Su Palazzo Labia acquistato dalla Rai nel 1964, chi poteva conoscerne la storia dagli Anni Sessanta meglio di Orazio Carrubba? Per decenni ha lavorato alla Rai del Veneto entrando come redattore alla nascita del Tg3 e andando in pensione come vicedirettore della testata. Carrubba, che è tra i primissimi collaboratori di www.enordest.it , è anche direttore della scuola di Giornalismo “Buzzati” dell’Ordine Veneto dei Giornalisti. Per i nostri lettori ha ricostruito alcuni episodi significativi nella vita della Rai in Laguna e della presenza fondamentale di Palazzo Labia. Protagonista della vicenda raccontata da Carrubba un altro collaboratore di www.enordest.it allora inviato della Rai, Maurizio Crovato. Due grandi giornalisti, la loro carriera si è incrociata e soffermata a quel gioiello che è Palazzo Labia.
Non lo so e non mi interessa sapere se il direttore generale della Rai che ha messo in vendita palazzo Labia si sia dato la pena di visitarlo o almeno vederlo di sfuggita. Non so nemmeno se sappia bene cosa rappresenti per Venezia e per la storia della Rai o si sia semplicemente soffermato sul suo valore venale, come capita ormai da più di quarant’anni. Quanto vale il Palazzo? Nel secolo scorso tot miliardi di lire per ripianare il deficit aziendale, adesso tot milioni di euro da mettere in cassa. Ma vale molto di più di un gioiello.
Il valore di questo gioiello
Del valore culturale di questo gioiello costruito a metà Seicento, riportato agli antichi splendori senza farne un museo, ma un luogo di lavoro privilegiato, però, nessuno ne vuol parlare. Come se la Rai avesse dimenticato di detenere un primato di cui è sempre andata orgogliosa: fare scuola, mostrare non solo con le immagini, come si conservano i patrimoni culturali del Paese. Che poi appartengono a tutti. Sono i gioielli di casa da lasciare in eredità e non vendere mai come Palazzo Labia che è uno dei più preziosi, con una storia lunga quasi quattro secoli: dagli splendori della Serenissima ad oggi.
Un gioiello per i nobili
Certo non c’è più Marco Labia che offre un pranzo da sogno a 40 gentiluomini servito con posate e stoviglie d’oro da lanciare alla fine dal piano nobile nel canale di Cannaregio ( salvo recuperarle poi con una rete predisposta prima, come tramanda il gossip di allora ); non c’è più nessuno che esca in Canal Grande non con una, ma con cinque gondole di cui quattro di scorta, come si usava in quella ricchissima famiglia patrizia. Ma il ruolo del Palazzo è rimasto altrettanto importante. Grazie all’impegno di alcuni amministratori illuminati l’edificio era stato acquistato negli anni Sessanta dalla Rai, che dopo un costosissimo restauro aveva deciso di farne il proprio fiore all’occhiello.
Il gioiello e la Rai
Un luogo di rappresentanza dove far cultura senza confini con la redazione giornalistica impegnata ogni giorno con i suoi notiziari ed eventi internazionali nello splendido salone del Tiepolo. Una destinazione da oggi in forse che solleva troppi dubbi. Come si può rinunciare ad un bene così importante con tanta facilità, in che mani finirà il Palazzo? Interverrà il ministro dei beni culturali come ha promesso? Si vedrà. Intanto, per testimoniare la sua importanza, ci sembra giusto ricordare come è stato vissuto al suo interno forse l’episodio più celebre di fine secolo: la presa del campanile di Venezia negli anni Novanta.
La notte del Campanile
Mestre, 8 maggio 1997. Non è ancora mezzanotte, ho appena parcheggiato la macchina nel garage di casa e squilla il telefonino nel taschino della giacca. “Pronto?” Sì. “A Venezia c’è movimento”. Ma chi parla e che vuol dire? “Che ti devi sbrigare!” E con un clic quella mirabile conversazione degna di un duetto da carbonari era finita lì. Così, stanco morto, ma ormai troppo incuriosito avevo fatto un numero che tenevo da parte per le emergenze, come mi era stato raccomandato. Niente, squillava a vuoto, brutto segno. E a quel punto m’ero deciso. Fuori la macchina dal garage e di corsa di nuovo verso Venezia. Sul ponte della Libertà non c’era traffico, soltanto pulmini e camionette pieni di poliziotti e carabinieri tutti diretti verso piazzale Roma. La voce anonima aveva detto giusto, mi dovevo sbrigare perché c’era anche troppo movimento.
Dal gioiello arriva l’incarico di verificare i fatti
Una volta sceso a terra, all’ingresso del garage San Marco, la stanchezza era scomparsa d’incanto. Avevo cercato di intercettare qualcosa da un capitano dei carabinieri del battaglione mobile, ma dopo avermi liquidato con un lapidario “Marittima”, mi aveva voltato le spalle seccato. Così a passo più che svelto ero partito verso San Geremia, doveva essere una cosa seria. Le finestre di Palazzo Labia erano tutte spente, ma dietro la grande cancellata in ferro l’atrio era illuminato e la guardia notturna che mi aveva aperto era arrivata subito, sorpresa. Da che parte si comincia in casi del genere? A cercare di capire dove concentrare gli sforzi per conquistare notizie ed immagini. Così, taccuino alla mano avevo scorso tutti gli indirizzi di routine. Il capo della Squadra mobile non mi rispondeva, il comandante della compagnia dei carabinieri di San Zaccaria, invece aveva laconicamente confermato che “c’era stato trambusto” alla Marittima. Sì e adesso? “La situazione è in evoluzione, mi scusi devo lasciarla”. Perfetto.
Qual è il cuore di Venezia? Piazza San Marco
Intanto vediamo cosa succede lì. Il cronista principe di allora della redazione Rai era per fortuna un veneziano puro sangue, Maurizio Crovato, che sapeva sempre di tutto e di più di quanto succedeva in laguna. E infatti, dopo il primo squillo aveva risposto subito. Era in giro come un cane da tartufi e mi confermava che alla Marittima doveva essere successo qualcosa di grosso, forse il dirottamento di un battello. Ma era solo e senza operatore, che doveva fare? Drizzare il più possibile le orecchie e andare in Piazza, entro una mezzora l’avrebbe raggiunto il cineoperatore; Paolo Colombati. Il giorno dopo si sarebbero aggiunti De Zan e Silvio Giulietti. Intanto tecnici e operatori di turno venivano risvegliati con i cerca persone per rendere operativa la sede.
La notte più lunga trascorsa in solitaria a Palazzo Labia era cominciata. A cascata, il traghetto diretto al Lido e sequestrato da nove “Serenissimi” era stato fatto approdare davanti a San Marco dove aveva sbarcato il famoso “tanko”, una specie di autoblindo senza armi che era stato posizionato di lato alla Basilica. Poi, armati di un mitra Beretta, questo sì funzionante, avevano “conquistato” la sommità del campanile, decisi a rimanervi fino al 12 maggio, bicentenario dell’abdicazione del doge Ludovico Manin e della resa di Venezia ai francesi. Sembrava di essere in un romanzo di Dumas o di Salgari, ma non era finita lì. Intorno alle 4 il sindaco Massimo Cacciari aveva cercato senza successo di farli desistere, alle 8,15 del 9 erano arrivati gli uomini del Gis ( il gruppo intervento speciale ) dei carabinieri. In pochi minuti, arrampicandosi sulle impalcature esterne alcuni erano arrivati in cima al campanile e bloccato il “serenissimo” di guardia. Gli altri, intanto, avevano arrestato tutti i componenti del commando vicini al “tanko”.
Un gioiello che quella notte venne subissato di telefonate
Di fatto era tutto finito, ma in Palazzo Labia, subissato di telefonate di radio e televisioni da tutto il mondo, il lavoro continuava come nella notte e finirà a tarda sera. Alle 16 del pomeriggio del 9 maggio, quando stremato Crovato aveva chiesto il cambio, aveva effettuato 54 interventi fra trasmissioni, telegiornali e giornali radio. Immagini della piazza di notte e di giorno, del campanile, del “tanko”, dei Gis e dei “Serenissimi” erano state montate e riversate in tutto il mondo, ma le richieste continuavano. Forse era stato il giorno più lungo visto da Palazzo Labia. Perché farlo smettere proprio adesso?