La salvaguardia dell’ambiente passa per il supermercato. Così si potrebbe dire pensando che, una gran parte degli imballaggi alimentari ma non solo, costituiscono una grossa percentuale della plastica prodotta e gettata, fin troppo presto, nel cestino. Secondo gli ultimi dati Eurostat, del 2021, ogni europeo ha prodotto in media 188,7 kg di rifiuti derivanti dagli imballaggi, quasi 32 chili in più rispetto al 2011, con un trend difficilmente comprensibile, stando alla crescente coscienza ambientale. L’overpackaging, ossia l’esagerata ed a volte francamente ridicola, sovra confezionatura di tutte le merci delle quali ci serviamo in particolare per il cibo, è oramai un’emergenza.
Le lobby degli imballaggi sotto pressione
Dagli ecologici sacchetti monouso per la frutta alle ultrasottili pellicole che incartano, con abbondanza ed accuratezza spesso eccessiva, qualsiasi alimento, nulla è oramai esente dalla sua bella plastica di contorno.
La mole di imballaggi è spesso giustificata da esigenze di igiene, salute e lotta agli sprechi, ma ragioni di marketing e la pressione dell’industria del “packaging” giocano in realtà un ruolo importante.
La lobby del packaging ha esercitato una costante pressione per una riforma delle norme sugli imballaggi, che risalgono al 2018, e per rafforzare l’armonizzazione delle norme sulle etichette, mentre le aziende del settore, dai produttori di materie prime, ai trasformatori, fino ai “brand” Coca Cola e Nestlè, sono impegnate nel riciclare i materiali prodotti, e ritengono che ulteriori sforzi debbano essere compensati economicamente.
UE e le norme per il riciclo degli imballaggi
La Commissione europea lo scorso novembre ha presentato una proposta di legge per regolamentare tutto il ciclo: dal design, alla produzione, al riciclo, provando ad incentivare ove possibile il deposito cauzionale e il riutilizzo.
L’intero ciclo del prodotto va ripensato, eliminando contenitori inutili e che non possono essere recuperati e non pensando solo a riciclarli una volta usati e gettati.
L’Unione europea ha affermato chiaramente che l’unica strategia davvero vantaggiosa nella gestione dei rifiuti è quella che si basa sulla prevenzione e la riduzione degli imballaggi, come pure sul riutilizzo e sulla ricarica dei contenitori (refill).
Solo una parte riciclata
Di tutti i prodotti utilizzati, e coscienziosamente recuperati dai consumatori, solo una parte viene effettivamente riciclata, con una bassissima percentuale di riciclo netto, tutto il resto finisce in discarica, negli inceneritori o direttamente dispersa nell’ambiente.
Nel racconto quotidiano della realtà europea fatta dalla politica, la Commissione viene descritta come un oscuro e retrogrado gruppo di euroburocrati, il cui unico interesse è intromettersi nella vita quotidiana per complicarla e renderla peggiore.
La situazione in Italia
Ma l’Italia è l’unico paese al mondo in cui non sia arrivato nel 2018 un nulla osta per l’utilizzo di sacchetti riutilizzabili da parte dei due ministeri competenti (Ambiente e Salute) quando fu introdotta la legge che vietava i sacchetti ultra leggeri in plastica anche nel settore ortofrutta e imponeva l’utilizzo di sacchetti biodegradabili compostabili con relativo addebito del costo su scontrino.
Eppure l’opposizione al regolamento è stata durissima e tra i più decisi oppositori c’è il governo italiano, compatto con il settore agroalimentare e con la lobby degli imballaggi, per lo slittamento definitivo delle nuove regole.
Le eccellenze dell’agroalimentare italiano pare abbiano necessità di continuare ad essere scrupolosamente impacchettate, per non comportare perdite di lavoro in questa filiera.
Sugli imballaggi anche il problema di contrasti tra norme di diversi paesi
Un reale problema, insito nelle previsioni del regolamento, risulta essere quello della possibile compresenza di etichette nazionali diverse per gli stati dell’Unione, ove infatti la Francia o la Bulgaria spingono per criteri differenti, che spingerebbe i produttori a confrontarsi con un ostacolo alla libera circolazione dei beni e ad investimenti necessari in altri aspetti più utili ai consumatori.
Europarlamentari e lobby hanno unito gli sforzi, riuscendo a fermare il regolamento proposto dalla Commissione europea focalizzato alla riduzione dei rifiuti da packaging, utilizzando si il riutilizzo che il deposito cauzionale ed i processi di riciclo, attraverso un maggior coinvolgimento delle imprese produttrici dei contenitori.
Il riuso degli imballaggi inutili attivata da Strasburgo
Con una puntigliosa ed efficace opera di opposizione parlamentare degna di miglior causa, sono stati ridimensionati gli obiettivi di riuso e limitazione degli imballaggi inutili, mantenendo formalmente gli obiettivi generali di riduzione dei rifiuti, senza gli strumenti necessari per ottenerli.
La commissione Ambiente del Parlamento Europeo, responsabile di questo dossier, aveva già diminuito la portata della proposta nel corso dell’esame di ottobre che poi, nella plenaria a Strasburgo, è stata definitivamente disarmata nell’arginare l’esplosione dei rifiuti di imballaggio.
A Strasburgo la relazione legislativa sul regolamento in materia di imballaggi è passata con 426 voti a favore, 125 contrari e 74 astensioni e adesso sarà la base per i negoziati con i governi dell’Ue.
Cosa prevede il testo
Il testo prevede degli obiettivi generali di riduzione dei rifiuti derivanti dagli imballaggi, 5% entro il 2030, il 10% per il 2035 e il 15% entro il 2040, ed obiettivi specifici più restrittivi per l’utilizzo della plastica, 10% entro il 2030, 15% entro il 2035 e 20% entro il 2040.
Ma, considerando che ogni europeo produce in media 188 kg di rifiuti da imballaggio l’anno, si tratta di aspirazioni poco incisive.
Potremo dire addio a confezioni monouso di sapone, ai sovra-imballaggi come quelli per i tubetti di dentifricio e ai cellofan sulle valigie in aeroporto.
Gli imballaggi per il cibo non hanno subito ridimensionamenti significativi
Ma il settore del cibo, che quello con il maggior impatto legato a vaschette, bustine, sacchi, pellicole e delle forchettine varie, non ha avuto un ridimensionamento significativo.
La lobby degli imballaggi sostiene vadano difesi perché fungono da misura anti-spreco, con una funzione barriera, che garantisce cioè una migliore conservazione dei cibi favorendo la diminuzione dello spreco alimentare che, però, risulta esser legato maggiormente al modello di consumo basato sulla sovrapproduzione alimentare che non ad altro.
L’allarme di Coldiretti
Gli eurodeputati, in piena sintonia con l’allarme lanciato dalla Coldiretti, secondo la quale la norma avrebbe effetti negativi sull’intero settore delle verdure ed ortofrutticoli freschi, ne hanno fermato l’estensione alla cosiddetta quarta gamma, che comprende non solo le insalate in busta e la frutta da consumarsi cruda ma anche l’ortofrutta da cuocere, (verdure per minestrone),
Il peggior risultato per l’ambiente, ed il migliore per i difensori delle lobby, è quello relativo al riutilizzo dei materiali. Che ha visto compattamente schierati gli eurodeputati italiani sostenuti dal governo guidato da Giorgia Meloni, nell’ostacolare l’approvazione dell’allegato cinque del regolamento. Quello che elencava gli imballaggi non necessari che avrebbero dovuto essere evitati
Riempito di deroghe proposte dalla Commissione per l’industria, la ricerca e l’energia (Itre) e da una delegazione di eurodeputati italiani“, è risultato sostanzialmente inefficace.
Sprechi di imballaggi fino all’80%
Gli sprechi legati al monouso potrebbe essere ridotti fino al 80% con sistemi di riutilizzo dei materiali. Realizzabili con l’introduzione di un sistema di deposito cauzionale efficiente che Bruxelles intendeva incentivare per le bottiglie monouso fino a tre litri. Ma che ha trovato la fiera opposizione del governo italiano.
Non ci sono ancora esempi di Paesi che siano riusciti a recuperare in massa i contenitori in plastica senza la contemporanea previsione del riutilizzo. Cosa prevista dalla direttiva sulle plastiche monouso già recepita. E che dispone che entro il 2029 il 90% delle bottiglie in plastica per bevande vengano raccolte separatamente in modo da creare un riciclo chiuso bottle to bottle. Riducendo così il consumo di plastica vergine,
Riciclo o riutilizzo degli imballaggi?
La posizione italiana è però quella del solo riciclo generico e non contempla il riutilizzo. Questo partendo dal dato che vede l’Italia leader nel riciclo ed accusando l’Ue di voler puntare tutto sul riutilizzo. Cosa che in realtà veniva indicata da un solo articolo del regolamento.
Ma quanta parte delle confezioni di plastica potrà essere realmente riciclata è ancora da capire. Dato che, secondo un recente rapporto di Greenpeace Usa, il riciclo è un processo sempre più complesso. Nonostante tanti prodotti siano marchiati col simbolo della doppia freccia.
Negli Stati Uniti la maggior parte degli impianti di riciclaggio non accetta cinque delle sette classificazioni della plastica. Tra cui la schiuma di plastica e il Pvc, essendo molto complesse da trattare e risultando in tanti casi contaminate da tossine.
Anche il PET di tipo 1, utilizzato per gran parte delle bottiglie, presenta tassi di rielaborazione che oscillano tra il 10 e il 21% circa. In tantissimi casi, la soglia di ritrattamento è pari ad appena il 5%. Uno sforzo enorme per ottenere “briciole” in termini di risultati. Per questa ragione gli esperti insistono affinché la classificazione “riciclabile” sia attribuita solo agli articoli che hanno un tasso di riciclaggio pari almeno al 30%.
Serve uno sforzo globale per la riduzione degli imballaggi
La vera svolta potrebbe venire dalla massima riduzione possibile degli imballaggi, e quindi dei rifiuti. Che sarebbe realizzabile solo con uno sforzo congiunto ed univoco che includa anche la catena dei supermercati o della ristorazione. Senza i quali non si potrà ottenere alcun risultato apprezzabile.
Bottiglie di vetro, piatti e tazze monouso, imballaggi usa e getta di frutta e verdura, bustine delle salse e dello zucchero, sono solo alcune delle tante confezioni che sono state salvate dal riutilizzo. E conseguentemente destinate alla discarica, nella migliore delle ipotesi differenziata.
Un volume enorme, e decisamente ingiustificato, di bottiglie di plastica viene annualmente prodotto ed utilizzato nel nostro paese. Dove, come ricorda Legambiente, nonostante in tanti casi non sia necessaria, la passione per l’acqua in bottiglia porta a consumare 206 litri a persona. Con 11 miliardi di bottiglie in circolazione ogni anno. Siamo al secondo posto al mondo, dietro al Messico con 244 litri, con valori pressoché doppi rispetto alla media europea di 106 litri/anno.
Per non parlare delle altre bottiglie monouso per bevande in plastica, alluminio o vetro, che fanno parte del nostro quotidiano. Tutte destinate alla pur efficiente rete del riciclo, peraltro molto differenziata a livello territoriale – giocando un ruolo fondamentale le realtà regionali e comunali – alla quale sfuggono comunque, secondo il rapporto what we waste, oltre 7 miliardi di contenitori all’anno
L’Italia dice no al riutilizzo e si al riciclo
Mentre Austria e Germania già prevedono molti casi di riuso, al quale diversi ministri dell’agricoltura europei si sono detti favorevoli, l’Italia è il paese che più si è opposto a questo sistema. Portando a casa un deroga tricolore a qualsivoglia meccanismo di riutilizzo.
Abbiamo inserito una deroga per tutti quei Paesi che, come l’Italia, negli ultimi anni hanno investito in un sistema di riciclo ad alta qualità, tra i più efficienti a livello europeo. Chi raggiungerà l’85% di quota di riciclo degli imballaggi interessati sarà infatti esentato dall’obbligo di riuso. Rivendica con orgoglio l’eurodeputato del Pd/Socialisti europei Paolo De castro che ricorda come sia stato raggiunto con merito circa il 73% di riciclo. Scordando però che il dato risulta essere l’aggregato complessivo di tutto il riciclo. Che non differenzia i vari materiali e comprende anche i rifiuti dell’edilizia e dell’industria.
Il valore della plastica è di poco inferiore al 45% del totale a dimostrazione di come, la logica del riciclaggio rispetto al riutilizzo, accomunando le diverse tipologie di rifiuto e, soprattutto la dinamica del loro utilizzo, elude completamente lo spirito della gerarchia dei rifiuti che è alla base dell’impegno comunitario.
Il riciclaggio non scalfisce la produzione dei rifiuti ma, nella migliore delle ipotesi, ne disciplina lo scarto. E, nell’immediato, non comporta rischi per le catene dei fast-food e i giganti del take-away che basano l’offerta della ristorazione su contenitori monouso.
Il vero problema sono i rifiuti inutili
La pur utile sostituzione della classica plastica con quella biodegradabile o con la carta. Peraltro pur sempre unita ad altri materiali, non cambia i termini del problema principale, quello della produzione di rifiuti inutili. Per la quale è andata perduta un’occasione storica che avrebbe consentito di ridurre sensibilmente la montagna di 84 milioni di tonnellate di rifiuti da packaging accumulati solo nel 2021.
La lobby della carta così come i colossi del fast-food come McDonald’s hanno chiesto di puntare ad una conversione dalla plastica alla carta. Lo spauracchio della plastica è stato così usato per tentare di cancellare gli obiettivi di riuso del regolamento.
Degli 84 milioni di tonnellate di rifiuti di imballaggio generati nell’Ue, ben il 40,3 % è già costituito da carta e cartone. Pari a 32,7 milioni di tonnellate solo nel 2020. Gran parte di questa carta (40% circa) proviene da fibre vergini, e perciò direttamente impattante sull’ambiente.
Il vantaggio della carta negli imballaggi
Il vantaggio della carta è di risultare riciclabile. Ma tutto è reso più difficile quando viene accoppiata ad altri materiali, come l’alluminio o elementi in plastica, in primis il Tetra Pak. Che pur allungando la vita di certi prodotti, il latte fra tutti, risulta riciclabile solo da due cartiere in Italia. Queste specializzate nel separare i tre elementi che lo costituiscono ossia la cellulosa dall’alluminio e dal polietilene.
La pressione degli europarlamentari italiani, di tutti gli schieramenti, è stata decisiva nello snaturare il regolamento. Impedendo così un salto in avanti nella direzione del riuso, con gli effetti negativi che ciò comporta sull’ambiente.