E ci sono, anche, gli addii. Parole e gesti che a volte ci rubano gli amici e, con loro, una parte importante del nostro stesso “viaggio nella vita”. Così ci ha lasciati, tre settimane fa, una amica di lunga data nota al pubblico colto e curioso come “l’editrice delle donne”. Era nata Vittorina Levorato (luglio 1934), ed è morta a Venezia come Vittoria Surian (8 dicembre). Vittoria Surian era stata dipendente Rai ed è diventata una libera imprenditrice culturale. Io trovo che ci sia, riflessa nel nome, una bella metamorfosi, una trasformazione positiva quella, umana e culturale, di una donna del nostro tempo e della nostra terra, coraggiosa e creativa, che ha onorato la cultura veneta e italiana soprattutto operando “dalla parte delle donne”, cioè lottando in difesa del genio femminile espresso nell’arte e nella letteratura, con riguardo alla nostra terra a Nordest.
Chi era Vittoria Surian
Amava la bellezza, quella particolare bellezza che aveva radici in una lunga storia e, in modo speciale, nell’arte visiva. Era nello stile di Vittoria non separare nettamente gli ambiti culturali, piuttosto credeva nel reciproco contagio. Per esempio, quando ha aperto la galleria “Riviere” le ha dato il nome di una poesia di Montale, un nome in cui l’Arte si sposava con “un riaffluir di sogni”, e poteva “cangiare in inno l’elegia”.
C’era al suo fianco il marito, il poeta Giuseppe Surian (1935-2013). Insieme, hanno creato/inventato la casa editrice Eidos e, di seguito, alcune collane di scrittura femminile come Le onde, che richiamava la grande scrittrice Virginia Woolf, prima autrice della serie Artemisia, una galleria di libri d’arte di autrici contemporanee, tutte “donne di elevato ingegno”, come recita il titolo di un libro Eidos del 2022.
La riscoperta fatta da Vittoria Surian
Una delle autrici ri-valutata, se non scoperta, da Vittoria e subito pubblicata, è stata una battagliera poetessa veneziana del Cinquecento (meno nota della Gaspara Stampa, ultima fatica editoriale di Vittoria). Si tratta di Moderata Fonte, nome arcadico, autrice de Il merito delle donne che aveva un polemico sottotitolo: ove chiaramente si scuopre quanto siano elle degne e più perfette de gli huomini. Un bottod’orgoglio femminista ante litteram, una giusta compagna di viaggio della nostra editrice.
La villetta “da professore” dei Surian in via Belluno 15 a Mirano, è stata la meta di persone vivacissime, di scambi intellettuali e umani, di intense amicizie passate dai genitori ai figli, ma anche di scoperte e di crescita. In proposito valga per tutti la testimonianza riconoscente del giornalista e poeta Roberto Lamantea, legato a quel gruppo di sodali dove i Surian lo avevano accolto al suo arrivo, giovanissimo, a Mirano e aiutato “a uscire dal bozzolo amaro di questa provincia e di guardare e scoprire cosa c’è al di là dell’acqua…”
La riconoscenza è un fiore che non appassisce. Così come l’appassionata esistenza di Vittoria, paladina della femminilità. “Non si tratta di fare la lotta per l’emancipazione, – aveva scritto un giorno – ma è tempo che la diversità sia conosciuta da tutti come valore”.
Il tuo habitus è come il mio
Potrebbe essere il risultato di una campagna propagandistica con il massiccio ricorso alla stampa e alla pubblicità: un potere senza etichetta ma virulento impone che il popolo, o nazione che sia, stia tranquillo e lasci le preoccupazioni, cioè I Problemi, agli eletti, e lorsignori provvederanno. In realtà, dobbiamo constatare e convincerci che siamo noi cittadini, noi il popolo che in questa fase storica ci comportiamo “in un certo modo”. Semplificando, stiamo diventando dei perfetti abitudinari, viviamo più passivi che attivi, svogliati, rancorosi, diffidenti. Emotivi ma chiusi.
Ci comportiamo come fossimo tutti più o meno cloroformizzati e la realtà è staccata da noi, a pochi centimetri: percepiamo i fatti, buoni o cattivi sono sempre più “fatti loro”. Viene il sospetto che si stia vivendo quest’epoca in una specie di torpore che frena gli slanci; o, per dirla con un po’ di filosofia, , siamo “chiusi nel presente” come in una corazza.
La pioggia degli eventi ci scorre sulla pelle (e, purtroppo, anche, talvolta, sulla coscienza). Gli antichi chiamavano l’abitudine con la parola habitus, che significa un modo d’essere, con il rischio per loro e per noi dell’assuefazione. L’aria delle Feste dovrebbe aiutarci a modificarci, a rompere il rigido replicarsi delle abitudini, a chiudere l’ombrello e prenderci una bella lavata di cambiamenti.
Eppure…
Eppure, dice il saggio – esagerando un poco – c’è del positivo nella ripetitività delle nostre azioni, nel nostro costume: “Confermandosi ad ogni risveglio, le abitudini sono un sicuro presidio contro la follia del mondo”.
Come il lievito
(poesia di Natale)
La gioia è come una pianta
sempreverde curata dall’amore:
vive nel tempo
ed è sempre primavera.
Ha radici insinuate nel cuore
e rami vibranti nel cielo
come braccia che stringono
È invisibile, eppure si scrive
nel nostro corpo, e il volto
è la sua pagina bianca.
La gioia è come il lievito
Che inturgidisce la pasta
Di cui è fatta la vita.
E nasce e rinasce come
L’araba fenice che tutti citano
E nessuno ha mai incontrato.
La gioia è, a prescindere.
Anonimo 2023
Auguri sinceri!¡