La Festa della Donna si celebra ogni 8 marzo, riconosciuta ufficialmente come Giornata internazionale della donna. Tale giornata è stata istituita per ricordare le conquiste sociali, economiche e politiche raggiunte dalle donne, ma anche le discriminazioni di cui sono state e sono ancora oggetto nel mondo. Ma non si può non parlare dell’inferno che andranno a vivere i figli di questa violienza di cui non hanno colpa.
Un inferno che non può essere ricordato un solo giorno
mondo. Non si può però parlare di sostegno alle donne vittime di violenza o di femminicidio solo il 25 Novembre, ma tutto l’anno e forse l’occasione della Giornata Internazionale della Donna, smuove ancora l’attenzione sui numerosi fatti di cronaca anche recenti, ravvicinati e vicini che hanno riguardato nell’arco di pochi mesi famiglie e coppie , apparentemente tranquille, che si sono separate nel tempo, sono finite sulle prime pagine del giornali, telegiornali e, social per femminicidio, dove una donna per aver scelto una propria libertà all’inizio condivisa e poi nel tempo mal tollerata, ha finito la sua vita, in modo tragico per mano di colui che per tanto tempo ha condiviso la vita, l’amore, la famigli, i figli ed è proprio da qui che si inserisce a pieno titolo il libro di Martina Longhin “Anna, l’inferno in una bottiglia. Una storia vera”.
La storia di inferno di Stella
Il suo racconto inizia a metà degli anni ’50, dove Stella è una giovane ragazza, solare ed aperta, piena di sogni e di speranze e come ogni giovane donna desidera innamorarsi, trovare l’uomo della vita con cui costruire insieme una famiglia, avere dei bambini. Lei che sin da molto giovane ha sempre lavorato come governante, lei che si è sempre data da fare, continuando con spensieratezza a pensare a chi sarebbe stato l’amore della sua vita. E questo desiderio non tarda ad arrivare quando incontra Toni, un bellissimo ragazzo bruno, un pescatore che le fa battere forte il cuore, che la corteggia e lei si innamora, fidanzandosi anche se il padre non vede di buon grado questa relazione.
Purtroppo, già durante il fidanzamento, Toni rivela il suo carattere irascibile, la sua forte gelosia nei confronti di altri uomini, che potevano guardare Stella ed in particolare la sua propensione a bere, la bottiglia, quella delle sere al bar, da dove tornava stordito ed ubriaco. Stella, riceve il suo primo schiaffo proprio in un bar dove solitamente all’epoca ci si recava per andare guadare la televisione, pochissime famiglie la possedevano ed erano presenti in luoghi pubblici. Stella, in quella occasione si ferma a parlare con un ragazzo e Toni non accetta questo dialogo e la schiaffeggia con disprezzo colpevolizzandola di aver parlato con un altro uomo, perché lei è di sua proprietà.
È colpa mia
Si convince pertanto che gli scatti d’ira siano comunque colpa sua: una camicetta troppo attillata, uno sguardo non dovuto, una parola di troppo, come quella sera. Stella inizierà a farsi mille domande: dove ho sbagliato? Non gli sono stata vicina nel modo giusto? Come posso far crescere i miei figli senza un padre? Cosa dirà la gente se lo lascio? E così giustificherà, perdonerà e non lascerà Toni…continuerà a subire tutta la violenza che lui decide di riversare su di lei…
La ricerca di una giustificazione che non c’è
Stella continuerà a tenere dentro tutto e a far crescere i figli in un ambiente carico di tensione e paura… continuerà ad amare i suoi figli per due… ma non continuerà a farlo abbastanza a lungo per farli crescere insieme. Spera, dopo il matrimonio, che Toni cambi, che la maternità lo possa ammansire e l’arrivo di una bambina, Anna, anziché il tanto atteso figlio maschio, non migliora affatto le cose.
Stella continua a sopportare violenze e maltrattamenti fisici e verbali convinta che non poteva andarsene e togliere un padre ai propri figli. Stella in tante occasioni giustificò il marito, rendendo più facile il ruolo di coloro i quali le stavano accanto: i familiari, i vicini di casa, addirittura i medici che curano le sue ferite si mostrano omertosi al limite dell’impossibile. Teme il giudizio della gente, cerca di far vedere di avere una famiglia normale, un marito forse un po’ irascibile, magari dedito al bere, ma pronta a farsi carico di colpe che non aveva, pur di salvare il salvabile e non
togliere un padre ai lori figli. In tutta questa storia, Stella non è l’unica vittima, ma lo sono anche e soprattutto i suoi figli, costretti ad assistere alle violenze del padre sulla loro madre, senza capire e senza poter fare niente, se non nascondersi sotto le coperte fino alla fine delle sfuriate del genitore, oppure scappare dalla nonna paterna, vicina a Stella e materna con i nipoti.
La vita di inferno dei figli rimasti orfani
La vita va avanti e ritroviamo Anna, la primogenita, già adolescente, siamo perciò all’inizio degli anni ’70. Anna è ricoverata in ospedale per curare una brutta bronchite e una mattina mamma Stella, non si presenta per la consueta visita alla figlia, per portargli il cambio e prendersi cura di lei, sarà uno zio a spiegare a questa ragazza che da quel giorno la sua vita non sarebbe stata più la stessa. L’autrice racconta una storia vera, una storia che si è consumata tra le mura domestiche di chi ha avuto il coraggio di raccontare la sua vicenda personale. Queste storie devono servire a risvegliare le coscienze anche di coloro che hanno i mezzi per poter aiutare le vittime, dare loro l’opportunità di essere seguiti da centri Anti Violenza, parlare con degli specialisti ed amici.
Un destino che non si può prevedere
L’autrice però ha una spiccata attenzione che a volte ci scappa di mano di fronte alla brutalità del femminicidio, ovvero il drammatico destino dei figli di donne vittime di violenza, e tante volte di suicidi di padri dopo aver commesso il fatto. Una storia vera, un racconto come troppi se ne sentono oggi, l’ennesimo femminicidio che ha strappato una madre ai suoi figli troppo presto e ha costretto queste piccole creature a crescere in mezzo alla violenza prima e separati poi, soli nonostante i familiari li abbiano accolti per crescerli.
La sofferenza e la solitudine in cui Anna e i fratelli si sono ritrovati è la cosa più triste che possa succedere al mondo. “Anna. L’inferno in una bottiglia” ne è un esempio lampante (l’ennesimo), il grido inascoltato di una ragazzina che si è trasformato nella più grande tragedia che un bambino possa vivere nella sua vita. Nel femminicidio si parla di donne che sono contemporaneamente figlie, sorelle, amiche, colleghe e molto spesso anche madri a perdere la vita. La loro uccisione è un dramma che colpisce quindi molte persone accanto a loro con conseguenze differenti e, ovviamente, in maniera più profonda i loro figli e figlie che, nel caso in cui l’omicida sia il loro padre, perdono contemporaneamente entrambe le figure di riferimento genitoriali (genitore vittima e genitore autore del reato, detenuto o suicida).
L’inferno degli orfani
L’omicidio di un genitore da parte dell’altro rappresenta un’esperienza traumatica complessa in cui al dolore per la perdita si aggiungono numerose difficoltà, di natura diversa: materiali, emotive, sociali e giudiziarie. Gli orfani di femminicidio sono bambini e bambine che hanno assistito, a volte per anni, alle violenze del padre nei confronti della madre, subendone le conseguenze sul proprio processo di sviluppo a livello emotivo, relazionale e cognitivo e questo è spesso dimenticato.
La condizione drammatica che si trovano a vivere gli orfani di crimini domestici e, in diverso modo, le famiglie loro affidatarie, necessitano di un piano specifico di intervento che preveda la disposizione di strumenti adatti a dare una risposta competente e celere ai loro molteplici bisogni e a garantire il rispetto dei loro diritti, anche rispetto al nuovo contesto familiare. Al fine di avviare e sostenere processi di resilienza e di integrazione del trauma, oltre che facilitare l’accesso ad opportunità educative e lavorative..
Cosa prevede la legge
La legge italiana infatti prevede che gli orfani di femminicidio possano accedere al Fondo per le vittime di crimini violenti (Legge n. 122/2016), prevedendo supporti economici a sostegno delle famiglie affidatarie, borse di studio e programmi di ingresso nel mondo del lavoro, e possano accedere a supporto medico psicologico in regime di sanzione per uscire da questo inferno. Queste scelte sono motivate dalla necessità di aiutare gli orfani e le famiglie a cui sono dati in affido ad elaborare la violenza di cui sono stati vittima e ritornare, per quanto possibile, ad una vita normale.
E’ vero che a volte si alla ricerca di leggerezza e che la Giornata della Donna a volte diventa un momento convivale dove scambiare del tempo insieme e condividere un pranzo o un cena, con la mimosa in mano, ma principalmente dovrebbe essere per chi appartiene alle Istituzioni un monito a guardare quanto ancora le Donne subiscono, seppur convinte di aver raggiunto importanti traguardi, devono invece continuare a fare i conti con un fenomeno dilagante, dove molte da madri lasciano figli soli per tutta la vita , spettatori a volte di un atroce delitto che mai si cancelleranno dalla mente.