In occasione della 22esima rassegna di Chies e le sue montagne – dedicata al mondo verticale e ai suoi cavalieri, abbiamo avuto l’occasione di intervistare per www.enordest.it il noto climatologo e divulgatore scientifico Luca Mercalli, dopo una serata incentrata sul tema del suo libro “Salire in montagna. Prendere quota per sfuggire al riscaldamento globale” nel quale spiega come la montagna sia una delle vie da percorrere per sfuggire al riscaldamento globale. Insieme alle tecnologie sostenibili, all’efficienza energetica e a una vita più contemplativa e meno competitiva.
Come potrà cambiare il clima
Da qui a pochi anni la vita di molti potrebbe radicalmente cambiare. In quest’anno di caldo eccezionale, molti si sono rifugiati in montagna per trovare un po’ di refrigerio. Il turismo d’alta quota è in aumento, come l’acquisto di seconde case e, per alcuni, un trasferimento definitivo, una vera e propria scelta di vita. Un fenomeno al momento limitato, ma che in futuro potrebbe essere la soluzione alla grave crisi dello spopolamento delle terre alte.
Professor Luca Mercalli, cosa ci dicono gli ultimi dati rilevati in merito al clima e al suo cambiamento nel nostro Paese?
Il clima globale si sta riscaldando. Attualmente 1,2°C in più nell’ultimo secolo a livello globale, ma sulle Alpi il doppio: praticamente abbiamo avuto 2°C in più nell’ultimi 100-150 anni e i risultati purtroppo li abbiamo visti. Questo ha fatto fuori il 60% dei nostri ghiacciai e c’è pure un’accelerazione, perché le ultime estati sono veramente tropicali. Abbiamo visto dei valori mai misurati prima sulle Alpi. Nel 2022 abbiamo avuto lo zero termico a 5.200 metri e nel 2023 a 5.300 metri. In due anni sono stati superati due record assoluti di temperatura sulle Alpi, tant’è che fondeva anche la vetta del Monte Bianco.
I nostri ghiacciai hanno perso quattro metri di spessore nel 2022 e tre metri nel 2023. Sette metri di ghiaccio in meno su tutto lo spessore glaciale delle Alpi in soli due anni. È chiaro che qualcosa di assolutamente nuovo sta accadendo in tutto il mondo e sul nostro territorio che è particolarmente esposto come tutto il Mediterraneo. Il Mediterraneo si chiama, infatti, hotspot climatico, nel senso che non si fa mancare praticamente nulla di tutti i fenomeni estremi climatici: dalle alluvioni alla siccità, dagli incendi all’esaurimento dei ghiacciai, le grandi tempeste come Vaia, i tornado, le grandinate da un chilo, che sono le grandinate più intense mai registrate in Europa e le abbiamo avute in Friuli e in Lombardia nell’estate del 2023.
Quale evoluzione possiamo vedere nel clima in queste zone di montagna tra i 500 e i 1500 metri circa, cioè in quelle aree che sono più popolate?
La temperatura sta aumentando ovunque: aumenta in pianura come aumenta in montagna. Fortunatamente l’aumento in montagna, per ora, rende queste zone ancora appetibili rispetto alla bassa quota, dove le temperature estive cominciano a diventare disagevoli e talora anche molto a rischio per la salute. Ormai in Pianura Padana, quasi tutti gli anni, tocchiamo i 40 gradi nelle grandi città e in futuro temiamo che li supereremo abbondantemente. Attualmente in Italia la temperatura massima assoluta è di 48,8 gradi a Siracusa, ma presto arriveremo ad avere i 44-45 gradi a Milano, a Torino, a Bologna.
Quindi la montagna rappresenta una automatica valvola di sfogo per le popolazioni urbane che, quando possono lavorare a distanza e quindi usare il telelavoro, potrebbero ripopolare le zone alpine e appenniniche senza farle diventare un dormitorio di pendolarismo, come potrebbe essere il primo approccio, ma portando professioni e mestieri nuovi in montagna. Quindi qualcosa che va a cambiare proprio l’assetto sociale. Non solo le professioni tradizionali della montagna come il turismo, l’agricoltura, l’allevamento, ma anche nuovi mestieri: tutti i mestieri progettuali, intellettuali, artistici, di ricerca scientifica che oggi si possono fare tranquillamente con un computer e una buona connessione internet.
Prof. Mercalli, in merito al rischio di fenomeni devastanti come trombe d’aria, grandini con chicchi da un chilo, se non di più, esondazioni e quant’altro, si può dire che in montagna sarà minore o più contenuto rispetto alla pianura?
No. Purtroppo possiamo dire che gli eventi estremi in montagna ci saranno tutti, tanto quanto la pianura. Forse avremo in più le frane, che in pianura non ci sono, ma avremo, almeno, in meno il problema dell’aumento del livello del mare, che in montagna non ci sarà. Quindi diciamo che sostanzialmente, a parità di eventi estremi, in montagna c’è però il vantaggio del fresco. Quello rimane e in estate almeno, tra tutti gli eventi estremi, non avremo quello delle temperature tropicali che ci saranno nelle basse quote.
Molti programmi europei che favoriscono la cooperazione transregionale fra aree di montagna, ad esempio Alpine Space, Interreg Central Europe, ecc., puntano al ripopolamento delle montagne.
Nella Pianura Padana il clima è sempre più insopportabile ed è sempre più costoso viverci, a causa anche del fabbisogno di energia, per esempio, per rendere l’aria più fresca durante le estati sempre più lunghe ed umide. Quali dovrebbero essere le linee di sostegno principali dell’Europa in questo periodo di trasformazione epocale?
L’Europa ha un grosso piano di adattamento ai cambiamenti climatici, ma direi che sulla montagna non ha ancora focalizzato la grande possibilità di riabitazione in relazione al clima. L’avevo comunque considerata più di dieci anni fa in una legge europea, di cui fui estensore insieme a un deputato della Valle d’Aosta, proprio di adattamento ai cambiamenti climatici nelle regioni montane. Questa legge probabilmente è in uno dei tanti cassetti del Parlamento Europeo, del Comitato delle Regioni, e non ha trovato quella applicazione pratica nella vita quotidiana. Tuttavia, sempre si può fare.
Nel senso che dobbiamo attrezzare le comunità locali per questa migrazione che ora è lenta e domani potrebbe diventare tumultuosa di fronte all’emergenza, affinché la montagna sia preparata ad accogliere i nuovi migranti che ovviamente devono trovare un contesto anche sociale e ambientale sostenibile. Cioè, non possiamo permetterci che una migrazione in montagna crei i problemi della città alla montagna, altrimenti avremo fallito. Bisogna assolutamente che siano chiare tutte le leggi contro il consumo di suolo. Si potrà permettere, e si auspica che vengano, solo ristrutturate le case esistenti e non venga costruito di più. Altrimenti è chiaro che costruiamo la città in montagna riproducendone i problemi.
Tutti gli edifici dovranno essere ristrutturati con le migliori tecniche di risparmio e di efficienza energetica. In modo da non gravare sulla montagna con l’ulteriore uso di combustibili fossili. Bisognerà ragionare sulla capacità di carico delle zone di montagna, che sono piccole e quindi non potranno accogliere tutti. Ma solo un certo numero che deve essere dimensionato già oggi in relazione ai servizi. In questo l’Europa, se cogliesse questo aspetto, potrebbe fare molto. Evitando che si vada in ordine sparso a livello di Comunità locali, di Regioni, di Stati diversi delle Alpi. Ma con un disegno omogeneo il più possibile, che dia delle linee guida quando è ancora possibile applicarle.