Andrea Muzzati è stato per 43 anni macchinista al Gran Teatro La Fenice, uno dei simboli di Venezia e ammirato in ogni parte del mondo, e il 13 febbraio scorso, accompagnato sul palco dal sovrintendente della Fondazione La Fenice, Fortunato Ortombina, ha annunciato la sua andata in pensione. Un lungo e commosso applauso dei colleghi ha accolto il saluto. Molti quelli che hanno lavorato con lui per decenni, soprattutto hanno condiviso i difficili e drammatici giorni seguiti all’incendio del teatro e alla ricostruzione. Senza dimenticare gli altri drammatici giorni dell’inondazione. Venezia, si sa, deve temere acqua e fuoco, e preservare tesori come il teatro non è facile, come non è facile accettare di vederli distrutti o in pericolo.
Andrea e la sua entrata nel Gran Teatro La Fenice
Andrea Muzzati è entrato in servizio nel 1981, andando alla ricerca del suo primo impiego dopo la maturità venne a sapere che cercavano personale di macchina alla Fenice. Venne assunto e per molti anni è stato macchinista, uno degli uomini fondamentali del dietro le quinte di spettacoli, opere e concerti. Una vita dedicata ad un lavoro che gli ha regalato grandi emozioni e soddisfazioni, ma anche momenti di grande sconforto, quando il teatro la notte del 29 gennaio 1996 fu distrutto da un terribile incendio. Quella notte Andrea non era a Venezia, era con il resto delle maestranze in tournée a Varsavia. Di quella notte terribile Andrea ricorda ancora la telefonata concitata: non c’erano cellulari, spiegarono a lui e ai colleghi cosa stava succedendo, erano tutti frastornati. Intanto, anche la televisione polacca trasmetteva le prime immagini del disastro.
Sono stati giorni difficili, lontani senza capire e senza vedere. Fino al ritorno, ancora più drammatico, davanti alle ceneri di quello che era stato uno dei più straordinari teatri del mondo.Non riuscivano a capire qual potesse essere il loro futuro, con la costruzione del Palafenice, continuarono a lavorare fino al 2003, quando poi ritornarono nel Gran Teatro restituito in tutta la sua bellezza. Il teatro completamente svuotato, venne ricostruito uguale a quello di prima.
Il Gran Teatro La Fenice risorto come il mitico uccello
La prima volta che ritornò sul palco e vide la sala tutta dorata, provò una sensazione strana, abituato al soffitto vecchio, vissuto. “Questo invece era nuovo, luccicava – spiega Muzzati – nostalgico del vecchio che ricordavo meraviglioso, non fu facile riabituarmi, anche se erano stati bravissimi a ricostruirlo, soprattutto il palcoscenico di cui non era rimasto assolutamente nulla.
La ricostruzione ha permesso di agevolare il grosso lavoro di tutte le persone che lavorano dietro le quinte, ma anche di rendere il teatro più snello e veloce nell’allestimento delle opere”. Gli spazi sono diventati più larghi per permettere di spostare in maniera più agevole i carichi, i pesi non più tirati su con le corde a forza di braccia, ma con moderni argani e con un sistema comandato da un computer e poi sono stati creati quattro ponti mobili per il trasporto dei materiali, perché a Venezia tutto arriva via acqua, per mezzo di barche.
Oggi
Attualmente alla Fenice lavorano 30 macchinisti, suddivisi per squadre: una sorta di deus ex machina del teatro, il centro da cui parte l’azione scenica, dove si alzano e calano le quinte con precisione millimetrica, dove l’opera viene montata e smontata. Supporti e nuove tecnologie che hanno migliorato la qualità del lavoro, anche se a scapito del fascino del vecchio mestiere.
I ricordi
Muzzati non dimentica il suono delle corde e delle carrucole quando tirava i pesi da ragazzo appena assunto in teatro. Poi sarebbe diventato macchinista, un lavoro in cui ogni giorno c’era qualcosa di diverso. Muzzati ricorda il debito con i vecchi maestri che gli hanno insegnato il mestiere, gente che conosceva ogni dettaglio del teatro, lo amavano, e questa passione sono stati capaci di trasmetterla a chi li ha sostituiti. Tra i problemi affrontati anche i danni che l’acqua alta del 2019 ha afflitto il teatro, oltre che alla città.
Acqua e fuoco per la Fenice, che dalle sue ceneri ha saputo rinascere sempre più forte di prima
Lo si capisce bene dalla sua storia iniziata alla fine del Settecento, quando Venezia, regina della tradizione musicale e artistica disponeva di sette teatri funzionanti. Il S. Salvador (poi Apollo, S. Luca, ed oggi Goldoni), il S. Cassiano, il S. Angelo, il S. Moisè; infine i tre teatri di proprietà della famiglia Grimani — il S. Giovanni Grisostomo (oggi Malibran), il S. Samuele, e il S. Benedetto (oggi Rossini). Quest’ultimo, che era il teatro più elegante e frequentato, venne distrutto da un incendio nel 1773. Appena ricostruito, diede origine ad una vertenza giudiziaria fra la società proprietaria del nuovo teatro e la famiglia Venier, proprietaria di una parte del terreno.
La sentenza diede ragione ai Venier. La società, obbligata a vendere il teatro, decise di costruirne un altro più grande, più bello, più lussuoso di quello ceduto. “La Fenice” fu il nome del nuovo teatro che è diventato uno dei templi mondiali della musica. In aprile del 1792 il teatro era costruito, e il 16 maggio fu inaugurato con l’opera “I giochi di Agrigento”. Composta da Giovanni Paisiello su libretto di Alessandro Pepoli.
Gioachino Rossini entra alla Fenice il 6 febbraio 1813, con “Tancredi”. Scriverà per il teatro veneziano ancora due opere; una, “Semiramide” (3 febbraio 1823), segna la sua musica drammatica. Poi sarà il tempo di Bellini, Donizetti fino al 1836, quando nella notte tra il 12 e 13 dicembre il teatro fu devastato dalle fiamme. Ma già la sera del 26 dicembre 1837 La Fenice, davvero come il mitico volatile, risorse, più bella e splendente, e riprese le attività.
Andrea Muzzati e il “suo” Gran Teatro La Fenice
Una storia che Andrea Muzzati conosce alla perfezione, passando per Giuseppe Verdi e arrivando al secondo dopoguerra e alle rappresentazioni e alle sperimentazioni di Stravinskij e di Luigi Nono.
La Fenice rappresenta per Venezia, un capolavoro storico e culturale di pregio riconosciuto in tutto il mondo. Ha avuto l’onore di ospitare tra i più grandi compositori italiani e internazionali. Ma molto e va ricordato è frutto del lavoro di chi sta dietro le quinte e calibra al millimetro con professionalità i tempi e le caratteristiche tecniche dell’ambiente. Persone che lavorano per dare garanzia a chi si esibisce e agli spettatori di avere il massimo. Come Andrea Muzzati che, nella più sana tradizione del teatro, ha passato le consegne insegnando a chi è venuto dopo un’arte che è mestiere che va amato.