L’ultimo dossier di OXFAM (Oxford Committee for Famine Relief, ovvero Comitato di Oxford per la Lotta alla Carestia – www.oxfamitalia.org), denuncia il fatto che l’1% più ricco del pianeta è responsabile di un volume tale di emissioni di CO2 nell’atmosfera che causeranno 1,3 milioni di vittime già entro il 2030. Nel 2019, secondo l’organizzazione non-profit, sempre l’1% più ricco (80 milioni di persone circa) ha prodotto emissioni di anidride carbonica pari a quella di 5 miliardi di persone, cioè dei due terzi dell’umanità.
Più nel dettaglio, questo 1% si compone di 77 milioni di persone, responsabili anche del 16% delle emissioni globali di CO2 derivanti dai consumi, una quota superiore a quella prodotta da tutte le automobili in circolazione e degli altri mezzi di trasporto su strada.
Quello di Oxfam SEI (Stockholm Environment Institute – Istituto per l’Ambiente di Stoccolma) e The Guardian è lo studio più completo che sia mai stato realizzato sulla diseguaglianza climatica globale.
Il modello di consumo sul quale si regge la nostra società distrugge sempre più e genera enormi disparità sociali. Chi causa tutto questo ha anche gli strumenti per risolverlo ma, come appare sempre più evidente, non ha molta voglia di farlo.
Il collasso climatico e la disuguaglianza sono collegati tra loro e si alimentano a vicenda: se vogliamo superarne uno, dobbiamo superarli entrambi. Ancora di più perché i più ricchi possono isolarsi dai danni che causano, possono scappare nelle loro case climatizzate, possono proteggere le loro proprietà (quasi sempre!) da molti dei danni causati da questo comportamento. Invece, tutti coloro che soffrono a causa di questi eccessi, non hanno riparo dai danni della siccità e delle inondazioni, solo per citare un paio di esempi.
Il problema “tempo”
Coincidenza vuole che pochi giorni dopo che la temperatura della Terra ha superato la soglia dei +2° C rispetto all’era pre-industriale (ed è stata la prima volta!), esca il rapporto Oxfam, che denuncia tutto ciò più sopra descritto. In tutto questo ragionamento, entra a gamba tesa un’altra questione che, pur presentandosi portatrice di soluzioni, in realtà maschera, e nemmeno troppo bene, una serie di problemi anche molto gravi. Mi riferisco alla ormai quasi “famigerata” Direttiva UE sulle Case Green. Di seguito, diamo un’occhiata alle ultime novità.
Case green 2030: nuove regole e nuovo calendario
Tutti i riflettori sono puntati sull’incontro programmato per il prossimo 7 dicembre, che ci consentirà (forse!) di capire finalmente se ci sarà l’atteso accordo dal Trilogo UE (Parlamento, Commissione e Consiglio Europeo) sulla Direttiva Case Green (Direttiva EPBD – Energy Performance of Buildings Directive). Lo sviluppo del dibattito sta andando nella direzione di promulgare una nuova Direttiva UE “Case Green” che preveda delle scadenze libere, stando il fatto dell’effettiva impossibilità per molti Paesi aderenti di adeguarsi a quello che era il primo diktat. Il nuovo approccio sulle tappe di adeguamento previste dal provvedimento, che impone la ristrutturazione entro il 2033 di tutti quegli edifici residenziali che oggi si ritrovano a essere nelle classi energetiche E, F e G, si sta evolvendo in favore di una sorta di liberalizzazione nazionale, seppur nel rispetto di parametri di massima stabiliti dall’Unione Europea.
La soluzione alternativa individuata (ancora da ufficializzare) dovrebbe quindi lasciare ai singoli governi l’autonomia di definire il calendario che meglio si adatta alla propria situazione attuale. Se la precedente Direttiva UE prevedeva prima la neutralità climatica degli edifici da raggiungersi entro il 2050, quella attuale, ribattezzata “Case Green”, riguarda le prestazioni energetiche degli edifici, che dovranno raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. Il problema sta sempre nelle tempistiche . . . In teoria, sono previsti due momenti con scadenze prossime: il 2030 per la classe E e il 2033 per la classe D.
Le scadenze citate fanno riferimento a tutti gli immobili residenziali e sono proprio quelle sulle quali non c’è accordo.
Qualche numero, per capire
La proposta UE prevede il calendario che segue, sul quale, però, non si è ancora trovato l’accordo per lasciare ai Governi la possibilità di definire delle proprie tempistiche intermedie, sempre nei limiti degli accordi europei già raggiunti.
2026 nuovi edifici pubblici a zero emissioni
2027 classe E/F per edifici non residenziali e pubblici
2028 tecnologie solari per nuovi edifici; zero emissioni per quelli nuovi residenziali
2030 classe D/E per edifici non residenziali e pubblici; classe E per edifici residenziali
2032 tecnologie solari per case in ristrutturazione
2033 classe D per gli edifici residenziali
Entro il 2030 e il 2035, almeno secondo l’accordo provvisorio già definito ma ancora in discussione (sigh!), dovrà essere raggiunto un target ancora da definire di risparmio energetico per gli edifici, mentre le strategie nazionali compileranno il calendario per arrivare all’obiettivo “edifici a emissioni zero” entro il 2050.
La situazione in Italia
Dice l’ENEA (l’Agenzia Nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile) che 11 milioni di abitazioni in Italia (circa il 74% di quelle esistenti) sono in classe energetica inferiore alla D:
15,9% in classe E,
il 34% è in classe G.
Sono quelle abitazioni obbligate a fare i lavori di adeguamento agli standard di prestazione energetica entro il 2030 o entro il 2033, per la classe E.
Dato che il 75% delle abitazioni appartiene alle classi energetiche meno efficienti, dalla G alla E e che gli immobili in classe G che rappresentano il 55% dell’offerta totale, l’impatto sul prezzo è sotto gli occhi di tutti, anche di chi non è esperto del settore: l’immobile in classe A costa mediamente il 68% in più rispetto ad uno comparabile per dimensioni e localizzazione in classe G. Ma il problema non è soltanto questo; gli altri rischi sono il deprezzamento degli immobili, le ricadute sui consumi e i conseguenti rischi per il settore bancario.
La fase di negoziato fra Parlamento, Commissione e Consiglio UE non è dunque ancora conclusa. Dopo l’approvazione definitiva in sede europea, che prevedibilmente avverrà con modifiche rispetto al testo attuale, saranno i singoli Paesi a recepire le nuove regole con specifici provvedimenti legislativi attuativi.