Fa impressione leggere frasi come questa: “Il digitale ci priva del corpo, sostituendolo (o opprimendoci) con la sua immagine, un fantasma onnipresente ma di fatto assente”. Lo dice lo scrittore Alessandro D’Avenia, il quale ricorda che ci stiamo difendendo da una “intima e condizionante paura”: quella di perdere sia il corpo che il tempo. Come? “Inviando comode proiezioni digitali: messaggi, immagini, mail… e tutto ciò che ci rappresenta, ma non ci rende presenti”. Amarissimo.
Molti anni fa, qualcuno forse lo ricorda ancora, Piero Angela suggerì di spegnere il televisore per una serata una volta alla settimana: era un’idea – molto provocatoria – di “digiunare” per “disintossicarci”. Ahimé, non fu ascoltato. E oggi stanno arrivando raccomandazioni per liberarci del guinzaglio tecnologico – allora la tv, oggi il telefonino – e riconquistare noi stessi. In quell’occasione, con l’alternativa fra sentirsi “orfani” del video o “liberati” da esso, parlò uno scienziato, Roberto Vacca. Il quale, partendo dalla personale convinzione che il video è “ principalmente adibito alle banalità”, scrisse che l’idea di Angela era una specie di cartina di tornasole per capire le motivazioni della passione nazionale per la tv. E concluse con queste parole: “Spegnere il video un giorno su sette, o solo supporlo, non è una misura autoritaria è un invito a usare l’immaginazione”.
Era il 9 dicembre del 1977. Oggi come ci sentiamo?
Virus e travestimenti
In un vecchio appunto, forse di due anni fa, ho trovato questa frase: “Stiamo sperimentando sulla nostra pelle che cosa sia vivere una vita sotto minaccia”. Ma subito sotto c’è questa: “Si vive con obbligo di mascherina. Noi vivi, noi mascherati. E non è Carnevale”.
Beh, il Carnevale – da poco tornato in calendario – non è necessariamente l’unico periodo dell’anno in cui ci sono le “siòre maschere” in giro dalla mattina alla sera. Purtroppo, o per fortuna – nel senso che almeno sappiamo chi nascondono – ci pensano certi personaggi pubblici che frequentano il palcoscenico della tv. Aveva cominciato il Cavaliere di Arcore (il Berluska di Bossi): il padre di tutti i travestimenti aveva fatto affiggere manifesti formato elefante in cui lui, il nostro Paperone, si presentava travestito in vari modi, come italiano-tipo, arrivando a indossare perfino una tuta da operaio (ancora non pensava al Quirinale).
Era una carnevalata elettorale, si capisce, e molti vi aderirono dandogli il voto. Alla sua scuola di ispira oggi il Felpato del Rosario che fa della propria persona il totem rivestito di immagini-messaggio con l’ossessione elettorale: un perpetuo circo mediatico che include la mascherina disegnata da qualche guru secondo il tornaconto del momento. La sete di potere non conosce limiti: il travestimento è il messaggio, il corpo deve dire “Io sono come voi”, sottinteso “Voi non siete come me”. Ci mancherebbe.
Anche le briciole nel loro piccolo….
Parole di un nonno contadino in Polesine: “Devi sapere che il santo è sceso da cavallo per raccogliere una briciola di pane”. Forse le parole non erano queste, ma sono certo del significato. Ammonimenti che diremmo oggi ecologici, quando la povertà era semplicemente il limite della vita vissuta per popoli interi. E penso subito allo spreco che ci fa tanto stupidi: cose, tempo, luoghi, sentimenti, opere, terra e acqua: tutto insieme “bruciato” in velocità, guardando altrove. Dice il saggio: le piccole cose non ci toccano, sono effetti collaterali dell’abbuffata epocale, valgono come scorie del flusso quotidiano: insomma, a ben guardare, le briciole del nostro vivere in questo secolo ci lasciano indifferenti e cadono dalle nostre tavole, dai nostri orologi, dai conti correnti, dai nostri rapporti sociali e svaniscono nel nulla. E spesso, purtroppo, cadono anche dai nostri cuori.
Tra ceneri d’ore
(La merla)
Sotto il pino la merla fruga impaziente
nell’ingorgo di stecchi e foglie insecchite.
È silenzio:
viene dall’ultime case
a fronte dei campi inoltrati nel sonno
e già s’avvolge ai cespugli
e sopra i nudi vitigni
ferma la corsa dei passeri,
anche il lontano brusio dei boschi.
Ora sotto le piume nerolucenti
della piccola madre
sosta.
Tu questo lungo invisibile fiume
che sale e straripa
conosci e sai,
ma mai indovini dove nasconda
i frammenti degli echi
raccolti nelle albe che apparvero eterne.
Anche per te l’affanno giunge,
in un silenzio che sempre più temi;
e cerchi e frughi
tra ceneri d’ore, immagini felici
e chiedi
se almeno una voce d’amore
è sfuggita ai vortici
e sull’ultima riva dove trascorri
attende fedele
per illuderti ancora
o annunciare salvezza.
Antonio Chiarelotto
È sempre un piacere leggerti, Ivo.
Chissà, sarà l’età a rendere simili i pensieri, che tu sola sai superbamente esprimere
Gianni