La nuova mostra di Silvano Rubino, Progetto Kafka. La scrittura e il segno, a cura di Luca Berto e Francesca Giubilei, allestita presso SPARC (Spazio di Arte Contemporanea) in campo Santo Stefano a Venezia, possiede tutta la purezza che contraddistingue, da sempre, questo artista: purezza formale, ma soprattutto concettuale, nell’individuazione di un percorso logico che regga e argomenti la scelta delle opere. Silvano, classe 1952, veneziano, è autore poliedrico, generoso; il suo lavoro spazia dalla scenografia alla pittura, dalle installazioni alla fotografia alle prove poetiche.
Rubino e Kafka
Non è la prima volta che Rubino affronta il rapporto con lo scrittore Kafka ed i suoi codici. Già nel 1993 gli aveva dedicato un’esposizione in Brasile, dove all’epoca risiedeva. Ora, tuttavia, in occasione del centenario della morte, vi ritorna con una nuova riflessione e nuovi lavori ad integrare il nucleo originario, con la lucida determinazione di definire un perimetro certo all’indagine e, possibilmente, aggiungervi un ulteriore tassello critico.
Trent’anni fa, ciò che aveva attirato e coinvolto Rubino era stato un frammento manoscritto della celebre Lettera al padre, sofferta analisi dello scrittore praghese nei confronti delle proprie origini. Frammento difficilmente decodificabile, che l’artista aveva utilizzato forse per evidenziarne la vanità comunicativa, una volta estrapolato dal contesto. Kafka e le proprie rigide ossessioni, Kafka e il proprio senso di colpa nei confronti delle radici, tra desiderio di emancipazione e legami inconsci.
L’evoluzione del Progetto Kafka
Nel primo Progetto Kafka, il testo veniva utilizzato prevalentemente per la sua resa oggettiva, fino a costituire il corpo rimosso della parola: né struttura né fantasma della realtà.
In questi decenni, Silvano ha approfondito la ricerca, offrendo una versione forse meno performativa, ma fondante da un punto di vista filosofico. Opere in mostra come Postfazione, 1993-2024, sono esempio lampante di come l’artista abbia costruito un work in progress perfettamente consequenziale: l’installazione mantiene elementi originari e ne aggiunge di nuovi, con diverse sfumature di senso, tra carta cinese, tela di cotone, inchiostro serigrafico e toner da stampante.
Tutto è destinato ad accadere
Se il mondo interiore può essere solo vissuto, ma non descritto – come scrive Kafka nei Diari – tutto è destinato ad accadere e ad accadere per sempre. Questa proprietà dell’esistente è ben colta da Silvano: al frammento cartaceo, ora, decide di sommare la riproduzione di caratteri tipografici, fino ad identificare una texture allusiva ed immersiva, dotata di una propria tridimensionalità.
E non è tutto: ridotta alla sua testualità, alla sua valenza plurima disseminata, ogni concezione del mondo viene ricondotta necessariamente ad un principio profondamente laico: nessun tempo originario, tantomeno presenze escatologiche risolutive.
L’artista Kafka
Tuttavia, parlare di semplificazione laica nel nuovo Progetto Kafka di Silvano Rubino non risolve tutte le questioni. Perché la radice della mostra odierna, a mio parere, il suo stesso protocollo d’esperienza, possiede in realtà un afflato passionale insopprimibile. L’irriducibile molteplicità del dato semantico è sicuramente generativa, produce vita. Persino le lettere di ghiaccio che espelle dalla bocca la danzatrice e coreografa Michela Barasciutti nel video del 1994 Il gioco delle lacrime, presente in mostra, sono un segno amoroso. L’artista è sedotto totalmente dal fenomeno Kafka, dalla sua prosa asciutta, dal nonsense immaginifico e – qui sta la magia, la profonda intuizione del progetto – ne rivela il fuoco.
Il visitatore che attraversa le raccolte stanze di SPARC intravvede lingue di fiamma che illuminano gli spazi. Quelle textures, i giochi di riflessione speculare, la meditazione su Segmento d’infinito, filo neon blu su muro (opera recentissima), i video d’autore, persino i testi poetici dello stesso Rubino, recitati fuori campo come un mantra, richiamano il fuoco che scioglie, incide, provoca.
Il mondo ebraico praghese
Qui ci soccorre la Kabbalah, la visione mistica cara al mondo ebraico praghese, per cui ogni parola – anche se non se ne comprende subito il senso – ha la stessa radice della cosa. Il medesimo termine ebraico, davàr, definisce entrambe. La scrittura è chiamata nei testi sacri fuoco nero, sovrapposta al fuoco bianco, la pagina, che è materia altrettanto incandescente, ma ancora non del tutto esplicita. Il bianco, gli spazi, le pause nel rotolo della Torah provengono anch’essi da un sistema di scrittura, ma noi non riusciamo ad interpretarlo.
La ricerca di Silvano, ad un’analisi attenta, evidenzia il mistero, che è un mistero di realtà, il corpo restituito alla parola che si fa lancia nelle mani di chi la usa (e qualche volta boomerang nelle notti insonni). Così l’artista restituisce narrazione ed ansia al labirinto di parole che ci attraversa. Nell’ansia si cela una sorta di fiduciosa ironia nel tempo e nella sorte (quel witz che è sempre caratteristica sottile, elegante di Rubino). Laica finché si vuole, dissonante per intelligenza, ma sempre preghiera.
Informazioni
SPARC (Spazio Arte Contemporanea), campo Santo Stefano, San Marco 2828° – 30124 Venezia.
Progetto Kafka. La scrittura e il segno, personale di Silvano Rubino
20 gennaio- 25 febbraio 2024
Dal lunedì al venerdì, 10-18