Distopico, ma non troppo. Il romanzo Fantasia in rosso con variazioni, appena uscito per i tipi di Ronzani Editore, che Roberto Ranieri, scrittore e giornalista veneziano, ha dedicato alla memoria dello psichiatra Fabrizio Ramacciotti, ha il merito indubitabile di riportare attenzione sul tema del disagio mentale oggi in Italia, nel centenario della nascita di Franco Basaglia.
La fantasia in rosso ci racconta Basaglia
Porta, infatti, il nome di Basaglia la più radicale e importante riforma mai realizzata nell’approccio alla malattia psichiatrica, la Legge 180, quella che nel 1978 sancisce la fine dei manicomi. Punti fondamentali della direttiva, che avrà tempi di attuazione più lunghi (solo nel marzo 1999 il Ministero della Sanità annuncerà la definitiva chiusura delle strutture manicomiali) sono, per Basaglia e il movimento di deistituzionalizzazione che si lega alla sua figura, la restituzione di tutti i diritti civili ai ricoverati, la convinzione che la cura non possa coincidere con la custodia e, soprattutto che il nesso follia/pericolosità sia del tutto infondato. Restituire soggettività alle persone e riportare la cura sul terreno da cui la sofferenza proviene, che è poi quello della comunità: su queste basi, l’insegnamento di Basaglia, da Gorizia a Trieste, da Milano alla Toscana, ha dato origine ad esperienze diversificate e profonde.
La legge 180 è stata la prima al mondo a codificare l’abolizione degli ospedali psichiatrici, anche se la sua approvazione è il risultato di una ben più lunga attività politica, portata avanti soprattutto dal movimento Psichiatria Democratica. Prima del 1978, in Italia come in molti altri Paesi, a prevalere era un approccio organicistico, secondo cui ad ogni “malattia” corrispondeva una lesione anatomica o un’alterazione biochimica del cervello, o qualsiasi altra patologia. Anche la prassi seguita era devastante: terapie a base di elettroshock e insulina, contenzione fisica e alienazione da ogni terapia affettiva e sociale.
Fantasia in rosso e Rotelli
Intorno a Basaglia, si riunì ben presto una collettività di collaboratori convinti della via da seguire. Solo quattro anni fa, nell’edizione 2018 del veneziano Festival dei Matti, kermesse ideata e curata dalla psicoterapeuta Anna Poma con un nutrito comitato scientifico, a quarant’anni dalla promulgazione della Legge 180, hanno portato la loro testimonianza personaggi come Franco Rotelli, uno dei principali protagonisti della riforma e stretto collaboratore di Basaglia: «Non ce ne facciamo niente degli anniversari – queste le parole di Rotelli –, non abbiamo niente da celebrare, abbiamo semplicemente da fare. Ed è dura, perché oggi la repressione ideologica è a portata di mano, le logiche di esclusione sempre immanenti e la scelta farmacologica appare ancora la via più semplice».
Ranieri e la sua fantasia in rosso
Ecco perché, di fronte ad una realtà che si va chiudendo rispetto alle grandi aspettative della Legge, un libro come quello di Ranieri è una risorsa utilissima. Fabrizio Ramacciotti, punto di riferimento delle teorie basagliane a Venezia, giunge in laguna nel 1981 per chiudere il manicomio di San Clemente. E a Venezia rimane: per più di trent’anni sarà prima primario all’Ospedale Civile, poi direttore di Dipartimento nell’allora Ulss 12 (oggi Ulss 3 Serenissima), fino alla pensione, nel 2014. Suo il cosiddetto “modello veneziano”, una splendida rete di assistenza fatta di pochi ricoveri, tanta comunità e tanti interventi domiciliari.
Il lavoro di Ramacciotti
Nel 1980, a due anni dall’approvazione della Legge, nasce in Laguna l’esperimento di Palazzo Boldù, nel Sestiere di Cannaregio. Parto faticoso, dato che Domenico Casagrande, che dal 1977 dirige l’Ospedale Psichiatrico veneziano, è stato costretto a dimettersi a Gorizia perché non gli hanno concesso di aprire Centri di Salute Mentale. Sarà Ramacciotti a trasformare lo spazio veneziano in un autentico Centro Sociale, coinvolgendo quante più persone e associazioni possibili. Una sede di esposizioni d’arte di livello internazionale, una biblioteca, un centro di raccordo per iniziative nautiche. Lo psichiatra Fabrizio Ramacciotti e l’uomo coincidono: ascolta tutti, cura, interviene, costruisce soprattutto rapporti. Ogni atto, nella sua gestione del Centro di Salute Mentale, è ricondotto ad una visione d’insieme che coinvolge la collettività.
Ranieri con la sua fantasia in rosso fa rivere anche Ramacciotti
Neppure un anno fa, nel luglio 2023, Ramacciotti ci ha lasciato, ma la sua vicenda professionale, politica ed umana (un meraviglioso unicum di coerenza) rivive nel romanzo di Roberto Ranieri in una forma particolarissima, nata da una lunga serie di conversazioni tra lo psichiatra e il giornalista. Conoscenza di lungo corso, frutto di un felice rapporto terapeutico. Così, quando Ramacciotti, ormai in pensione, contatta Ranieri per lasciare una traccia del proprio percorso, i semi sono gettati, come le briciole di Pollicino lungo la via: «Fabrizio, da qualche anno in pensione – scrive Ranieri nella Nota conclusiva – mi disse che voleva lasciare un “segno della propria storia” in un libro; una storia complessa, compresa in un unico arco fra gli ideali rivoluzionari giovanili e un’ultraventennale opera di riforma condotta nella psichiatria veneziana.
Niente che avesse a che fare con la stesura di una semplice autobiografia; gli interessava che il “segno” da lasciare riguardasse non tanto una testimonianza sulla sua vita, quanto la necessità di non perdere per strada le ragioni politiche di una stagione per molti versi rivoluzionaria nel trattamento del disagio mentale, cui oggi fanno eco segnali e pratiche di una crescente restaurazione».
Il grande lavoro di Ranieri
È l’inizio di una splendida avventura. La chiave scelta è un plot letterario che tiene con il fiato sospeso il lettore, alle prese con i colpi di scena di un’improbabile macchina del tempo, tra un passato più o meno prossimo e un futuro tutto da definire (forse persino meno assurdo di quello che appaia, purtroppo). Lo psichiatra Ramacciotti, detto Dottor R., ha perso la favella e comunica con l’antico paziente Erminio Paternostro (una sorta di neppure troppo malcelato alter ego dell’autore) in una dimensione diversa. Assieme, a spasso nei decenni, i due ne attraversano di tutti i colori, e – ad un certo punto della narrazione – il lettore impara ad aspettarsi di tutto, con punte godibilissime d’intelligente ironia.
Ranieri ha un fraseggio elegante (lo stesso che abbiamo imparato a conoscere nelle sue raccolte poetiche), ma qui fa un salto ulteriore: ogni particolare logico ha più di una valenza, e la descrizione degli eventi ci appare stereofonica, dotata d’incredibile ritmo sintattico, travolgente nei cambi di scena. Fantasia in rosso con variazioni coinvolge tante realtà insieme: è un’arma per riflettere, un motivo di speranza (anche se Basaglia sosteneva che la speranza è un cattivo profeta), ora più che mai uno strumento di lotta (e questo a Basaglia sarebbe piaciuto di più). Soprattutto, però, è una dichiarazione d’amore: per lo psichiatra Ramacciotti, per il suo rigore d’uomo e di medico, per le motivazioni etiche e politiche che hanno sotteso un’epoca. Noi ci aggiungiamo un pizzico di nostalgia, ma solo un pizzico, perché – come sosteneva Franco Rotelli e ce l’ha lasciato in eredità – ora abbiamo da fare, sul serio.
Bellissima recensione che contestualizza il libro in un periodo storico di estrema importanza che non dobbiamo dimenticare. La rivoluzione basagliana non si può e non si deve fermare. Grazie a Roberto Ranieri per questa testimonianza letteraria.