Tre gennaio 1954, l’anno delle grandi nevicate. E’ una domenica piena di freddo a Milano, ma negli studi di Corso Sempione non ci bada nessuno. Sono tutti troppo indaffarati, la vecchia Rai, Radio audizioni italiane, sta per cedere il posto alla Rai, Radio televisione italiana. Ai vertici dello Stato, è bene ricordarlo, ci sono due piemontesi: Presidente della Repubblica è un severo economista piemontese di Carrù, nel cuneese, Luigi Einaudi; a capo del governo democristiano c’è un biellese di Valdengo, Giuseppe Pella. Alle undici in punto, sui 90 schermi dei primi abbonati Rai sparsi in tutta Italia, appare l’annunciatrice Fulvia Colombo. Elegantissima, in un perfetto italiano senza inflessioni, dagli studi di Corso Sempione dà il via alla nuova era delle telecomunicazioni: d’ora in poi non si baseranno solo sulle voci, ma saranno sorrette anche dalle immagini. Un passaggio epocale.
Dalla radio alla televisione
Purtroppo non ne esiste l’originale perché nessuno l’ha registrato, ma l’annuncio è di quelli che fanno storia ed il testo è questo: “La Rai radiotelevisione italiana inizia oggi il suo regolare servizio di trasmissioni televisive”… E’ una nuova società per azioni di cui la maggioranza è detenuta da un Ente pubblico, l’Istituto per la ricostruzione industriale e quindi per il momento è fermamente in mano al governo. Un’anomalia che sarà superata soltanto nel 1975, quando per controllare il suo operato e garantire i diritti delle minoranze sarà messa in piedi una Commissione parlamentare di vigilanza.
Perché la nuova Rai, lo si capisce subito, è un gruppo strategico, dalle potenzialità illimitate, incaricato con tanto di clausole precise di garantire il servizio pubblico a tutti. Piaccia o no è iniziata una nuova era nel campo dell’informazione, della cultura aperta a tutti e dello spettacolo. Da adesso in poi, il mondo potrà entrare liberamente in tutte le case. Una rivoluzione a cui gli italiani parteciperanno compatti con entusiasmo, seduti comodamente nel salotto di casa.
Una televisione che all’inizio è solo per pochi
Anche se il segnale, con i soli sette ripetitori allora in funzione, lascia ancora al buio milioni di persone ( solo alla fine del ’56 sarà coperto l’intero territorio nazionale ) il successo è immediato: in un mese gli abbonati sono già saliti a 24 mila, alla fine del ‘54 saranno 80 mila, nel ’58 un milione. Gli apparecchi sono massicci scatoloni di legno e costano tanto, dalle 250 alle 500 mila lire, quasi quanto lo stipendio annuo di un impiegato. Il canone previsto per gli utenti è di 18 mila lire, il più caro d’Europa. In ogni caso, dopo la cerimonia d’inaugurazione delle 11 bisogna avere ancora un po’ di pazienza, le trasmissioni vere e proprie cominceranno alle 14,30 (rigorosamente in bianco e nero perché il colore arriverà 23 anni dopo ) ma a questo punto è interessante ripercorrere una dietro l’altra le fasi di quello storico primo palinsesto.
Con la televisione arriva Mike Bongiorno
La prima rubrica “Arrivi e partenze” porta alla ribalta per la prima volta un giovane italo-americano destinato a scrivere per oltre 50 anni le pagine più belle della nostra televisione: Mike Bongiorno. Insieme ad Armando Pizzo, sfoggiando ovviamente un inglese fluente, per 15 minuti ci informa del chi va e chi viene delle persone importanti. Dalle 14,45 alle 15 segue un cortometraggio, poi si passa alla musica leggera, presentata dal maestro Eros Macchi e finalmente alle 15,45 parte “Il pomeriggio sportivo”. Per tre quarti d’ora, gli italiani potranno assistere ad un grande avvenimento sportivo in diretta, seduti comodamente in poltrona. Seguirà un film ( quella volta “Le miserie del signor travet”) e alle 19 lo spazio culturale con “Le avventure dell’arte” dedicato a Giovanbattista Tiepolo.
Il primo telegiornale
Alle 20,45 il momento tanto atteso del telegiornale. Dura 15 minuti, è diretto da Vittorio Veltroni e le notizie sono lette dall’annunciatore Riccardo Paladini. E’ un signore romano con l’aria del gentleman inglese, che diventerà presto famoso come una star: non ha un capello fuori posto, il viso è leggermene allungato e si notano le orecchie leggermene a sventola, la dizione è perfetta. Ovviamente il telegiornale è ricco soprattutto di notizie governative e politiche, ma dà largo spazio agli eventi culturali e com’è giusto alle informazioni di pubblica utilità. I fattacci di cronaca nera arriveranno più tardi.
Seguiranno “Teleclub”, una rubrica di curiosità varie; una commedia di Carlo Goldoni “L’osteria della posta”; “Sette note”, un altro programma di musica leggera, presentato da Virgilio Riento e dulcis in fundo, alle 23,15, “La domenica sportiva”, il programma più longevo della Rai, visto che era andato in onda per la prima volta il 9 settembre del 1953 e va in onda ancor oggi. Con lei, che presenta risultati e cronache di tutti gli avvenimenti sportivi della giornata, si chiudono le trasmissioni e nel piccolo schermo ricompare il nuovo simbolo della Rai. La prima giornata televisiva è finita.
70 anni di storia di televisione
E’ una storia di 70 anni fa, di quando l’indirizzo ufficiale dell’azienda era ancora in via Arsenale 21 a Torino mentre negli uffici di via del Babuino a Roma, nel palazzo dell’ex hotel de Russie, si era già installata la nuova direzione generale e in via Teulada stavano per iniziare i lavori del modernissimo centro di produzione. Da allora, come tutti sanno, sono stati fatti passi giganteschi, ma questa è un’altra storia. Per quanto ci riguarda è doveroso invece fermarci per un momento a quei primi anni, straordinari come i protagonisti della ricostruzione di un Paese uscito con le ossa rotte da 20 anni di fascismo e da una guerra devastante.
Figure spesso dimenticate troppo in fretta di grandi politici dell’epoca come Dossetti, De Gasperi e Fanfani, che nella televisione hanno creduto tra i primi, e di pionieri che hanno avuto il compito di metterla in piedi. I nomi sono tanti, ma per quanto riguarda il campo dell’informazione sicuramente ce n’è uno che spicca su tutti. E’ quello di un giovane ingegnere che pochissimi ormai conoscono: Franco Schepis, un signore a cui l’informazione televisiva deve molto e per cui è giusto spendere più di qualche riga.
Il padre del telegiornale
Veneziano, ma di chiare origini meridionali, Schepis è considerato uno dei padri nobili della Rai e sicuramente l’architetto principale del telegiornale. Laureato in ingegneria, ha una spiccata propensione per il giornalismo. E’ un radiocronista appassionato, ma con una marcia in più: grande senso dell’organizzazione, la ricerca del nuovo, la voglia di costruire quello che non c’è. Siamo all’inizio degli anni ’50, l’Italia non ha ancora rimarginato del tutto le ferite della guerra, ma la volontà di riprendersi è prepotente. Serve uno strumento che aiuti ad una riunificazione vera, dopo la tragedia del fascismo.
C’è già la radio e va bene, ma sarebbe molto più importante riuscire a vedersi oltre che a sentirsi. Ci vorrebbe la televisione, ecco. In America già funziona da tempo, perché non farla anche da noi? Con questa idea fissa in testa, l’ingegner Schepis prende un anno d’aspettativa e con la borsa di studio di un’organizzazione italo-americana di Trieste, parte per gli Usa.
Schepis e la televisione
Li gira da cima a fondo, sorbendosi ore su ore di trasmissioni e prendendo diligentemente appunti per un dossier che di giorno in giorno diventa sempre più voluminoso. Poi, dopo poco più di un anno, ritorna e squaderna tutto davanti al direttore generale Rai dell’epoca, Salvino Sarnesi. All’inizio tutto quel materiale lo preoccupa, poi, un foglio dietro l’altro, si rende conto che tra le mani ha il primo possibile palinsesto di un telegiornale italiano. E’ ancora tutto da costruire, certo, è chiaramente di matrice statunitense. Ma non importa, sono gli americani che sono partiti per primi e non c’è tanto da sottilizzare. Così non solo dà il suo placet, ma incarica subito un giovane caporedattore, Vittorio Veltroni, appena 35 anni, di scegliersi i collaboratori e preparare i numeri zero.
La missione di Franco Schepis è conclusa, ma non certo la sua carriera. Negli anni diventerà il potente responsabile delle relazioni esterne dell’Iri, poi il presidente della Società Autostrade. E quello che nessuno potrà mai rimproverargli è di essersi approfittato in qualche modo del suo potere o aver agevolato qualche parente. Lo provava nei tardi anni ’60 suo fratello, un altro galantuomo, ma semplice impiegato di concetto (all’ufficio posta ) della direzione Sip di Venezia.
Il merito di Veltroni alla televisione
I numeri sperimentali del Tg in ogni caso partono dal 10 settembre 1952 e curiosità vuole che il primo servizio sia dedicato alla Regata storica di Venezia, poi proseguiranno per tutto il 1953. Saranno 94 edizioni preparate con cura maniacale da Vittorio Veltroni, giovane sì, ma già con una grande esperienza sulle spalle. Nato a Tripoli, in Libia nel 1918 Vittorio è una personalità poliedrica: è giornalista, conduttore radiofonico, sceneggiatore.
Cronista di razza, è istintivamente vicino ai suoi ascoltatori. Sa cosa vuole la gente che impara ad apprezzarlo seguendo i grandi eventi di quegli anni, compresa la disastrosa alluvione del Po. Qui Veltroni non si limita a seguire le cronache dell’alluvione, si inventa anche quella Catena della fraternità che consentirà di far arrivare aiuti concreti ad una popolazione in ginocchio E’ un tipo solido, dotato di un’energia e di una simpatia straripanti, che quando prende un impegno non si arrende davanti a nulla.
E’ il caso del tg del Programma nazionale (altri non ne esistevano) di cui ha uno schema preciso, ma che deve riempire ogni giorno di contenuti senza tradire lo spirito del servizio pubblico. Come avere a disposizione uno scheletro che va modellato con carne, muscoli, sangue. Per niente facile, ma ci riuscirà. Forse però, sarà proprio lo sforzo di un’impresa così grande a minarne per sempre una salute già compromessa dalla leucemia. Dopo appena due anni, nel 1956, Vittorio Veltroni muore. Ha solo 37 anni e con la moglie, Ivanka Kotnik, lascia due figli. Uno, Walter, è nato l’anno prima. Diventerà uno dei politici più importanti d’Italia, segretario del Partito Democratico, sindaco di Roma, ministro della Repubblica e nella maturità grande giornalista, scrittore, regista, sulle orme di quel padre mai conosciuto.
La televisione entra nelle case degli italiani
Informazione a parte quel lontano 3 gennaio sarà comunque destinato per sempre a cambiare le nostre abitudini e la televisione diventerà l’elettrodomestico principe di ogni casa. Impossibile farne a meno e visto che costa tanto, molti se lo costruiranno da soli seguendo le dispense della Scuola Radio Elettra di Torino, la prima scuola a distanza in cui si formeranno centinaia di tecnici del nuovo settore. Perché tutto sta cambiando, compreso l’organigramma della nuova Rai. In giugno, con pieni poteri, sale alla ribalta il nuovo amministratore delegato Filiberto Guala.
E’ un ingegnere biellese di grande personalità. Ex partigiano, amico di Dossetti, La Pira, Fanfani, ha come consigliere spirituale Giovanni Battista Montini, il futuro pontefice Paolo VI, è un cattolico senza se e senza ma. Spetta a lui il difficile compito di trasferire da Torino a Roma le strutture produttive dell’azienda e ancora suo il compito di scoprire nuovi cervelli per gestire un’impresa così complessa. Lo fa bandendo un concorso a cui parteciperanno 30.000 concorrenti per 300 posti.
Come cambia la televisione
Entreranno così in Rai – tra i tanti – intellettuali del calibro di Furio Colombo, Umberto Eco, Angelo Guglielmi, Piero Angela. Certo, Guala è anche quello del codice di autodisciplina, delle gambe delle ballerine da oscurare con delle calze nere, delle parole vietate. Guai a dire membro, cosce o simili e su quelle sue “fisse” prospereranno i comici per decenni. E’ un fatto però, che l’azienda Rai, prima in informazione, cultura ed intrattenimento diventa grande proprio con lui. E non è un piccolo merito. Appena due anni dopo il suo insediamento, in ogni caso, l’ingegner Guala abbandona tutto e nella sorpresa generale dà le dimissioni. Sente prepotente una vocazione che lo chiama e alla quale è impossibile dire di no. Si ritira in convento e da allora sarà un monaco trappista per tutta la vita.
Qualcuno ha scritto che Mike Bongiorno ha unificato l’Italia più di Garibaldi
Sicuramente è un’esagerazione, ma è un fatto che la televisione ha infranto tante barriere e ha consentito agli italiani di conoscersi meglio, dialetti compresi. Come quello triestino, per esempio, delle ragazze che abbracciano i bersaglieri dell’ottavo reggimento appena entrati in Trieste libera: è il 26 ottobre del ’54. Ma a proposito di Bongiorno, quel ragazzo che sotto il fascismo ha conosciuto il carcere di San Vittore a Milano ed il lager di Bolzano, è proprio lui a dare il via alla stagione dei grandi spettacoli.
Non sono passati nemmeno due anni dalla nascita della Rai televisiva, che il 26 novembre 1955, alle 21 in punto, un religioso silenzio accompagnerà la partenza della prima puntata di una sua trasmissione storica: “Lascia o raddoppia?” E da quella sera le scale di migliaia di case in tutta Italia, ogni giovedì, saranno interessate da un intenso rumore di sedie sbattute nel via-vai sui gradini. Chi ha il televisore ospita volentieri chi non ce l’ha, ma bisogna portarsi dietro la sedia E’ un modo per socializzare e conoscersi meglio, la televisione ha anche questo compito.
Le altre trasmissioni di successo
Seguiranno poi trasmissioni di grande successo come “Carosello”, “Il Musichiere” di Mario Riva, “Non è mai troppo tardi” del maestro Alberto Manzi, “Lo Zecchino d’oro” del mago Zurlì, Cino Tortorella, “Campanile sera” di Enzo Tortora, ma qui l’elenco sarebbe veramente troppo lungo. Faremo solo un’eccezione: le Olimpiadi invernali di Cortina del ’56, la prima trasmissione seguita in tutto il Continente.
Grazie alle dirette, sarà come stare sulle piste di sci a seguire le evoluzioni del campione di sci austriaco Toni Sailer, mattatore dei giochi con tre ori e al palazzo del ghiaccio tra gli spettatori che applaudono l’arrivo di una splendida Sofia Loren. Lei ha appena 22 anni, una pelliccia di visone che le arriva fino ai piedi e risponde a tutti agitando le mani. Poi, mentre continuano a volare scintille, tra le nazionali di Hockey di Russia e Cecoslovacchia, regala uno smagliante sorriso all’occhio della telecamera. E tutto riprende come prima.