Si smette di indossarla pensando – sperando – che ne sia finito l’uso per l’ultima volta. Parliamo della mascherina anti Covid e al dipiciemme che di toglierla all’aperto, all’aria libera che ci fa respirare con forza. Adesso, fin che si potrà, possiamo uscire di casa a volto libero, che è, se ci pensiamo, l’unica parte nuda, con le mani, della nostra persona, una nudità espressiva. E si torna in scena – la commedia quotidiana, cioè la vita, – con questa nudità sorridente, di nuovo liberi di vedersi e di esprimersi in dialogo con l’altro, non più eclissati da qualche centimetro di stoffa filtrante. Siamo usciti dall’obbligo e liberamente curiosi di vedere se il tempo mascherato ci abbia cambiati, ma soprattutto felici di ri-trovare i volti nei quali il nostro si specchiava prima della peste Covid.
Qualcuno ha detto che la mascherina stava diventando un’abitudine, un atteggiamento fisso delle identità – la tua, la loro, la nostra – sommerse nella folla anonima. Ora, tornati all’identità “esposta”, si riprende per mano la vita, come si dice, uscendo dalla dimensione appiattita della copertura dell’io nudo. Così ciascuno torna in sé, e si rivela a sé stesso come una voce singola s rivela dentro il coro della società. Lo sguardo è una forma di comunicazione integrata: fra gli occhi e il viso, fra visione e mimica: è bello vedere e ascoltare la sinfonia degli sguardi, bello socializzare a volto scoperto! Le porte del limbo si sono chiuse alle nostre spalle e siamo tornati ad essere “maschere viventi”.
Scrivere… a scuola
Detto in metafora: i nostri liceali stanno affrontando la maturità con piglio negativo come viaggiatori che si arrestano davanti alla garitta delle guardie di confine: ma non è lì che finisce il viaggio. Il fatto è che la contestata prova scritta è necessaria più allo studente che al docente o alla Scuola. Non solo i nostri ragazzi, ci sono anche adulti e acculturati che non amano la scrittura, forse perché non sono stati guidati alla sua scoperta.
Scrivere è tempo e pensiero, non un esercizio automatico o costrittivo: scrivendo, infatti, possiamo scavare liberamente dentro noi stessi, e dare sfogo alla nostra identità: lo facciamo da generazioni, da quando siamo diventati creatori di parole per scambiare conoscenza. Da millenni, fino a graffiare sui muri la nostra rabbia sociale o urlare canzoni a Sanremo. Si potrebbe scrivere un elogio della scrittura in sé, come forma non evanescente di narrazione personale, ma forse tale elogio non sarebbe capito o frainteso.
Elogio a parte, quel che conta, però, in questo momento storico, è il confronto tra il balbettio sfuggente dei telefonini e il meditato ritmo di una prosa anche scolastica, destinata a permanere sull’orizzonte degli eventi.
Fissata sui supporti tipici dei tempi che si vivono, la scrittura è una forma di resistenza: i nostri ragazzi lottano, come vuole il loro cuore affamato di futuro, ma senza la scrittura come azione del pensiero sono meno agguerriti, perché scrivere è forza, energia, espressione dell’anima: non si dovrebbero perdere. Penso a loro, ai giovani come tali: trascrivendo la frase di un poeta nostrano: “Beati coloro che hanno fame e sete di opposizione!” (D. M. Turoldo). Affermazione che fotografa uno stato d’animo generazionale, una tensione creativa – costruttiva. Con l’attenzione, però, di non tagliare il ramo su cui si è seduti.
L’arte gratuita, cioè dono
Un artista fantasma sta inquietando la provincia veneta: l’Angelo bianco appollaiato sul braccio di una grande croce metallica ad Arcugnano (Vicenza) cioè un manichino bianco come la neve issato lassù dove solitamente planano i colombi, è sembrato all’inizio una goliardata ma il sindaco ha capito che era una installazione cioè un’opera d’arte contemporanea e ha fatto rafforzare i sostegni perché un colpo il vento potrebbe distruggere l’opera, rigorosamente anonima. Però affascinante, misteriosa, silente e a suo modo monumentale.
Bravissimo. Ha capito prima di altri la proposta, il messaggio che quell’angelo senz’ali portava in piazza con la sua apparizione.
L’ignoto artista ha replicato dopo qualche settimana con un altro angelo, questa volta facendolo nuotare nel laghetto di Fimon: questa volta però vi ha aggiungo otto parole che sono tratte da una canzone: “Svincolarsi dalle convenzioni, dalle pose e dalle posizioni” (Morgan). Se qualcuno si aspettava il messaggio, eccolo galleggiare sul nostro presente come esortazione e stimolo a cambiare passo.
L’artista provocatore (che potrebbe essere… plurale) in fuga dal chiasso mediatico, ci lascia delle opere d’arte non solo senza il suo nome, ma gratuite, dunque lasciate o offerte in dono. Sembra esserci un pensiero filosofico in questa esibizione, che è poi un inno all’Arte. Non le firma lui/lei le sculture, perché vuole che siano di tutti. Arte come frutto anonimo, azione e anelito dell’intero paese di Arcugnano, ma forse, e semplicemente, di tutti noi. È un fatto: un abisso separa questo anonimo dagli ignoti che graffiano furtive volgarità e tanta violenza sui muri. Una grande lezione, chiunque tu sia.
Gli alfabeti
(poesia)
Alfabeti di antiche lingue
che inseguono il suono perduto.
Alfabeti che stormiscono come alberi al vento.
Alfabeti vigorosi: ogni lettera un urlo.
Alfabeti che in ogni lettera
hanno il grido di una passione.
Alfabeti in cui risuona la voce del mare
delle onde alla scogliera, della risacca.
Alfabeti che sanno la tempesta, i bisbigli
notturni dei boschi, i versi degli uccelli.
Alfabeti in cui ogni lettera è increspatura
di un silenzio infinito.
Le lettere di tutti gli alfabeti
cercano un suono che un poco assomiglia
al soffio che fa essere le cose.
Antonio Prete
Da L’immaginazione n. 327/2022