I lavori cinematografici di Serena Nono hanno, da sempre, un connotato di realtà che fa riflettere, quasi una lente d’ingrandimento sul nostro presente, anche quando – come in Venezia Salva o nel più recente Sventura – sembrano appartenere più ad una narrazione letteraria. Si potrebbe affermare che la realtà di Serena ha una valenza soprattutto etica, ma senza intenti didattici: ci si immedesima nella storia, che è sempre storia di noi, delle nostre pulsioni, dei nostri destini, e la si scopre innervata di un incanto mai sopito, e dichiarato così, con semplicità. Comunque meraviglia.
Serena Nono e il racconto di Cefalonia
Anche questa ultima fatica della regista veneziana, Nessuno ha il diritto di obbedire, gode del suo essere precisa, nel raccontare – da un punto di vista molto specifico – la vicenda dell’eccidio dei soldati italiani a Cefalonia, nel 1943: «Nella primavera del 2023, Carlo Alberto Bolpin mi ha contattata – racconta Serena – per pensare ad un evento per la ricorrenza degli ottant’anni dall’eccidio di Cefalonia, dato che aveva prenotato l’auditorium dell’M9 di Mestre per l’occasione: mi ha chiesto di realizzare un filmato, se possibile». Carlo Alberto è figlio di Erminio Bolpin, uno dei soldati dispersi in Grecia dopo l’8 settembre, e suo padre non l’ha mai conosciuto di persona, ma solo attraverso le foto, le lettere, i racconti dei familiari, lo struggimento della madre, che non ha mai smesso di attendere il suo sposo.
La ricerca
Così, con l’aiuto di Carlo Alberto, della sua chiarezza dolce nel ricostruire quei fatti, Nono ha iniziato a documentarsi, attraverso dvd documentari e la lettura dei messaggi che i soldati della divisione Acqui indirizzavano alle famiglie. Una divisione di fanteria da montagna, formata da undicimila uomini di truppa e da 525 ufficiali, posta a presidiare dalla fine del 1941 l’isola di Cefalonia nel mare Egeo, sotto il comando del generale Antonio Gandin. Dalla tarda primavera del 1943, l’intelligence tedesca aveva compreso che l’Italia non avrebbe potuto continuare la guerra ancora per molto e decise di affiancare alle truppe italiane un proprio contingente militare di circa duemila uomini.
Una situazione relativamente pacifica, destinata a cambiare bruscamente dopo l’8 settembre, quando il comando tedesco intimò il disarmo dei soldati italiani. Tuttavia, la divisione Acqui, anziché arrendersi, decise di resistere; una battaglia disperata, che iniziò il 15 e si protrasse fino al 22 settembre, terminando con una resa senza condizioni. Vista la schiacciante vittoria ottenuta, il comandante delle forze tedesche concesse ai propri uomini la libertà di agire a piacimento sui militari italiani arresi. E fu strage.
Le parole di Serena Nono
«Subito mi è venuta l’idea – prosegue Serena – di coinvolgere l’Accademia teatrale Carlo Goldoni, con cui la Fondazione Archivio Luigi Nono, di cui mi occupo, aveva già collaborato. Ho proposto ai docenti dell’Accademia di preparare i ragazzi per una lettura pubblica di alcune lettere dei soldati della divisione Acqui». È solo l’inizio di un progetto ben più articolato: Paola Bigatto, l’insegnante di recitazione, aderisce con entusiasmo all’idea e coinvolge in una scelta ragionata dei testi la stessa Patrizia Gabrielli, autrice del saggio Prima della tragedia. Militari italiani a Cefalonia e a Corfù.
Carlo Alberto Bolpin incontra gli allievi dell’Accademia e si confronta con loro, racconta la storia di suo padre Erminio e della sua famiglia. Serena filma tutto, anche le prove che Paola Bigatto fa con i suoi studenti alla Giudecca, presso la sede della Carlo Goldoni. Filma anche l’evento che aveva dato il via alla ricerca, il 22 aprile del 2023 all’M9 di Mestre. Intervista a lungo Bolpin nella sede veneziana dell’Iveser; chiede e riprende anche un incontro finale tra Carlo Alberto e i ragazzi, per discutere del progetto e, soprattutto, delle loro reazioni.
Serena Nono e il documentario
Dal materiale raccolto nasce il documentario Nessuno ha il diritto di obbedire, contemporaneamente un preciso racconto storico, dalla parte di chi lo poteva cogliere solo da lontano, e un work in progress fenomenale sull’esperienza teatrale che Serena, Paola e i ragazzi dell’Accademia hanno saputo imbastire. Un lavoro sensibile, vibrante, sull’onda di un’emozione sincera. Ancora una volta, reale, supportato da un montaggio sincopato, che lascia al quotidiano le sue minime intermittenze temporali, le ombre, i passaggi di camera; impreziosito da una colonna sonora struggente, che ci regala anche il canto della meravigliosa Giuseppina Casarin. Bolpin ci accompagna con l’occhio filmico di Serena nei luoghi della sua infanzia, a Cannaregio; ci mostra la casa che i suoi genitori, novelli sposi, avevano affittato per una vita che non avrebbero mai vissuto insieme, o la sede della fabbrica degli zii, a Sant’Andrea. Esistenze lontane dall’idea di fanatismo interventista che il fascismo propugnava.
Nessuno ha il diritto di obbedire
Anche il titolo che Serena Nono ha scelto per questo lavoro ha motivazioni profonde e reali: «”Nessuno ha il diritto di obbedire” – chiarisce – è la frase che Hannah Arendt pare aver pronunciato commentando il processo al criminale nazista Adolf Eichmann … lui aveva dichiarato di aver sempre vissuto secondo i principi dell’etica kantiana, in particolar modo per ciò che concerneva il dovere. La filosofa obietta invece che Kant sosteneva tutt’altro: che ogni uomo, in ogni sua azione, debba riflettere se la massima che guida il suo agire possa diventare una legge universale. Ognuno è legislatore, ognuno è responsabile …». Da una parte, potremmo aggiungere, la scelta di disobbedienza della divisione Acqui; dall’altra la scelta dei nazisti, che li hanno ammazzati, obbedendo all’ordine di Hitler di non fare prigionieri.
Serena Nono fa riflettere
Così, il documentario ci consente di ragionare non solo sugli eventi di un episodio doloroso della Seconda Guerra Mondiale, ma anche sulla relazione tra storia, memoria e presente, soprattutto attraverso l’apporto degli allievi dell’Accademia. Serena ha posto attenzione al loro mondo, al modo d’interpretare vicende ormai lontane: se ne ricava, al di là di ogni preconcetto sul disimpegno giovanile, un’onda d’emozioni, l’acquisizione di una responsabilità precisa nel restituire voce a chi non può più narrare; anche la consapevolezza dell’inutilità dei conflitti. Forse, come ribadisce Carlo Alberto Bolpin nell’Epilogo, persino un briciolo di speranza.