Una giornata a Mirano, cittadina immersa nella campagna veneta, relativamente vicina a Padova, a Treviso e soprattutto a Venezia, dalla quale dista appena 20 km. Ed è grazie alla sua posizione che Mirano è stata scelta dalla nobiltà lagunare del Seicento-Settecento per costruire le proprie dimore estive. Le prestigiose ville venete, veri gioielli di architettura ancora costituiscono un vanto per il territorio. Il cuore del centro storico di Mirano è rappresentato da Piazza Martiri della Libertà. Qui si affacciano palazzi di rilievo, tra cui villa Corner-Renier, attuale sede municipale, il cinquecentesco duomo di San Michele Arcangelo che custodisce al suo interno un vero capolavoro, la pala del “Miracolo di Sant’Antonio che riattacca il piede” di Giambattista Tiepolo. Sul soffitto si può ammirare un affresco del “Giudizio universale” di Giovanni De Min, esempio della pittura veneta dell’Ottocento.
Mirano e il “zogo”
Una cittadina che ha sempre mostre ed eventi interessanti ed anche quest’anno presenta una delle manifestazioni più attese: Il gioco dell’Oca. Il pennuto è l’alfiere ideale sotto ogni punto di vista per questa ricorrenza, con una fiera da decine di migliaia di visitatori, hotel e ristoranti da tutto esaurito, occasioni di svago e riscoperta di antiche tradizioni locali, comprese quelle legate alla buona tavola e al cibo. Oca da guardare, oca da mangiare, oca per divertire. Mirano, nel weekend di san Martino, cambia volto per due giorni: il centro storico si trasforma in una piazza della Belle Époque, lasciando il campo a una fiera paesana di inizio Novecento.
A farla da padrona sono gli stendardi con lo stemma sabaudo, i banchi in legno del mercato, le bacheche con gli avvisi comunali, i manifesti con le prime réclame. Anche i moderni cartelli stradali vengono coperti con la riproduzione fedele delle insegne d’epoca. L’appuntamento con il salto indietro nel tempo quest’anno è il 9 e 10 novembre: ci sarà lo strillone con il giornale, l’imbonitore con i suoi intrugli, le servette nel giorno di riposo, l’artigiano che impaglia le sedie, i baracconi con il fucile a elastici, i barattoli da abbattere a pallate e altri giochi di una volta. Protagonista il pennuto più famoso di queste zone, in linea con il detto popolare “Chi no magna l’oca a San Martin no fa el beco de un quatrin”, ovvero chi non mangia l’oca a San Martino non fa il becco di un quattrino.
È sempre stata usanza, dalle parti di Mirano, festeggiare la chiusura dell’anno agrario, l’11 novembre, mangiando l’oca
Questo perché in quel periodo dell’anno la carne del pennuto è così grassa e tenera da sciogliersi in bocca, ma soprattutto all’epoca i proprietari terrieri di Mirano erano in gran parte ebrei e non potevano mangiare maiale. Roberto Gallorini, patron della Pro Loco, e Sandro Zara, custode di tradizioni, decisero di ripristinare e ufficializzare queste antiche usanze: un modo per far innamorare i Miranesi delle proprie radici. Un’altra grande intuizione fu quella di chiedere al pittore Carlo Preti, di ideare e creare “El Zogo de l’oca de Miran”, edizione riveduta e corretta del celebre gioco da tavola. La piazza ovale del paese diventa un grande gioco di società con 63 grandi caselle di due metri per due, dadi e pedine giganti.
Le sue frazioni
A sfidarsi sono, da allora, ogni anno, le squadre del capoluogo e delle cinque frazioni di Mirano: così il Zogo è diventato anche una sorta di palio tra contrade, dove si misura la sana rivalità tra i campanili del comune. A darsi battaglia gli arancioni di Scaltenigo, i blu di Vetrego, i gialli di Campocroce, i rossi di Ballò, i verdi di Zianigo e gli azzurri di Mirano capoluogo. Tra i campanili miranesi è sfida vera: le squadre si preparano con largo anticipo, provano i giochi, preparano costumi e tecniche per arrivare per primi alla casella 63. Il pubblico incita, lancia sfottò, si lascia rapire dalla sana rivalità del gioco. Chi vince ha solo l’obbligo di devolvere il premio in denaro a una realtà associativa o benefica del proprio paese ed è ciò che riporta la sfida alla dimensione di gioco.
Attorno al Zogo, per due giorni, la Mirano è quella di un secolo e più fa
Passeggiando il sabato pomeriggio per le vie del centro sembra di essere tornati indietro di cent’anni per la cura riservata ai particolari e soprattutto alle circostanze: i baracconi, il vecchio luna park, i mercanti, tutti in costumi d’epoca fedelmente riprodotti dagli originali. È una manifestazione che porta a Mirano migliaia di persone da tutta Italia e anche dall’estero, un avvenimento che sicuramente dà lustro alla cittadina veneta. Nei giorni della festa viene consigliato, anche, un percorso particolare, quasi un pellegrinaggio, breve ma intenso, alla scoperta dell’Oca in “tutte le salse”. Si inizia dall’Osteria dell’Oca, una ricostruzione in legno di una vecchia osteria, posta davanti alla fontana del leone, dove assaggiare subito un piattino di affettati misti d’oca (un delizioso prosciutto cotto e un superbo salame). Se si desidera qualcosa di più sostanzioso per lo stomaco, si consiglia un panino con salsiccia d’oca calda.
Qui, dalle 12.00 alle 14.00 potrete degustare anche il famoso risotto con salsiccia d’oca di Germano, “il cuoco dell’oca”; inoltre, qui si trova anche un buon bicchiere di vin broulè bollente al profumo di cannella e chiodi di garofano. Dall’Osteria dell’Oca si passa al “Bacareto de l’Oca”; anche questo è la ricostruzione di un locale tipico veneziano dove, con “un’ombra” di vino in mano, degustare “i cicheti”, cose semplici ma sfiziose.
Vivamente consigliato il musetto d’oca con polenta ai ferri che è una specialità tipica del territorio. Non sono da meno, però, il panino con la salsiccia calda e il piatto di ochette: ravioli freschi fatti a forma di ochetta e ripieni di oca (fatti per l’occasione da un bravissimo pastaio di Mortara) saltati nel burro e salvia. Tra un passaggio e l’altro tappa anche all’Osteria del Fritto per gustare e abbandonarsi alla peccaminosa goduria di una mozzarella in carrozza calda e ripiena di prosciutto cotto d’oca.
Mirano e il ritorno al passato
Partecipare alla Fiera è come tornare bambini, godendo di cose semplici, assaporando prodotti genuini e sapori dimenticati. Nelle bancarelle dell’Ocaria, tutto quello che è in vendita richiama questo pennuto, con un’infinità di oggetti da collezione o per l’uso quotidiano creati in esclusiva per la manifestazione. Grembiuloni da cucina, canovacci, tovagliette, asciugamani, ceramiche, piatti, tazze, tazzine, bicchieri. E ancora, cornici, magneti, matite, libri e serigrafie. Evento nell’evento, dal 2 al 10 novembre, nelle sei sale di Villa Morosini – XXV aprile, ci sarà la mostra: “Il Tabarro, artigianalità dal passato al Presente”.
Si potrà scoprire la storia di questo indumento che è stato identitario per il nostro territorio come per tutta la Pianura Padana, e la maestria dei nostri “sartori” nel realizzarlo. Inoltre, potrete capire l’evoluzione nel tempo dei tessuti usati e del suo utilizzo, ma anche conoscere come in questi ultimi 50 anni il nostro concittadino Sandro Zara ha riproposto e prodotto questo indumento di alta artigianalità facendolo apprezzare in tutto il mondo. La mostra aprirà ufficialmente il 2 novembre alle ore 18.30, preceduta alle 17.00 da una presentazione-racconto del prodotto, della sua realizzazione e della sua evoluzione nei materiali. Rimarrà aperta sino a domenica 10 novembre giornata in cui è prevista la Tabarrata, un grande raduno di amanti del Tabarro. E si festeggerà il cinquantesimo del Tabarro di Sandro Zara.
La sua arte
Trascorrere una giornata o un week end a Mirano, significa anche, poter ammirare le magnifiche ed eleganti ville venete nel cuore della città. L’imponente villa seicentesca Belvedere e la splendida villa Morosini – XXV aprile stile palladiano, con la loggia a colonne d’ordine ionico, coronata da timpano e statue. Qui si può passeggiare nei verdeggianti parchi pubblici.
Proprio di fronte, si erge il suggestivo complesso architettonico del Castelletto e delle grotte del Belvedere. Il Castellettorisale alla seconda metà dell’Ottocento e conserva la torre ottagonale a cinque piani. Qui si trovano anche le Grotte, un itinerario sotterraneo di circa 250 metri. Caverne, gallerie, cunicoli si alternano fino a un lago artificiale, alimentato dalle acque del Muson.