Nel corso degli anni, i cambiamenti di utilizzazione del suolo hanno modificato il volto del nostro Paese, portando da un lato urbanizzazione e intensificazione agricola e, dall’altro, abbandono colturale e rinaturalizzazioni. Tra gli effetti negativi che le attività umane provocano sull’ambiente, una delle meno considerate ma che porta con sé danni anche molto gravi, è proprio quella delle costruzioni di edifici, strade e altri manufatti, con il risultato che le città si scaldano sempre di più, man mano che aumenta la densità delle costruzioni: nelle giornate di massimo calore e nelle zone del Paese più densamente edificate, si possono raggiungere valori che arrivano ai 46 °C..
I dati sul consumo di suolo e le città si scaldano
Considerando il dato oggettivo riportato nell’ultimo rapporto ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) sul consumo del suolo, il cemento ricopre ormai più del 7% del territorio nazionale. Il Rapporto analizza l’evoluzione del territorio e del consumo di suolo all’interno di un più ampio quadro di analisi delle dinamiche delle aree urbane, agricole e naturali ai diversi livelli, attraverso indicatori utili a valutare le caratteristiche e le tendenze del consumo, della crescita urbana e delle trasformazioni del paesaggio, ma anche dell’evoluzione, della distribuzione e delle caratteristiche della vegetazione, fornendo valutazioni sull’impatto della crescita della copertura artificiale del suolo, con particolare attenzione alle funzioni naturali perdute o minacciate. Il dato che, almeno a me, è saltato immediatamente all’occhio, rileva che la differenza di temperatura del suolo nelle aree urbane di pianura rispetto al resto del territorio nazionale può arrivare addirittura a oltre 8°C (a Milano).
Se facciamo i conti di quante sono state le nuove costruzioni dell’ultimo anno e sommiamo le loro dimensioni proiettate sul suolo, in Italia è stata costruita una città grande come Cremona, cioè qualcosa di molto vicino ai 70 Km2 di territorio coperto, con l’ulteriore trasformazione di centinaia di ettari di suolo agricolo oggi utilizzato per la logistica, gli insediamenti residenziali a scopo turistico e, quanto di peggio ci possa essere a mio parere, per alloggiarvi impianti fotovoltaici a terra. In un Paese già flagellato dai cambiamenti climatici e con un dissesto idrogeologico che provoca innumerevoli disastri con cadenze quasi sistematiche, questi dati sulla cementificazione dovrebbero preoccupare moltissimo il nostro Governo e spingerlo all’approvazione definitiva della legge per la tutela del suolo che, invece, langue da oltre un decennio.
La velocità con cui si scaldano le città
Negli ultimi 12 mesi, alla velocità di 2,4 metri al secondo e alla media di 21 ettari al giorno – i dati peggiori degli ultimi 10 anni – abbiamo impermeabilizzato altri 77 Km2 di terreno fertile, che significa quasi il 7,15% dell’intera superficie del nostro Paese. In particolare, sono state cementificati centinaia di ettari in territori a pericolosità idraulica medio-alta (dalla Lombardia al Veneto, ma anche in Emilia-Romagna, nonostante la catastrofe del maggio scorso) e in aree naturali protette, che non dovrebbero nemmeno essere toccate! Inoltre, sono state cementificate enormi quantità di terreni (ex, ormai) agricoli, nel Salento, per realizzare insediamenti turistici, e nel foggiano, per fare spazio a mega impianti fotovoltaici o eolici.
Risultato: Lombardia, Veneto e Puglia sono le prime tre regioni italiane per consumo di suolo, con oltre 2.400 ettari (equivalenti a 24 milioni di metri quadrati o, per meglio visualizzare, pari a 3.360 campi da calcio), non più utilizzabili per mantenere l’equilibrio dell’ecosistema, solo nell’ultimo anno.
Il monitoraggio nazionale
I valori percentuali più elevati di suolo consumato, come già detto, sono in Lombardia (12,1%), Veneto (12%), alle quali Regioni si aggiunge la Campania (10,5%). Gli incrementi maggiori, indicati dal consumo di suolo netto in ettari dell’ultimo anno si registrano in Lombardia (+883), Veneto (+684 ettari), Emilia-Romagna (+658), Piemonte (+630) e Puglia (+499). Interessante anche il dato sul suolo consumato per abitante, che ci dice che i valori regionali più alti si registrano in quelle regioni che sono meno densamente abitate: il Molise presenta il valore più alto (592 m2 /ab), pari a quasi 200 m2 in più rispetto al valore nazionale (366 m2 /ab), seguito da Basilicata (582 m2 /ab) e Valle d’Aosta (564 m2 /ab).
Alcuni altri dati non fanno altro che confermare quanto già detto:
– nuove aree costruite e cantieri nell’ultimo anno: 77 Km2 di suolo, 10% in più del 2021;
– ritmo di trasformazione del territorio agricolo e naturale in aree artificiali: 2,4 m2 al secondo;
– oltre il 35% del consumo totale di suolo riguarda aree ad alta e molto alta pericolosità sismica;
– il 7,5% è in aree caratterizzate da pericolosità da frana;
– oggi, il suolo consumato per abitante è di circa 364 m2 (era 348 m2 nel 2006);
– la Provincia di Monza – Brianza si conferma essere quella con la percentuale di suolo artificiale più alta, con circa il 41% di suolo consumato in rapporto alla superficie provinciale e un ulteriore incremento di 48 ettari, dopo i quasi 11 dello scorso anno.
Gli aspetti sociali sulle città che si scaldano
Altro fatto confermato anche dall’Istat e che si rivela essere molto singolare e difficilmente comprensibile è che, in molte zone, c’è un preoccupante calo demografico e, di conseguenza, un progressivo invecchiamento della popolazione. Sempre secondo l’ISPRA, per ogni bambino in meno che nasce ogni anno, il consumo di suolo cresce di quasi 364 metri quadri, cioè: costruiamo condomini destinati a rimanere disabitati!
In conclusione, quello che più dispiace ammettere è che il problema è più etico ed economico che politico. Non si comprende ancora, evidentemente, che il suolo è una risorsa naturale non rinnovabile dalla cui integrità dipende la nostra sopravvivenza e la nostra prosperità e che, pertanto, non può essere ancora sacrificata sull’altare della speculazione, lasciata in mano ad amministratori locali incapaci di rinnovare, spesso dopo 30-40 anni, gli strumenti urbanistici vigenti. Il consumo di suolo doveva tendere a zero e nel 2022 invece è aumentato del 10%. La domanda sorge spontanea, direbbe qualcuno: non è che, per caso, manca una politica chiara di rilancio dell’edilizia, che passi attraverso il recupero e la valorizzazione dell’esistente? Qualcosa tipo economia circolare? E davvero ci servono i campi fotovoltaici e quelli agrivoltaici? Mah!