Nereo Rocco fece grande il Padova provinciale di metà Anni ’50, poi esplose col Milan che vinse tutto. Tra i suoi giocatori molti futuri tecnici, da Trapattoni a Maldini. Gianni Brera, una delle più raffinate penne del giornalismo sportivo tricolore, disse che “se il Padova avesse avuto un trattamento equo da parte dei direttori di gara, in quegli anni, avrebbe vinto almeno un paio di scudetti”. Stiamo parlando di calcio. Nello specifico del Padova che a metà degli Anni Cinquanta diede vita ad una della serie delle provinciali “terribili” della storia del nostro calcio. Nel 1957/58 arrivò addirittura secondo a pari punti con la Fiorentina dietro alla Juventus. Fu quello l’unico ed ultimo periodo di splendore per la Città del Santo.
Appiani non era terra di conquista
La legge dello stadio “Appiani” era spietata per chi entrava nel rettangolo di gioco. Un Appiani “off limits” per gli avversari ed in merito ne sanno qualcosa squadroni come appunto Juve, Milan, Inter e allora una Fiorentina vincente. Ma anche (all’epoca meno forti) Lazio, Roma e Napoli.
Nereo Rocco, l’artefice
Artefice, regista, “ingegnere” di quella perfetta “macchina da guerra” un omone di Trieste, con la faccia più del boxer che dell’allenatore di calcio: Nereo Rocco classe 1912, meglio conosciuto come “El paron”. Nacque così “la leggenda del Santo Catenaccio” nulla a che vedere con i 4-4-2 o 4-3-2-1 di oggi che sembrano più formule algebriche e non rappresentano la semplicità e la bellezza del gioco del calcio.
Il Padova di Nereo
Quel Padova aveva una difesa impenetrabile, “i miei manzi” definiva Rocco i suoi difensori (forse anche perché la sua era una famiglia di commercianti di carne). All’epoca nemmeno la moviola era stata ancora inventata. Per la città divenuta il cuore dell’economia del Nordest e rinomata per un Ateneo di livello internazionale quelli del “Paron” restano senza dubbio gli anni calcisticamente più belli, con un Appiani riempito all’inverosimile: 22mila spettatori!
Gli esordi di Nereo
Rocco aveva già fatto bene nella sua Trieste tanto che nel campionato 1947/48 la squadra alabardata era arrivata seconda dietro niente meno che il Grande Torino. Tre anni abbastanza anonimi a Treviso dove, però, viene ricordato perché controllava i giocatori che amavano le scappatelle notturne: uno di questi rientrato verso le 5 del mattino si trovò il mister triestino davanti al portone del condominio dove viveva ad attenderlo! Della serie ..siamo atleti è vero, ma anche uomini. Oppure telefonava loro a tarda notte per controllare se erano a casa.
Il salto di categoria
Il grande salto Rocco lo farà al Milan nel 1961 dove già al primo anno vinse lo scudetto. Le sue battute sono passate alla storia. Il suo “Mona” (che in dialetto veneto ha un preciso significato, vale a dire una persona non proprio sveglia) serviva a stimolare i giocatori non ad insultarli. Ma ai dirigenti alquanto “snob” del Milan questo personaggio così schietto nordestino non piaceva proprio. Eppure el “Paron” arricchirà non poco la bacheca rossonera con la prima Coppa del Campioni vinta da una squadra italiana nel tempio di Wembley (doppietta di Josè Altafini), due scudetti, due Coppe delle Coppe, tre Coppe Italia ed un’altra Coppa dalle grandi orecchie vinta a Madrid nel 1969 in cui venne strapazzato l’Ajax di un 22enne Crujff che due anni dopo diverrà una delle squadre più forti al mondo. Fu un grande innovatore e riuscì a creare alcuni fra i più grandi allenatori italiani: Giovanni Trapattoni, Giuseppe Marchioro, Gigi Radice e Cesare Maldini.
L’importanza dello spogliatoio
Teorico dell’importanza dello spogliatoio, fine psicologo, ascoltava i “Senatori” e amava fare gruppo e pranzare con i giocatori. Nonostante fu l’ideatore del catenaccio mise in campo squadre offensive con all’attacco contemporaneamente Rivera, Hamrin, Sormani e Prati. Con 787 panchine in serie A è secondo solo a Carletto Mazzone.
Il mio ricordo di Nereo
A proposito del “Mona”. L’anno scorso Altafini ospite a Jesolo nell’ambito della rassegna estiva “Jesolo libri”, dove ebbi l’occasione di conoscerlo e intervistarlo, raccontò che durante una trasferta del Milan in Francia un capo delegazione che aveva organizzato un incontro amichevole abbracciò l’allenatore ed in lingua francese gli disse: “Oh Roccò mon ami” (che significa amico mio). Rocco non comprese forse il saluto e subito ribatte’: “monamì? No mona ti” (cioè il mona sei tu). Il grande attaccante brasiliano a distanza di anni ancora rideva. Anche questo era il Paron.