Grande annata quella del 1955. Il Barolo (ma il barolo è folk?), principale vino italiano a quel tempo degno di calcare le scene enologiche internazionali, esprime una delle sue annate storiche. Nel complesso l’economia post bellica sta risentendo della spinta positiva attivata dalla massa di aiuti derivati in quattro anni dal Piano Marshall (oltre 1.200 milioni di dollari di quegli anni!!).
La Madonna Pellegrina
Dopo il lungo viaggio della Madonna Pellegrina nei primi anni cinquanta e in attesa che arrivi la Madonna di Fatima (nel 1959), si mette in moto quello che fu chiamato “il miracolo economico”. Un grande sviluppo industriale e commerciale del paese che coinvolse in particolare il centro nord. La liretta raggiunse il suo massimo valore sul mercato monetario.
In questa situazione si ebbe anche una forte ripresa delle attività culturali, sia di quelle legate alla produzione (teatro, cinema, musica, danza..) che quelle impegnate nella ricerca (composizione musicale e ricerca sulla musica contemporanea, etnomusicologia, nuove forme cinematografiche come il documentario scientifico, teatro e danza d’avanguardia).
Il tutto sotto lo sguardo occhiuto di una censura clericale e oscurantista che non si fermava neanche di fronte a veri e propri capolavori. Un esempio? Ecco le scene tagliate nel momento in cui fu presentato il capolavoro di Visconti Rocco e i suoi fratelli.
La riprese del teatro e dello spettacolo
Riaprirono teatri di grande storia come la Scala a Milano, La Fenice a Venezia, Il San Carlo a Napoli, il Carlo Felice a Genova, il Politeama a Palermo, il Carignano a Torino, gli innumerevoli teatri e teatrini di Roma e di seguito i mille altri che ancor oggi vivono nel nostro paese.
A Milano in via Borgogna n. 3 già nel 1946 fu inaugurata da Ferruccio Parri la casa della cultura il cui primo presidente fu Cesare Musatti. Fu affettuosamente definita “il più famoso scantinato di Milano” al cui interno si sviluppò un fiorire di attività che coinvolse intellettuali, studenti, artisti e semplici appassionati di ogni origine, provenienza, idea, fede e credo politico.
E’ finalmente Ripresero le stagioni teatrali e musicali nelle grandi città permesso a tutti di assaporare un’aria nuova, l’aria della libertà.
Arriva la TV
Da un anno trasmette il primo canale della televisione italiana. Un bianco e nero incerto, poche ore al giorno in una parte ridotta del complicato territorio italiano, ma l’epoca della TV è al via che sarà inarrestabile.
Così come inarrestabile sarà anche il festival di Sanremo che prenderà il volo dal salone delle feste del Casinò della città rivierasca il 29 gennaio 1951, per accordo con la EIAR di Torino.
Il folk popolare trova una sua identità
Con meno rumore e minori mezzi si muove però anche una parte dimenticata della cultura italiana, anzi una parte sino ad allora sconosciuta, confusa con un generico richiamo al foklore popolare, alle credenze ancestrali, alle consuetudini ormai inculcate in feste religiose e localistiche. Il tutto trattato con un generico riferimento a “culture subalterne” o addirittura sub-culture.
Una nuova generazione di studiosi del folk
Alcuni eventi proprio in quegli anni sconvolgono queste teorie. La ricerca etnoculturale ed etnomusicale nel nostro paese nella prima parte del ‘900 si era sviluppata principalmente al sud, poiché era lì che si manifestava in modo più evidente, era lì che iniziative folkloriche e bandistiche attiravano grande attenzione e consenso senza sollevare problemi di natura politica, e pertanto fu naturale che alla fine della seconda guerra mondiale riprendessero in quelle regioni le attività di studio e di ricerca. Ma una nuova generazione di etnologi si stava affacciando sulla scena. In particolare uno di questi, il napoletano Ernesto De Martino, avvia una ricerca continua ed approfondita in particolare nelle regioni del sud d’Italia.
Il folk progressivo
Tale ricerca penetra la condizione sociale del territorio attraverso lo studio dei fenomeni comunicativi ed espressivi dello stesso, analizzando aspetti come il mondo magico, il pianto rituale antico e l’elaborazione del lutto. A De Martino dobbiamo una definizione del termine folklore che accompagnerà tutte le ricerche dal sud al nord, dagli anni 50 ad oggi riempendole di nuovi significati: folklore progressivo.
Come De Martino definiva il folk
Come specifica lo stesso De Martino è “una proposta consapevole del popolo contro la propria condizione socialmente subalterna, o che commenta, esprime in termini culturali, le lotte per emanciparsene. (..) Il folklore progressivo costituisce un avanzamento culturale effettivo delle masse popolari, la nascita reale di una cultura popolare progressivamente orientata.” Questa intuizione, legata al pensiero gramsciano, sarà fatta propria da studiosi come A.M. Cirese, L.M. Lombardi Satriani, dai ricercatori dell’Istituto Ernesto De Martino e da quanti si avvicineranno al mondo della cultura di tradizione con spirito aperto e voglia di capire quel mondo.
L’arrivo di Alan e il suo giro per l’Italia a caccia del folk
Ma il biennio 54/55 doveva riservarci un’altra sorpresa straordinaria. Dagli Stati Uniti sbarcava in Italia, iniziando dalla Sicilia come storia vuole, uno dei più grandi etnomusicologi e ricercatori sul campo del mondo, e uso questo termine senza tema di esagerare: Alan Lomax.
Figlio del musicologo John Avery Lomax, Alan James nacque il 31 gennaio del 1915 ad Austin, in Texas. Partecipò, assieme al padre, ad una lunga serie di ricerche, fra il 1933 e il 1942, nel sud degli Stati Uniti, per documentare, con registrazioni sul campo effettuate su cilindri di cera (non erano ancora in commercio registratori a nastro), la cultura musicale degli abitanti delle regioni meridionali e in particolare dei discendenti degli schiavi deportati dall’Africa.
Chi era Alan
Egli stesso chitarrista ed esecutore di canti di tradizione, si esibiva in concerti. Ma il lavoro che lo rese famoso nel mondo e che gli riserva ancor oggi un posto di grande rilievo nella ricerca etnomusicologica fu la raccolta di nastri dell’Archive of American Folk Song della Biblioteca del congresso degli U.S. con la grande massa e l’elevata qualità delle registrazioni che ha fatto colà pervenire da ogni parte del mondo. Molto ha prodotto Alan e molto si è scritto su Alan e sul suo lavoro che in parte ha oscurato l’importanza dell’opera del suo mentore, il padre John, musicologo raffinato e molto attento alle forme musicali della tradizione popolare.
Il suo studio sul folk
Fu proprio questi ad avviarlo sulla strada della ricerca sul campo con la lunga e preziosa spedizione al sud tra i campi e i ghetti dei negri, ufficialmente non più schiavi, ma ancora assoggettati allo strapotere bianco e alla sua cultura razzista. John si lancerà con passione in questa che sarà la sua ultima e più grande avventura coinvolgendo il figlio diciottenne e passandogli il testimone.
Anche questa vicenda ebbe grande narrazione in patria e nel mondo della cultura. Il lavoro certamente più originale vide la luce nel 2011. Un libro a fumetti scritto a Parigi da Duchazeau dal titolo “Lomax – Collecteurs de Folk songs”, prodotto dall’editore Dargaud. Nel 2012 l’ha tradotto in italiano la Coconino Press di Bologna, Ecco quattro vignette che espongono i due punti di vista diversi che si sono incontrati e per certi versi compenetrati nella lunga esperienza.
In viaggio per l’Italia in cerca del folk
Tra il 1954 e il 55 Alan Lomax percorse tutte le regioni della nostra penisola in compagnia di un giovane etnomusicologo che poi lascerà un segno nella nostra cultura: Diego Carpitella. Raccolse canti, musiche, immagini della nostra vita nazionale che noi non sapevamo di avere. Dette completezza ad un quadro nazionale di suoni canti e gesti che ai più era ignoto e che alimentò per anni documentari, film, trasmissioni radiofoniche.
Ma soprattutto ci insegnò che “folklore progressivo” non era uno slogan sorto dalla mente originale di un intellettuale snob a contatto con il popolo, ma un punto di vista sul modo di raccontare la propria vita, la propria storia, il proprio domani della stragrande maggioranza degli Italiani.
Ripartiamo dal 1955
In quel1955, da cui siamo partiti, Roberto Leydi, a quel tempo giovane critico musicale specializzato in musica jazz dell’Avanti, presentando il libro “Ascolta mister Bilbo!” Canzoni di protesta del popolo americano, stampato dalle Edizioni Avanti, si chiese “Come mai in Italia non ci sono canti di protesta popolari?” e si dette una risposta interlocutoria “Ma forse non li abbiamo cercati abbastanza!!”.
Questo video è cantato da Pete Seeger, un folk singer molto caro a Lomax che dedicò buna pare della sua attività alla diffusione dei canti di protesta sindacale, come vengono definiti negli USA.[1]
[1] Traduzione del testo di Joe Hill
Joe Hill arrivò dalla Svezia
per cercare da lavorare
E la Statua della Libertà lo salutava
Mentre Joe arrivava per mare, Joe Hill,
Mentre Joe arrivava per mare.
Oh, aveva vestiti rozzi, ma sperava grandi cose
Mentre andava verso la terra promessa.
In due settimane per le strade dei senza lavoro
Cominciò a capire come andava
Cominciò a capire come andava
Joe fu assunto in un bar della Bowery Per spazzare la sala,
Lo straccio che passava sulla barra del bancone
Sembrava quasi fischiettare un motivo,
Sembrava quasi fischiettare un motivo
E Joe passò via di lavoro in lavoro,
Fece lo scaricatore e l’operaio di ferrovia
Non importava quanta fame avesse la mano che scriveva,
Nelle sue lettere gli andava sempre bene
Nelle sue lettere gli andava sempre bene
Passarono gli anni come il sole che tramonta,
Gira la pagina lentamente.
E quando Joe si guardava il sudore colare ai suoi passi
Non aveva altro da mostrare che i suoi anni
Non aveva altro da mostrare che i suoi anni
E allora se ne andò in California
E là le cose andavano pure male.
Entrò così negli Industrial Workers of the World
Perché il Sindacato era l’unico amico che aveva,
Perché il Sindacato era l’unico amico che aveva.
Allora gli scioperi erano tremendi e illegali
E tanto duri quant’erano lunghi.
Nel buio della notte Joe stava sveglio e scriveva,
E la mattina li faceva alzare con una canzone
E la mattina li faceva alzare con una canzone.
Scriveva le parole sui motivetti del giorno
Per innestarle sulla vite del Sindacato
E si facevan gli scioperi, e le canzoni si diffondevano,
E Joe Hill era sempre in prima linea,
E Joe Hill era sempre in prima linea.
Ora, a Salt Lake City fu commesso un omicidio,
E proprio non si trovava un indizio.
Le prove erano poche, ma lo sceriffo era sicuro
Che fosse Joe l’assassino in quel delitto,
Che fosse Joe l’assassino in quel delitto.
Joe si arrese, ma loro gli spararono,
Non aveva altro da dare che una colpevolezza.
“Ho bisogno di un dottore”, e lo lasciarono sanguinante,
Lo faceva perché aveva voglia di vivere,
Lo faceva perché aveva voglia di vivere.
Il processo si tenne in una costruzione in legno
Dove l’assassino avrebbe avuto un nome.
E i giorni pesavano più del freddo minerale di rame
Perché aveva paura che lo stessero incastrando,
Perché aveva paura che lo stessero incastrando.
Oh, strane sono le vie della legge là nell’Ovest,
E strane sono le vie del destino,
Perché il governo strisciò al volere del proprietario della miniera
Che il giudice fosse nominato dallo Stato,
Che il giudice fosse nominato dallo Stato
Oh, nell’Utah si può avere giustizia,
Ma non per un sindacalista
E Joe fu avvisato una mattina presto d’estate
Che ci sarebbe stato un cantante in meno nel Paese,
Che ci sarebbe stato un cantante in meno nel Paese.
Il governatore era William Spry
E lui poteva decidere su una vita.
All’ultimo appello versò una lacrima governatorale,
“Che il Signore abbia pietà della tua anima,
Che il Signore abbia pietà della tua anima.”
Persino il presidente Wilson cercò di fermare l’esecuzione
Ma neanche lui ce la fece
Perché nessuno udiva le parole strazianti
Di quell’anima in prigione a Salt Lake City,
Di quell’anima in prigione a Salt Lake City.
Visse i suoi giorni per trentasei anni,
E fece ben più che fare la sua parte.
Per le sue canzoni fu ben ricompensato
Con una pallottola piantata nel cuore,
Con una pallottola piantata nel cuore.
Sì, Joe Hill lo misero al muro
Dopo avergli bendato gli occhi.
Vita da ribelle lui scelse di vivere,
Morte da ribelle fu quella che morì,
Morte da ribelle fu quella che morì.
Qualcuno dice che Joe era colpevole,
Qualcun altro che nemmeno era là.
Scommetto che nessuno lo saprà mai,
Perché gli atti processuali sono tutti spariti,
Perché gli atti processuali sono tutti spariti
E dovunque andiate in questo bel Paese,
In ogni camera sindacale, si può dire
Che queste parole son segnate nel buio polveroso
Tra tutte le crepe del muro,
Tra tutte le crepe del muro
Sono l’ultimo verso scritto da Joe Hill
Quando seppe che i suoi giorni erano finiti:
“Ragazzi, queste sono le mie ultime volontà,
Buona fortuna a tutti voi,
Buona fortuna a tutti voi.”
Il folk vince
Da allora in poi in tutta Italia ci fu un fiorire in crescendo di ricercatori, di studi universitari e di cattedre di etnologia, di gruppi di ricerca, di “canzonieri di riproposta”, di pubblicazioni su carta e su vinile, di concerti e grandi spettacoli teatrali. Di grandi consensi e terribili dissensi. Di idee condivise e di metodi confliggenti. Di esplosive energie e di silenziose stanchezze. Di lucide analisi. Tante. Troppe qualche volta. Probabilmente.
Quella che segue questi straordinari e complicati anni 50 è una storia più volte narrata dalla parte dei … possiamo chiamarli vincitori?
Dal prossimo numero ve la racconterò con le vicende, con gli esiti delle ricerche e con le creazioni di chi un posto di prima fila in questa storia l’ha fortemente cercato da molto prima del 1955.
E’ un canto politico risalente probabilmente al 1909-10 di autore anonimo, ancor oggi molto noto. Lo ha raccolto Ernesto De Martino ad Alfonsine (Ravenna) nel 1951.La registrazione è tratta dallo spettacolo Bella ciao del Nuovo Canzoniere Italiano edizione del 1965 e l’esecuzione è del Gruppo Padano di Piadena.