai e attraversa impaziente altre storie”.
Parole da usare con cura
La celebrazione del centenario della nascita di don Lorenzo Milani (Firenze 1923-1967) e la contemporanea pubblicazione del grande Vocabolario della lingua italiana Zingarelli 2024. hanno portato in primissimo piano l’italiano parlato e scritto dei nostri giorni. A Barbiana di cui il sacerdote fu priore e animatore di una scuola “popolare”, si è parlato di “cura delle parole”, a cominciare dal presidente Mattarella, argomento caro a don Milani che ebbe a scrivere: “Le parole rendono uguali”, ed è la scuola il luogo specifico della parola che forma lo spirito critico e apre un mondo.
Don Milani ha scritto anche altro: “Si parte con patrimoni diversi, ma la povertà di linguaggio è veicolo di povertà completa, e genera ulteriori discriminazioni”. Da qui, aggiungiamo noi, la necessità di non lasciar deperire le parole ereditate da generazioni, avendone cura continua e consapevole. Sempre a Barbiana, il cardinale Zuppi, presidente dei vescovi italiani, ha detto: “I care, mi riguarda, ci libera dall’osceno e disumano me ne frego, anche quello detto con più raffinatezza”. Il riferimento alla presidente del Consiglio non era casuale.
La lingua è bene comune, patrimonio culturale e civile: usarla correttamente, cioè con riguardo è un atto che ci impegna totalmente
Un aiuto a “parlare pulito” è il vocabolario: vecchio o nuovissimo, è sempre “quel libro che continua a parlarci con migliaia di voci” (G. Antonelli). E , in aggiunta, ci sono sempre i poeti, come ci ricorda Susanna Tamaro: “Leggendo (i grandi autori) ho capito che i miei tormenti erano già appartenuti ad altri, che erano riusciti a risolverli attraverso la magia delle parole”.
24 maggio, mattino
Ci chiama il cuculo nell’ora che avanza, “svegliarina” tu dici.
Gli risponde, e non è l’eco, un trillo nascosto nelle fronde.
In fila, nell’orticello accanto, sette gigli di Sant’Antonio tenuti con amore e devozione per la chiesetta antica.
Tutto questo risuonare di voci animali, e le piante come un delicato basso continuo, è il saluto del mio paese al ragazzo di tanti “anta” fa.
Anonimo 2023
Per un attimo mi sono ritrovato sotto il pergolato dello zio Bruno
“Tecnosofia’…’I care’ invece di ‘Me ne frego”…e molto altro.
Traspare grande cultura, sensibilità, esperienza e inviti a nuovi comportamenti e stili di vita.
Sentiti complimenti e ringraziamenti all’autore.