La piccola eclisse osservata il 25 ottobre, con la luce del giorno che si affievoliva mentre trasfigurava il paesaggio per tutta la durata del fenomeno, ha trascinato con sé una parola densa di significati: il buio. Parola stratificata. Infatti, siamo avvolti da una specie di buio universale, angoscioso, mentale: è la nostra mancanza di certezze, credo, e sicuramente un malessere che oscura la ragione come fa, davvero, un’eclisse…
Ricordo che quella parola circola anche in letteratura, a partire dal Pascoli delle letture infantili, là dove dice: “A letto, il buio li fasciò, gremito / d’ombre più dense, vaghe ombre ecc. ecc.”. Sono versi ripescati dalla memoria nella poesia I due fanciulli (nei Primi poemetti, 1907). Ma, da adulti, ecco un paio di titoli “forti”: Il buio oltre la siepe di Harper Lee (1960) romanzo a sfondo razziale tradotto in film due anni dopo, e Buio a mezzogiorno di Arthur Koestler (1950) famoso romanzo utopico contro le purghe del comunismo staliniano. Entrambi i romanzi sono ancora in circolazione.
C’è una curiosità… poetica. Forse influenzata dal clima psicologico indotto da tre oscure minacce, cioè pandemia, crisi economica e guerra di Ucraina, la giuria del premio letterario di Oderzo (Treviso) dedicato al poeta opitergino Mario Bernardi, ha scelto il tema “buio” su cui si dovranno impegnare i poeti concorrenti alla prossima edizione, l’ottava, di questo nostrano concorso letterario.
Quasi una sfida, perché, come sappiamo, di zone buie è piastrellato il nostro mondo, anche su scala cosmica con i buchi neri; ma basta pensare alle sacche di oscurità nella politica, nei rapporti fra gli Stati, in noi stessi, ahimè: ne siamo infetti, chi più chi meno, e, poi, “il buio ci acceca”.
“Eppure, dice il saggio Yoda, anche nel buio del sottosuolo ci sono frutti colorati. Com’è possibile? Le carote, i ravanelli, il radicchio ecc. crescono in terra buia ma sono fortemente colorati come se li avesse accarezzati la luce… E poi, nel cielo più buio non splende forse la luna? E non tremano le infinite stelle?” Ah questi saggi alieni…
La bellezza che ci ama
Le recenti Giornate del Fai, il Fondo ambiente italiano, insieme a una “narrazione” mirata ai beni cultural-ambientali mi hanno fatto ricordare una frase del filosofo italiano Benedetto Croce al tempo del suo incarico di ministro: nel paesaggio risiede “la bellezza naturale e la sua particolare relazione con la storia civile e la letteratura”. Bellezza, questa accennata dal filosofo napoletano, che troviamo incarnata nella realtà vegetale, animale e minerale e la sappiamo riconoscere d’istinto e per educazione: ma ci sono tanto modi di avvertirla o meno. Ascoltiamo due voci differenti.
Fernando Pessoa, poeta portoghese :
“La bellezza è il nome di una cosa qualunque / che non esiste, che io do alle cose / in cambio del piacere che mi danno. / Non significano niente.”
Peppino Impastato, vittima di mafia:
“Se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà” (citato da Gian Antonio Stella). Direi che qui si parla del coraggio della bellezza, intesa come un lievito dell’animo umano.
Tutto bello, tutto condivisibile.
Ma la bellezza, però, è fragile, come una coppa in vetro di Murano esposta al vento di un tornado. Viene spontaneo chiedersi come possa rivelarsi e resistere, per esempio, quando milioni di telespettatori, in America, guardano alla tv la serie che ricostruisce la catena dei delitti di un uomo (un uomo…) chiamato il mostro di Milwaukee? Come può la bellezza opporsi alla spettacolarizzazione della follia sanguinaria e cannibale? Quale educazione trasmette la violenza più brutale come la macellazione rituale di un corpo, di un essere umano?
Atterrare… sulla Luna
E loro continuano, non solo i giornalisti ma anche altri, a confondere il suolo con il pianeta. E io continuo a spiegare che terra, minuscolo, è la superficie terrestre, mentre Terra è il nome proprio del pianeta cioè del globo terracqueo “che ci fa tanto feroci”. Questo vizietto dovrebbe essere segnato con la matita rossa fin dalle scuole primarie, evitando in futuro che si scriva allunare per dire che si è toccato il suolo della Luna. Sarebbe fra l’altro la prova del rispetto dovuto alla lingua italiana.
Lanciamo un appello a maestri e professori perché facciano rispettare non dico la grammatica ma il buon senso. Secondo questo andazzo, cosa si dirà di un razzo che raggiunga il pianeta Venere: è venereggiato? E su Marte o Giove? Evitiamo il ridicolo. Anche l’inglese, così caro a tanti, usa il verbo to land per atterrare, cioè toccare il suolo, la terra (landing).
Tu chi sei, Russia?
(poesia)
Pianura, tu, chi chiami?
Dov’è mai il sogno gaio?
Cavalleria celeste, galoppano le spighe,
avvolgendo foreste e paesi.
Non è grano che salta sopra i campi, è gelo,
vetri spezzati, porte spalancate,
gela perfino il sole
come pozza lasciata da un cavallo castrato.
Chi è? Tu chi sei, Russia?
Di chi è questa pala che schiuma le tue nevi?
Un cane, fauci affamate, succhia
un lembo d’aurora per la strada.
“Laggiù” non s’è costretti a chiudere.
Fra gli uomini, qua, fa più caldo.
Iddio ha dato un piccino alla lupa,
l’uomo se l’è pappato.
Sergej Esenin
Da Poesia straniera del Novecento, Garzanti