Dice il direttore: “Ti sei per caso informato, se tra i centomila alpini che sfilano oggi a Vicenza per l’adunata nazionale ci sarà anche Giancarlo Gentilini, l’ex sindaco-sceriffo di Treviso”? No, anzi me ne sono guardato bene, perché sulle loro cose gli alpini non scherzano e contrariamente a quanto si usa oggi sono persone riservate, schive come le loro montagne. Perciò non so se oggi Giancarlo Gentilini, classe 1929, ex sindaco-sceriffo di Treviso sarà tra le centomila penne nere che sfileranno a Vicenza, ma di una cosa sono sicuro: se proprio questa volta i suoi 95 anni non gli consentiranno di farlo, rimarrà incollato al televisore dalle 9 fino al tardo pomeriggio, quando si concluderà la sfilata. E le centomila penne nere che avranno orgogliosamente percorso il centro di Vicenza, ultimi quelli della sezione Monte Pasubio, si daranno appuntamento per il prossimo anno a Biella sotto l’orgoglio di essere Alpini.
I valori degli Alpini
Perché per lui, come per tutti i 350mila iscritti all’ANA ( l’Associazione Nazionale Alpini) che si sono avvicendati dalla prima adunata nazionale del 1920 a Milano, partecipare in qualsiasi modo alla sfilata annuale è una questione d’onore. Serve a ribadire a tutti: attenzione, saranno pur cambiati i tempi, i gusti, le mode, ma noi siamo sempre gli stessi e i nostri valori non tramonteranno mai. Ed è facile, per chi vuole, scoprire perché: sono fatti di sacrificio, fatica, coraggio e dedizione. Tutte parole che da sole non significano niente se non sono accompagnate da un impegno vero, che loro sanno donare con pudore, senza sbandierare niente ai quattro venti.
Un corpo di quasi 150 anni
Piaccia o no, gli alpini sono fatti così, abituati a dare senza chiedere da quel lontano 15 ottobre 1872, da quando con un decreto di Vittorio Emanuele II°, firmato a Napoli, il Corpo è stato fondato ufficialmente. Una nascita, è bene chiarirlo subito, che la si deve tutta all’intuizione del capitano Giuseppe Perrucchetti, l’indiscusso padre degli alpini. L’Italia era nata da poco, ma lui aveva già visto lontano: chi può difendere i confini della Patria, disegnati dalle montagne, meglio di chi ci vive? Chi conosce meglio l’asprezza e le difficoltà della vita in quota ed è tutt’uno con le montagne dove è nato? Questo è l’orgoglio di essere alpini.
E allora perché non inquadrare in nuovi battaglioni, magari contrassegnati col nome della propria valle, i valligiani chiamati alle armi? Le penne nere sono nate da queste certezze ed hanno dimostrato da subito di meritare tanta fiducia, onorandola in guerra e in pace, rimanendo sempre al disopra delle beghe di chi vuole tirarli dalla loro parte. E non sarà un caso se in tutte le adunate nazionali (siamo ormai a quota 95) sono sfilati a centinaia con la fascia tricolore i sindaci dei Comuni alpini di tutti i partiti; se sul palco d’onore ad applaudirli si sono avvicendati ministri di tutte le parti politiche.
Ma Gentilini ci sarà?
Perciò, quando nel 1994, alla sera della sua elezione al neo sindaco Gentilini fu chiesto se era d’accordo con la secessione del Nord (minacciata dal leader storico della Lega, Bossi la sua risposta lasciò tanti di stucco. Non s’era perso in giri di parole come spesso capita ai politici, ma era andato dritto al dunque e aveva risposto: “Sono prima italiano, poi alpino, poi leghista”. Se questo non è orgoglio di essere alpini. E si capiva che era fiero di tutte e tre le cose nello stesso modo e che tanto bastava per chiarire il suo pensiero.
E’ roba di trent’anni fa, ma non è per niente invecchiata. Del resto Vicenza, provincia martire della Grande Guerra per gli alpini è come la grande madre. E’ sulle sue montagne che si è immolata la più bella gioventù di inizio secolo per fermare chi voleva distruggere il nostro Paese, come provano i sacrari del Pasubio, di Asiago, di monte Cimone, del Grappa.
Da queste parti per conoscere la storia non servono libri, bastano i nomi dei monti come quello terribile dell’Ortigara, cimitero di migliaia di alpini, come scriveva lo storico vicentino Pieropan. E con la stessa emozione con cui lui da bambino aveva assistito in Corso Palladio al rientro dei reparti che avevano bloccato gli austriaci sull’Altopiano, i bambini di oggi vedranno sfilare le insegne di quei vecchi battaglioni. Al ritmo di 33, l’inno ufficiale degli alpini, con in testa il presidente nazionale Sebastiano Favero, veneto di Possagno e Lino Marchiori, presidente della sezione di Vicenza, si dirigeranno a ranghi compatti verso piazza dei Signori. Visti dall’alto, saranno tutto un ondeggiare di penne nere, uno stormo infinito di aquile di tutte le età e con la stessa fierezza.
500.000 Alpini da tutta Italia
Dicono che per questa adunata quasi mezzo milione di persone sono arrivate in città e nei paesi vicini, che 1500 volontari garantiranno la sicurezza, che l’indotto dell’evento calcolato dai ragionieri si aggirerà sui 140 milioni di euro. Sono tutti dati importanti che rimarranno agli atti, ma ce ne sono tanti altri che lo sono ancora di più e nessuno registrerà. Toni e Bepi si sono rivisti ieri dopo cinquant’anni. Erano stati insieme nel Car di Brà, in Piemonte ed erano finiti insieme a San Candido nella Brigata Tridentina. Poi Toni era emigrato in Australia e non se n’era saputo più niente.
Davanti al teatro Garibaldi si sono ritrovati con l’orgoglio del cappello alpino in testa. All’inizio si sono scrutati alla ricerca dei vent’anni perduti, poi si sono riconosciuti, hanno spalancato le braccia e sono diventati una cosa sola. Anche questo fa parte dell’”effetto adunata” e si capisce perché gli alpini, soprattutto quelli dell’ANA di Vicenza che ha ormai 102 anni di vita, ci tengano tanto.