Gli italiani sono un popolo che ama molto la propria casa, nel senso letterale di abitazione. Il mattone viene visto come un investimento sicuro che non può mancare: oltre il 70% della popolazione abita un immobile di proprietà e questa è una situazione che non ha eguali in Europa; per esempio, in Svezia, Olanda e Stati Uniti il dato è al 62%, al 56,5% e al 53%.
Le parole d’ordine sono: green e smart (ne ho già scritto più volte), cioè ambiente e tecnologia.
Bioedilizia
Parliamo di bioedilizia, di quella tecnica costruttiva che si caratterizza per l’utilizzo di materiali naturali, soprattutto per interventi di isolamento, termico e acustico.
Così come il calore non deve essere disperso, è importante anche il modo in cui lo si raccoglie. I progetti di bioedilizia cercano di massimizzare l’esposizione alla luce naturale del sole attraverso una corretta disposizione e orientamento delle finestre. Per assicurare costantemente una buona qualità dell’aria all’interno degli ambienti, per esempio, si usano impianti di ventilazione meccanica controllata.
Casa passiva e zero net building: qual è la differenza?
Per raggiungere la piena efficienza energetica bisogna anche rivedere la fonte dei nostri consumi, specialmente per quanto riguarda elettricità e riscaldamento. La riduzione del fabbisogno energetico e il miglioramento dell’efficienza sono alla base di due nuove tendenze in fatto di architettura sostenibile: Casa Passiva e Zero Net Building.
Una casa passiva è un’abitazione che, limitando la dispersione termica, permette di ridurre fino al 90% le spese di riscaldamento. Il concetto di casa passiva nasce in quei Paesi dove gli inverni sono molto rigidi. Oggi, infatti, i progetti di case passive si concentrano principalmente nei paesi scandinavi, in Germania, ma anche negli stati più freddi degli USA.
La Zero Net Building è, invece, una recente filosofia di costruzione che vede gli edifici come fonti attive di produzione di energia. Ma mentre la casa passiva si concentra sulla riduzione di energia, un edificio a emissioni zero ricerca l’equilibrio tra produzione e consumo.
Oltre la smarthome
Negli ultimi anni, dopo che gli smartphone sono entrati nelle nostre vite e, almeno in parte, le governano, i dispositivi intelligenti iniziano a farsi strada nelle nostre case.
Impianti di illuminazione, televisori, lavatrici e frigoriferi possono essere connessi a Internet. Ma anche se aumenta la sua importanza, l’innovazione diventa invisibile. È il caso delle tegole fotovoltaiche, già oggi disponibili sul mercato e anche di alcuni tipi di materiali trasparenti in grado di trasformare l’energia del sole, che ci porteranno ad avere finestre fotovoltaiche.
Già oggi si può portare la casa nel futuro; installando sistemi di immagazzinamento dell’energia, si possono ottimizzare produzione di energia e consumo. Accumulando l’energia del sole non utilizzata, la si rilascia quando ce n’è necessità, riuscendo a raggiungere un’autonomia del 75% circa delle necessità di consumo.
Case del futuro e nuovi professionisti
La prima ipotesi futuristica (ma non troppo!), mette al centro l’idea della casa del futuro paragonandola alla struttura di un albero. Rami, foglie, radici: tutto è strettamente interconnesso e questo perché i luoghi in cui vivremo da qui a fra pochi anni non saranno più le abitazioni come le conosciamo ma agglomerati di stanze «senzienti»; grazie alla presenza di sensori e dell’Internet delle cose e a elementi naturali a basso impatto ambientale dall’altro, gli spazi saranno dotati di un nuovo equilibrio «eco-tecnologico».
Si cercherà quindi un contatto maggiore con il verde e anche luce, materiali d’arredo e tessuti avranno un richiamo alla natura. Un esempio di architettura che sfrutta i benefici della luce naturale, è “El Camarin”, un piccolo appartamento nell’angolo di un edificio Buenos Aires, con una vetrata curva che garantisce la privacy degli abitanti ma offre anche il massimo apporto di luce. Nello stesso tempo, si vivrà in un ambiente ad alta presenza tecnologica, capace di monitorare la salute degli abitanti. Un esempio di questo tipo di tecnologie sono le lampadine smart che monitorano la frequenza cardiaca, la temperatura corporea e la qualità del sonno, in grado di rilevare una caduta e di attivare autonomamente l’intervento dei soccorsi.
Ma per realizzare strutture complesse di questo tipo servirà una combinazione di vecchie e nuove competenze, con professionisti provenienti da diverse discipline. Non solo consulenti botanici, ma anche chi sappia gestire i dispositivi smart e analizzare i dati raccolti, come gli ingegneri informatici, ad esempio.
Locali abitativi intelligenti
Nelle case intelligenti di domani, si ipotizza che saranno i dispositivi stessi ad agire in modo autonomo dopo aver appreso, grazie alla loro capacità di autoapprendimento (machine learning), le preferenze e le abitudini degli abitanti.
In un solo ecosistema domotico, sarà possibile gestire illuminazione, climatizzazione ed efficienza energetica. I sensori apprenderanno i movimenti degli abitanti, rileveranno umidità e temperatura e saranno in grado di trovare soluzioni adatte al momento, in totale autonomia operativa; così, il sistema regolerà la temperatura, le luci si accenderanno al passaggio in corridoio, eccetera. Per progettare questi ambienti servirà una contaminazione di competenze differenti. Sia profili tecnici, sia figure capaci di progettare le interazioni tra dispositivi e utenti; ma servirà anche chi saprà occuparsi della protezione dei dati di cui la “macchina per abitare” (per citare l’arch. Le Courbousier) si occuperà per far funzionare sé stessa.
Case multiuso e multifunzione
Sempre di più, sembrerebbe, la casa del futuro (prossimo) sarà anche lo spazio per lavorare. Ma il lavoro da remoto, con l’avvento del metaverso, diventerà anche meta-working, per cui la casa fisica avrà anche un “gemello” virtuale per vivere esperienze condivise e immersive con i colleghi, nonostante la distanza.
Ci saranno ambienti domestici in grado di ospitare il “meta ufficio”, una sorta di ufficio a realtà aumentata, che permetterà di restare a casa senza rinunciare però all’interazione con i colleghi.
E se tutto questo, oggi, ci sembra davvero poco probabile o, addirittura, inverosimile, pensiamo che fino a 10 anni fa non avremmo mai potuto immaginare che gli smartphone avrebbero dominato le nostre vite e che avremmo potuto fare la spesa da casa, riempiendo un carrello virtuale con un personal computer.