Sono giorni tristi e polemici. Intorno alla ricorrenza del Giorno della Memoria, si assiste quest’anno ad un rovesciamento della prospettiva, in nome di un giustizialismo sommario e piuttosto becero. Sul profilo Facebook di qualcuno che ritenevo, sino ad oggi, “amico”, leggo in sintesi, a caratteri cubitali, l’esemplificazione del pensiero dominante: Giorno della Memoria. Scrivo Birkenau, leggo Gaza. Mi attardo a scorrere una pletora di giudizi encomiastici, rendendomi conto dell’incrocio di mistificazione ed ignoranza che tutto ciò evidenzia: ribadito nei cortei, più o meno velato nei commenti di chi ritiene che il Giorno della Memoria costituisca, nell’inferno che il mondo va attraversando, un controsenso. Cancellati con un colpo di spugna gli scheletri viventi di Auschwitz, l’importanza di raccontare, la necessità del ricordo; e una marea di rimontante antisemitismo, a sommergere ambiti finora rimasti indenni dal sospetto.
Il Giorno della Memoria e l’avviso di Primo Levi
Risuonano le parole di Primo Levi, lucidissime: Ricordatevi, è successo, quindi può succedere nuovamente… Ed è successo ancora, sull’onda del sostanziale fraintendimento che mischia identità ebraica con gli atti (opinabili, a mio parere non condivisibili, anzi esecrabili) dell’attuale governo israeliano. Certo, ogni ebreo tiene Israele nel proprio cuore, un rifugio sicuro, specie per la generazione uscita dalle mostruosità della Seconda Guerra Mondiale: «Possiamo sempre fuggire in Israele», era il motto di mio nonno, quando gli si evocavano gli spettri della persecuzione antiebraica.
In realtà Israele, Stato democratico nel cuore di un Medio Oriente a prevalenza islamica, è un microcosmo complesso e variegato, in cui la classe politica oggi al potere non è apprezzata da almeno metà dei suoi connazionali: così guerrafondaia, oltranzista, colpevole. La maggioranza dei miei amici ebrei non ha mai approvato le azioni di Bibi Netanyahu e del suo governo di estrema destra. Molti di noi, io stessa, abbiamo coltivato per molto tempo il sogno non tanto di due popoli e due stati (assetto piuttosto risibile, considerata l’esiguità degli spazi), quanto di un unico Stato, multietnico, multireligioso, civile, democratico, dove ogni gruppo avesse pari dignità.
Israele era il sogno
Il tempo non ci ha dato ragione: di guerra in guerra, di intifada in intifada, con lo spettro degli attentati, l’odio da entrambe le parti si è radicalizzato, anche se nessuno avrebbe mai potuto concepire qualcosa di neppure lontanamente simile al 7 ottobre 2023, al massacro indiscriminato, operato da Hamas, di giovani ad un raduno musicale, di famiglie nei loro letti, di bimbi, anziani, donne strappati alla propria vita e trascinati nell’inferno dei tunnel di Gaza.
E il resto è orrore puro: risposta militare feroce da parte dell’esercito di Netanyahu, con migliaia e migliaia di civili palestinesi uccisi nella Striscia; case, scuole, ospedali distrutti nella caccia inconsulta ai capi di Hamas. Le vittime? Un effetto collaterale.
il Giorno della Memoria oggi
Le immagini dei bimbi tolti dalle incubatrici, di quella gente senza cibo né acqua hanno fatto il giro del mondo. Il cuore sanguina, perché i morti sono tutti uguali e i vivi hanno, sempre, un valore immenso. Il dolore che si prova, la condanna dei crimini riguarda ogni persona di buona volontà, indipendentemente da origine o religione. Il ritornello assurdo per cui si afferma che gli ebrei (badate bene, si dice gli ebrei e non gli israeliani …) non dovevano permettersi l’azione militare (proprio loro che sono state vittime non dovevano trasformarsi in carnefici …), getta ombre minacciose sull’immediato futuro, e pone interrogativi inquietanti su come impostare questa Giornata della Memoria. Come se non ci fosse alcuna differenza tra epoche storiche, situazioni, destini.
Nulla accomuna ciò che avvenne ottant’anni fa con quello che sta accadendo, non è possibile alcun parallelismo
Quello che stupisce, e addolora è il tentativo di strumentalizzazione politica; ancor di più, l’ondata di antisemitismo che, con poche eccezioni, sta coinvolgendo Europa, Stati Uniti, Sudafrica, oltre al vicino Oriente. Svastiche sulle porte di casa, minacce più o meno esplicita sui social; graffiti con il sangue sui muri della Weiner Holocaust Library a Londra; scritte antisemite sul Memoriale dell’Olocausto a Copenaghen, vandalizzazione del murale dedicato ad Anna Frank a Milano e delle pietre d’inciampo a Roma, per non parlare delle manifestazioni contro il Museo Nazionale dell’Olocausto a Washington. Nell’anno accademico in corso, negli Stati Uniti, quasi tre studenti universitari su quattro hanno sperimentato direttamente episodi di antisemitismo nei loro Atenei, o vi hanno assistito. Lo rivela un sondaggio condotto a fine novembre 2023 dall’Anti-Defamation League, prendendo in esame le risposte di cinquecento studenti ebrei dei college USA.
Il Giorno della Memoria non deve essere rassegnazione
Una rassegnazione sorda si sta impadronendo delle coscienze: alla splendida, cristallina militanza dei Figli della Shoah (a cui anche https://www.enordest.it ha dedicato spazio), alla perseveranza lucida delle Comunità ebraiche italiane e delle Università, si contrappongono – soprattutto a livello individuale – incertezze, ritrosie, tanta sofferenza.
Emanuele Fiano
Come ha dichiarato con efficacia anche Emanuele Fiano in un post su Facebook di alcuni giorni fa, riconoscere la strage di civili a Gaza e ribadire l’assoluta necessità di garantire ai palestinesi una patria certa e confini sicuri, non può passare per l’annientamento dello Stato d’Israele. I due popoli hanno bisogno della pace in egual misura.
Liliana Segre e la cura dei bambini non solo nel Giorno della Memoria
Ripenso ad una dei pochi ostaggi liberati, un’anziana, che ha trovato la forza di salutare i suoi aguzzini con un sonoro Shalom! Shalom, ossia pace. Liliana Segre, durante un’intervista recente concessa a Corrado Augias dal Memoriale della Shoah di Milano, ha ribadito soprattutto la necessità di preservare i bambini, quelli israeliani e quelli palestinesi, per coltivare il seme del futuro.
Le fa eco un artista israeliano, Benzi Brofman: nel cuore di Berlino, sulla Oranienburger Strasse, ha dipinto un murale di venti metri sulla facciata di una casa. Ritrae un bambino, di notte, che abbraccia il suo orsacchiotto, ha la paura negli occhi e tiene in mano la corda spezzata di un palloncino rivolto verso un cielo terso.
È la raffigurazione di uno dei tanti bimbi ancora prigionieri di Hamas: «Ritraggo gli ostaggi – chiarisce Benzi – per sensibilizzare il mondo sul loro destino … anch’io ero al Rave, sono solo tornato a casa prima che tutto accadesse». In tutti i murales che Brofman ha realizzato, da Londra adAmsterdam, Berlino, Haifa, compare a caratteri giganti la scritta Bring them home now, “riportateli a casa ora”.
Ecco, ritorniamo tutti a casa, ritorniamo umani. È già tardi.
Notevole, Per chiarezza, lucidità e umanità. Tra tante chiacchere, una parola. Autonoma. E rara. Grazie.
Ringrazio Francesca Brandes per i contributi inviatimi , che condivido in sincera vicinanza . È necessario preservare la memoria storica e il significato morale della Shoah dalle facili contaminazioni con gli accadimenti attuali .