Parlare del tempo che fa non è sicuramente un vezzo degli inglesi o dei nostri quando sgusciano via per evitare di impegnarsi in un “discorso serio”. Ci troviamo comunque a parlare di tempo altro, secondo le situazioni o addirittura gli stati d’animo, complice il flusso di informazioni che dilaga nelle nostre giornate risvegliando emozioni assopite e dando voce al nostro disagio.
In questo periodo ho incontrato un’espressione che non conoscevo nel contesto in cui era calata: “nel tempo vuoto”; tre parole che mi hanno colpito in profondità: vuoto, dunque sterile, e perciò aperto a chiunque se lo prenda, oppure lasciato passare senza frutto, il nulla del vissuto.
Vuoto, o addirittura morto, quel tempo è reale e ci parla di una realtà che ci sta accanto ma non vi partecipiamo: è quella dell’”Italia dietro le sbarre”, come l’ha definita un grande giornalista nostrano, G. A. Stella.
Notizie dalle prigioni arrivano ormai di frequente: escono da quei mondi chiusi, sigillati come astronavi nello spazio, ci parlano di condizioni di vita estreme che portano a rivolte, a tentativi di evasione e, ahimè, allungano la lista nera dei suicidi, non solo fra i detenuti ma anche fra le guardie carcerarie. Voci infere, di un’umanità deviata nell’invisibilità.
Gli “orizzonti ristretti” dei luoghi di pena (come recita un benemerito giornale redatto in carcere) stringono un mondo parallelo al nostro: ma non comunicano, e le mura che li dividono sono solide come quelle di ferro e cemento, e forse di più.
Perché in questo nostro mondo ci sono anche prigioni invisibili che gli uomini, e le loro istituzioni, costruiscono: sofferenze senza processo o condanna, gli umiliati e offesi, i dispersi dalle catastrofi che diciamo naturali tacendo il ruolo essenziale di noi Sapiens, le guerre che uccidono e devastano, ecc. ecc. In questi casi non c’è chi “va a finire dentro”, le trappole esistono già.
Quelle vite prigioniere, con il loro carico di male compiuto, con la lenta macerazione nel tempo vuoto cioè nell’inerzia totale, con la condanna e l’espiazione e diciamo pure l’agonia di un vivere che è un sopravvivere forse hanno perso la nostra pietas, ma sicuramente i loro “piccoli inferni quotidiani” dovrebbero essere almeno “sentiti” emotivamente dalla gente comune (“c’è chi sta peggio di te”) mentre “a livello politico“ diventano problema di civiltà. Le voci dal limbo carcerario ci interpellano.
P. S.
Questi vaganti pensieri erano già stati scritti quando ho letto sul Corriere del Veneto la notizia, straordinaria, dei due giovani sposi vicentini, Chiara e Jacopo, che nell’agosto scorso hanno festeggiato le nozze (con settanta invitati) nel carcere Due Palazzi a Padova. Un gesto di grande umanità e di valore civico. Chapeau.
Baruffe… etniche
Le cronache ci buttano in faccia con una frequenza che allarma, gli scontri fra bande di giovani “nostrani e forestieri”. In Veneto, le violenze di piazza le chiamiamo ancora baruffe, ma sappiamo che il nome è soltanto il ricordo di un evento culturale firmato Goldoni. Se proprio vogliamo rievocare le baruffe antiche possiamo farlo come citazione più o meno colta, senza però confondere le diverse nature: le baruffe, cioè questi scontri sociali che turbano la tranquillità delle notti in città, una volta erano alterchi di vicinato, scontri fortemente verbali (goldoniane, insomma), con qualche pugno e calci.
Ma tutto cambia e si trasforma nel crogiolo della vita sociale: dalla commedia si è passati alla cronaca nera, e così le baruffe sono diventate aggressioni, pestaggi e hanno una caratteristica identitaria: sono multietniche. Fra loro, ormai “parlano” i coltelli. O, peggio: ci sono vere e proprie bande o squadre di guastatori, come quella che ha drammatizzato una via centrale di Mestre alla fine di agosto aggredendo i passanti.
Pensiero triste: la Venezia di terraferma, dove ci celebrano ogni anno un Festival della politica e un Festival delle idee simboli di civiltà e convivenza, partecipati da migliaia di cittadini, sta forse diventando terreno di scontro per regolamenti di conti fra gang implicate in traffici illeciti?
Le bande esistono, purtroppo. Giovani e giovanissimi spostati, che spesso hanno abbandonato la scuola, trovano nella “fratellanza violenta” del gruppo un collante potente. Qui – viene da dire amaramente – la complicità tra italiani e figli di immigrati realizza una discutibile integrazione…
Meteo 2
(poesia)
1.
Come libellule ammaestrate
le foglie strappate dal vento,
d’improvviso autunnale,
vagano lente in circolo
quasi frenando la caduta
verso l’asfalto della mia città
La loro frenesia si spegne
nell’incontro con la strada,
e questo volo è un messaggio:
cambia il vento, l’attesa è finita.
2.
L’ombra della nuvolaglia
ci ruba tutti i colori: domina
il bianco e nero ingrigito
e l’aria di rapina porta lontano
da qui foglie e polvere.
Così fuggono i pensieri
dell’inquieto: altre ombre
coprono i nostri orizzonti,
altre attese occupano i cuori,
e le piogge, pur se lente,
ci laveranno le ferite.
Anonimo ‘24
Parlare del tempo – e delle prigioni … i “”cambiamenti del clima” hanno costretto molte persone non più giovani o ” diversamente giovani”,
a cambiare le solite abitudini e a sentirsi non più liberi di decidere come passare le giornate. Le temperature sempre più “africane” per periodi sempre più lunghi ci costringono in casa e impediscono le salutarie passeggiate all’aria aperta.Ci fanno in un certo senso sentire “imprigionate”, “ingabbiate”. E questi cambiamenti spesso sono diventati l’argomento del giorno.
Io personalmente a casa sto molto bene, ho i miei “hobbies” e i miei passatempi, e mi piace il mio ambiente. Ma ora devo riprendere, un pò alla volta, di uscire e fare i salutari “quattro passi” – ed è faticoso …
Parlare del tempo – e delle prigioni … i “”cambiamenti del clima” hanno costretto molte persone non più giovani o ” diversamente giovani”,
a cambiare le solite abitudini e a sentirsi non più liberi di decidere come passare le giornate. Le temperature sempre più “africane” per periodi sempre più lunghi ci costringono in casa e impediscono le salutarie passeggiate all’aria aperta.Ci fanno in un certo senso sentire “imprigionate”, “ingabbiate”. E questi cambiamenti spesso sono diventati l’argomento del giorno.
Io personalmente a casa sto molto bene, ho i miei “hobbies” e i miei passatempi, e mi piace il mio ambiente. Ma ora devo riprendere, un pò alla volta, di uscire e fare i salutari “quattro passi” – ed è faticoso …
Ps: la poesia che ci hai regalato – è fantastica!