Chi ha visto il film “Miracle” di Gavin O’Connor (lo consiglio caldamente a chi ama lo sport dell’impossibile che diventa possibile) potrà notare un particolare. Siamo a Lake Placid Olimpiadi invernali 1980 e la squadra di hockey su ghiaccio statunitense dovrà affrontare la temutissima e favoritissima all’epoca URSS che aveva fatto il pieno di medaglie ovunque. L’allenatore Herb Brooks (interpretato da un favoloso Kurt Russel) mostra ai suoi atleti un video in bianco e nero, l’immagine si orienta sui movimenti del portiere sovietico. Il coach senza giri di parole afferma: “Guardatelo bene. Se riuscirete a fargli gol conservate il disco!”. Perché questa premessa? Semplice. Anzi pongo un interrogativo. Chissà se ogni allenatore avrà mai detto al suo attaccante: “guardalo bene, si chiama Tarcisio Burgnich. Lo chiamano Roccia. Se riesci a saltarlo e andare in gol conserva pure il pallone”. Un giorno forse lo scopriremo.
Ciao Roccia Burgnich
All’epoca i video non erano poi tanto in uso. Ma i calciatori forti erano ben identificati. Quello che sappiamo è che Burgnich ci ha lasciati e andrà a raggiungere buona parte di quella difesa che rese impenetrabile la Grande Inter del Mago Herrera, vale a dire Sarti, Facchetti e il capitano Picchi. Faceva parte di quella filastrocca Sarti, Burgnich, Facchetti ..che chissà per quante volte chi vide quello squadrone avrà sussurrato e quante orecchie anche dei più giovani l’avranno ascoltata.
Se ne va uno dei difensori più forti del calcio italiano. Terzino destro e stopper (termini purtroppo oggi cancellati) giocava con il numero 2 per finire la carriera da libero (numero 6). Nacque a Ruda (Udine) nell’aprile del 1939, esordisce a Udine e poche partite gli bastano per essere acquistato dalla Juventus nell’estate del 1960. A Torino giocherà 13 partite e conquisterà il suo primo scudetto. Quindi il passaggio a Palermo e i timori di un declassamento. Tutt’altro: il capoluogo siciliano per Tarcisio “Roccia”, soprannome affibiato dal grande amico e compagno di reparto Armando Picchi, sarà un trampolino di lancio per arrivare a Milano sponda nerazzurra alla corte del presidente-petroliere Angelo Moratti. Con l’Inter giocherà dodici stagioni, dal 1962 al 1974 conquistando 4 scudetti, due coppe Campioni e due Coppe Intercontinentali. Con Aristide Guarnieri formerà una coppia difensiva tra le più forti al mondo.
Roccia e la sua voglia di giocare
Non era quello che si dice uno stinco di santo, ma mai ha rotto le ginocchia dei suoi avversari. Sapeva giocare con i piedi e la testa ma senza effettuare entrate scomposte, forte in elevazione, bravo nell’anticipo. Silenzioso, ma determinato, rapido e concentrato. In Europa contribuì alla vittoria di due finali contro squadre che all’epoca dominavano a livello internazionale, vale a dire il Real Madrid di Di Stefano, Puskas e Gento e il Benfica di Eusebio. Leggendarie le sfide contro i sudamericani dell’Indipendiente.
Finita la carriera con la Beneamata si trasferì a Napoli nel 1974. In terra partenopea conquistò la Coppa Italia giocando da libero e riuscendo anche a ben figurare con il modulo a zona, già messa in pratica dall’allora tecnico-innovatore Luis Vinicio.
La nazionale
“Roccia” lasciò il segno anche in maglia azzurra. Con la nazionale scelto la prima volta da Mondino Fabbri collezionò 66 presenze e siglò due gol. Uno di questi nella partita del secolo Italia-Germania 4-3 quando nel primo tempo supplementare mise a segno la rete del 2-2 con la rapidità dell’attaccante opportunista. In maglia azzurra vinse l’unico campionato europeo della nostra storia nella doppia finale contro la Jugoslavia nel 1968. Marcò l’attaccante Dragan Dzajic e di lui anni dopo ammise: “Mi fece ammattire, l’attaccante più forte che abbia mai marcato”. Due anni dopo fu vice campione del mondo in Messico, la finale contro il Brasile l’ha vissuta come una beffa. Sul primo gol di testa di Pelè ebbe il coraggio di fare autocritica: “sono stato un pollo nel fare un passo avanti e permettere a Pelè di fare una bella figura”. Già prima della finale, forse per non caricarsi di troppa tensione su O Rey disse: “E’ un uomo”. Dopo l’incontro dovette ammettere: “E’ un marziano”. Partecipò anche ai mondiali di Germania del 1974 e il suo infortunio pesò non poco sull’uscita anzitempo della nostra nazionale che era partita con molti favori del pronostico.
Roccia a fine carriera
Appese le scarpe al chiodo intraprese la carriera di allenatore. Ma anche per lui valse la formula per cui spesso un grande calciatore difficilmente è un grande allenatore. In panchina guiderà Livorno, Catanzaro, Bologna (dove lancerà 17enne Roberto Mancini che dal ritiro azzurro lo ha ricordato), Genoa, Vicenza, Como, Cremonese, Salernitana, Foggia, Lucchese, Ternana e Pescara. La “Roccia” ci ha lasciati il 27 maggio, guarda caso il giorno in cui la Grande Inter festeggiò le due prime Coppe campioni. I social in questi giorni sono scatenati nel ricordare il taciturno difensore friulano: “Ciao Tarcisio sarai sempre la nostra Roccia”.