Al tempo delle Brigate rosse, cioè negli anni di piombo, quando un giornalista poteva diventare il bersaglio di un attentato, il collega Gianpiero Rizzon mi spiegò il significato dell’espressione “in sonno”. Che non c’entrava con Goya e i suoi mostri causati dal “sonno della ragione”, ma era un’espressione che veniva dalla cronaca nera di cui il collega era esperto. Egli, infatti, scavava negli avvenimenti più torbidi, aveva studiato in particolare il fenomeno del crescente terrorismo sia rosso che nero, e aveva imparato che un attentatore in pectore, così come il rivoluzionario, doveva comportarsi “come un pesce nell’acqua”.
La definizione, oggi lo sappiamo, era stata coniata da Mao di cui allora circolava il libretto rosso: il leader cinese intendeva dire che l’uomo del terrore doveva mimetizzarsi, diventare invisibile, addirittura rispettando la ritualità del vivere quotidiano: il terrorista di riserva, l’attentatore “dormiente” per la rivoluzione, era vivente per la società ignara della sua doppia identità. Una parola d’ordine, spiegava Rizzon, lo avrebbe “risvegliato”, e sarebbe stato immediatamente attivo e pericoloso. Anzi micidiale.
Purtroppo, l’espressione “in sonno” è tornata di attualità a proposito degli attentati terroristici in Europa nei quali il commando era costituito da un solo uomo, il cosiddetto lupo solitario o cane sciolto sconosciuto ai sistemi di sicurezza, dunque una bomba vagante tra la folla… Il che ci rende inquieti e sospettosi mentre portiamo avanti il nostro fardello quotidiano. Con il pensiero consolatorio che “noi non cediamo al sonno ideologico”.
Suoni… irritanti
Sono un fan di Massimo Gramellini e cerco di non perdere le sue rubriche, cartacee o televisive. Ma, a proposito di queste ultime, ho un’osservazione da fare: non a lui direttamente, ma al suo regista che suppongo “creativo”. Mi riferisco alla lettura che Massimo fa ritualmente su un argomento o personaggio e che io percepisco come l’elzeviro del sabato sera. Una prosa di meditazione di cui non vorrei perdere nemmeno una parola. Invece…
Invece, come apre bocca, il suo regista manda in onda un rumore continuo, pardon!, una musichetta monotona e aggressiva che copre e cancella molte parole del giornalista: quei suoni dovrebbero accompagnare il discorso, mentre, al contrario, lo raschiano e distorcono: la musica dovrebbe rendere piacevole il nostro ascolto, in realtà ci irrita.
La musica, come avviene nei film, evidenzia impetuosamente certe scene “forti” e mute, ma qui ci sono le parole, materia prima del programma, e chiedono rispetto. Basterebbe un velo sonoro, un tessuto musicale leggero sul quale le parole spiccherebbero nitide e dunque efficaci, gradevoli come un ricamo. Il capriccio di un regista si trasforma in un sofferto ascolto per gli utenti: era così in Rai, e così si replica sulla 7. Qualcuno raccomanderà a lorsignori di ascoltare le loro produzioni? Non tocca solo a noi controllare l’effetto che fanno. O no?
Una catena di emozioni
Le tante forme di apprensione “che ci gravano sull’anima”, ha scritto un filosofo, c’è la “catena delle paure” (Vito Mancuso). La paura singola non esiste, ogni epoca, infatti, ne fa emergere di nuove, sicché possiamo dire che il sentimento-paura è come un male esistenziale che si ramifica e ci stringe appunto con una catena. L’esperienza tragica della pandemia ha legato il contagio alla paura della crisi economica, e l’incertezza del domani si è rafforzata nella guerra “vicina” (così l’Ucraina e adesso Israele). La mai spenta paura del terrorismo, poi, contribuisce a indurire più che mai i nostri cuori.
Ma non finisce qui. Fra le paure delle persone adulte si sta diffondendo la cosiddetta ecofobia che cresce in parallelo con la coscienza ecologica, cioè con la consapevolezza che il rapporto uomo-natura si sta squilibrando. In poche parole, si comincia a sentire il peso del degrado ambientale, l’avanzare minaccioso dei disastri naturali, l’esplodere della “rabbia” della Natura contro i suoi nemici: noi.
In un romanzo di W. Faulkner, Bandiere nella polvere (Tascabili Bompiani), c’è questa frase che riguarda un soldato appena rientrato dal fronte europeo della Prima guerra mondiale: “Gli si dia un giorno per smaltire la guerra”. Direbbe il saggio: “E noi, oggi, come faremo a metabolizzare i conflitti che feriscono e lacerano il nostro mondo?”
Quanto all’angoscia subdola ed ecologica, leggete qui: “Non è questione di salvare il pianeta, come spesso si dice, perché il pianeta se la caverà benissimo anche quando la nostra specie sarà estinta (probabilmente per colpa sua)”. Non è cinismo, ma pensiero di Maurizio Ferraris filosofo che non cancellerà la nostra ecoansia…
Nebbia italiana
(poesia)
La nebbia che ci stringe
velo su velo
porta in sé nel cielo
che fu nostro
i miasmi salviniani
dell’arroganza.
Il buio è un venticello
che nebulizza ogni luce
e già ci ruba l’orizzonte,
e i pensieri migratori
fra le stelle sono spugne
in carenza d’ossigeno.
Tutto si arena e congela
nella confusa realtà,
tutto arriva e giace
su questa lampedusa.
Anonimo 2023
Leggo il Vangelo di oggi , 5 Novembre Matteo 23,1-12 dove dice : sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei . Praticate ed osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere , perché essi dicono e non fanno . Legano ,infatti ,i fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente che essi non vogliono muovere nemmeno con un dito “. Questa pagina di Matteo descrive pari pari la situazione non solo della nostra Italia , ma di tutto il mondo !
“Le catene della paura” – tra draghi, mostri, terroristi, traditori, pandemia, guerre e tradimenti – è difficile rimanere positivi. Penso, come quasi tutti, soprattutto a nostri figli e nipoti e al futuro che li aspetta. Per non parlare dei cambiamenti climatici, distruttivi anche loro, e come, e i quali x loro natura sono ancora più difficili a gestire .
Ben venga la bellissima poesia sulla nebbia, questa pietosa, che mette un velo sopra la triste realità. Rifugiamoci nei sogni e nei bei pensieri e speriamo in tempi più sereni …
Ripeto ” Essi dicono e non fanno ” ,anzi , secondo me , fanno fanno ! Si siedono sul carro del vincitore , si offrono al maggior offerente e , per darsi una parvenza di onestà intellettuale , emettono.giudizi offensivi e sgradevoli come , ad esempio , “‘miasmi salviniani dell’arroganza ”
Mi chiedo come si possa giungere a simili espressioni linguistiche !!! E mi rispondo che si può , si può . Quanto fa comodo l’anonimato…
È proprio come ricorda il nostro Ivo , a proposito di Gianpiero Rizzon ,il quale ci spiegava come i terroristi , ai tempi di Mao si mimetizzavano, conducevano una vita normalissima ma , al momento stabilito , ammazzavano gli eventuali nemici del sistema . Ti prego , Ivo , esorta chi.ti legge ad essere leali con la propria coscienza e a non far uso dell’anonimato ! Non finirò mai di ringraziarti e di stimarti