Negli ultimi cinque anni della sua breve e intensa vita, stroncata da un omicidio mai chiarito davvero nonostante la condanna di Pino Pelosi ritenuto l’unico responsabile, Pier Paolo Pasolini realizzò sei lungometraggi. Il critico cinematografico e responsabile del Centro Studi–Archivio Pasolini della Cineteca di Bologna, Roberto Chiesi, nel libro pubblicato da Vallecchi nel 2022, Pasolini. Il fantasma del presente (1970-1975), riporta con rigore e passione il percorso creativo del regista che portò alla sua ultima produzione cinematografica, enucleandone i temi portanti.
Primo tra tutti il rifiuto del presente che rappresentava per lui una sofferenza e un disgusto tali da non poter essere rappresentata. Pasolini non vuole e non può filmare e raccontare l’Italia contemporanea nella quale sta vivendo. Mentre invece, e qui sta la forte contraddizione, ne scrive e ne discute continuamente nei suoi articoli “corsari e “luterani” che pubblica negli stessi anni sulle pagine del “Corriere della sera” e de “Il Mondo” e soprattutto nel romanzo Petrolio, rimasto incompiuto.
Per Pier Paolo Pasolini la prefazione della Maraini
Del resto, come sottolinea Dacia Maraini nella sua bella e affettuosa prefazione al volume, Pasolini visse sempre le sue contraddizioni fino in fondo. Era un borghese contro la borghesia che contestava e condannava. Chiesi mette in risalto l’intollerabile senso di perdita relativo alla vita che si svolgeva in un passato che lo scrittore e regista riteneva perduto per sempre. Un passato che egli identificava con il mondo contadino, scandito dal ciclo delle stagioni e dal lavoro agricolo. Per Pasolini la fine di quel mondo millenario, determinata dalla società dei consumi, giunta in Italia più tardi rispetto ad altri paesi europei, è inaccettabile. Soltanto attraverso il cinema è per lui possibile ritornare a quel mondo, ricrearlo sullo schermo nella sua “corporalità” innocente.
Cinema: il rifugio di Pier Paolo Pasolini
Come primo passo di questa presa di distanza Pasolini cerca rifugio nel passato mitologico: tra il 1968 e il 1970 gira il documentario Appunti per un’Orestiade africana.
Seguirà “La Trilogia della vita”, che segna un deciso mutamento di rotta rispetto alla dialettica pasoliniana rivolta all’«industria culturale». Pasolini vuole cambiare registro rispetto ai suoi film precedenti usando una narrazione lineare, uno “stile medio”, e sperimentando il puro piacere di raccontare.
Si tratta di tre film tratti da classici della letteratura, in cui poter ritrovare la dimensione di un passato dove convivono la vita e la morte «nel segno del vitale realismo» (Il Decameron, 1970), o invece dove la «leggerezza appare compromessa dalla tristezza della carne» (I racconti di Canterbury, 1971) e dove infine, grazie alle risorse dell’onirico, si «può evocare un mondo carnale spregiudicato e nomade» (Il fiore della mille e una notte (1973). L’incombere della morte viene esorcizzato dal sesso come esaltazione dell’eros popolare vissuto in epoche lontane «come un fantasma del passato da rievocare contro il presente».
Poi, negli ultimi anni, l’immaginario di Pasolini ebbe un’evoluzione drastica passando all’inferno folle, allucinato e violento del mondo concentrazionario di Salò o le 120 giornate di Sodoma (1975).
Il rapporto con Dacia
Dacia Maraini, che lavorò con lui alla sceneggiatura de Il fiore della mille e una notte, nella prefazione si chiede come abbia potuto il suo «dolce amico passare in pochissimi anni dalla gioia del vivere al dolore feroce di una morte annunciata». Chiesi in questo film vede una sorta di «resa dei conti ineluttabile col presente con un orrore e una degradazione rappresentati fino all’estremo limite della provocazione».
L’animo di Pasolini trabocca di angoscia che all’inizio degli anni Settanta raggiunge la profondità di un abisso. In quegli anni arriverà a rivedere le poesie della sua gioventù e a riscriverle nel volume La nuova gioventù e a pubblicare una Abiura della trilogia della vita in cui non rinnega i suoi film, ma «il mondo popolare che li ha ispirati perché la degradazione del presente comporta anche quella del passato» e per Pasolini ha valore retroattivo. La stessa negazione apocalittica del mondo contadino friulano che espresse nelle poesie della Seconda forma de La meglio gioventù.
12 Dicembre
La contemporaneità, venata di forte tensione civile e politica, però, emerge, nonostante tutto, in alcuni documentari come ad esempio in 12 dicembre, ideato e girato da Pasolini ma firmato da Giovanni Bonfanti di Lotta Continua. Si tratta di un’opera militante sulla strage neofascista attuata alla Banca dell’Agricoltura di Milano (1969). Un film che già allora, a pochi mesi dal fatto, accusa apertamente lo Stato italiano e le sue istituzioni e si conclude con un appello alla lotta armata.
Il libro su Pier Paolo Pasolini di Chiesi
Il libro di Roberto Chiesi è un viaggio denso e rigoroso, basato sullo studio attento e approfondito di una vasta documentazione che riesce a ricostruire con estrema accuratezza il lavoro di Pasolini come sceneggiatore e regista, oltre che poeta e scrittore (molta attenzione è riservata al romanzo incompiuto Petrolio) e a progetti non realizzati come ad esempio Porno-Teo-Kolossal (1973-1975) che lo stesso autore volle definire come un’enorme metafora che rovescia e reinventa la realtà. Il lavoro di Chiesi problematizza anche gli aspetti contradditori del pensiero e dell’opera pasoliniana, con l’intenzione di spiegarne le ragioni, senza tacere certi aspetti misogini, ben colti anche dalla Maraini nella prefazione. Il libro si propone dunque di indagare, attraverso la sua ultima produzione, su quale fosse il passato a cui pensava Pasolini, e di illuminare quali fossero i connotati, anche fisici e concreti di quel mondo che egli rimpiangeva tanto disperatamente.
Alla fine del volume si trova una dettagliata filmografia degli anni analizzati e una nota bibliografica.
Il volume sarà presentato sabato 2 marzo, alle 17.30, nella sala M9Lab del Museo del ‘900 M9, Mestre (Via Giovanni Pascoli n. 11), con ingresso libero. Dialogherà con l’autore lo studioso Andrea Cerica.
L’autore
Roberto Chiesi. Critico cinematografico e responsabile del Centro Studi – Archivio Pasolini della Cineteca di Bologna, è membro del comitato direttivo della rivista internazionale «Studi pasoliniani» e del comitato di redazione del periodico «Cineforum», inoltre è collaboratore del programma radiofonico di RAI3 “Wikiradio”. Scrive per i periodici «Segnocinema» e «Cinecritica». Ha curato l’edizione dvd di dieci film della collana Bergman Collection per BIM e, per le edizioni Cineteca di Bologna, de La rabbia (2008), Appunti per un’Orestiade africana (2009, dvd e libro), Fuoco! Il cinema di Gian Vittorio Baldi (2009), L’Oriente di Pasolini (2011), Accattone (2015), Il mio cinema (2015) e l’edizione dvd di Salò o le 120 giornate di Sodoma (2015).
È autore o curatore, fra gli altri, anche dei libri Hou Hsiao-hsien (Le Mani, 2002), Jean-Luc Godard (Gremese, 2003), Pasolini, Callas e «Medea» (FMR, 2007), Il cinema noir francese (Gremese, 2015), Cristo mi chiama ma senza luce. Pier Paolo Pasolini e Il Vangelo secondo Matteo (Le Mani, 2015), «8 ½» di Federico Fellini (Gremese, 2018), Il cinema di Ingmar Bergman (Gremese, 2018), Tutto Pasolini (co-curatela, Gremese, 2022), Pier Paolo Pasolini – Folgorazioni figurative (co-curatela, Cineteca di Bologna, 2022) e Pasolini e Bologna. Gli anni della formazione e i ritorni (co-curatela, Cineteca di Bologna, 2022).
Roberto Chiesi, Pasolini. Il fantasma del presente (1970-1975). Prefazione di Dacia Maraini, Firenze, Vallecchi, 2022.