Di Domenico De Masi ho il ricordo del suo primo anno di professore universitario, insegnava sociologia del lavoro, era arrivato in un ateneo non grande e un po’ periferico che in Sociologia aveva un piccolo gigante impegnato, Marcello Lelli, allievo di Ferrarotti. Studioso della società industriale e della classe operaia di un’Italia che stava abbandonando gli anni Sessanta. De Masi si presentò nell’aula che raccoglieva studenti di Giurisprudenza e della neonata facoltà di Scienze Politiche, lui aveva studiato leggi poi si era specializzato in Sociologia alla Sorbona.
Il De Masi che ricordo io
Ci raccontò che fino a qualche settimana prima aveva lavorato all’Italsider di Bagnoli, ex Ilva, un colosso delle acciaierie, con migliaia di operai. Oggi non c’è più, la fabbrica è stata dismessa negli anni ’90 e ancora si attende il recupero di un’area immensa. In quella fabbrica enorme il giovane De Masi non ancora trentenne e già legato al mondo accademico, fu assunto come responsabile delle risorse umane. Una cosa nuovissima per l’Italia industriale, una concessione a certe conquiste del Sessantotto e dell’autunno caldo.
Dopo poco tempo la direzione gli ordinò di licenziare due dipendenti che erano stati sorpresi di notte a fare l’amore in un ufficio. Da commedia all’italiana, condita anche un po’ alla napoletana come in certi film che andavano di moda. De Masi chiese il tempo per istruire una piccola inchiesta, per capire meglio, conoscere gli “imputati”, farsi un’idea più approfondita di una realtà che stava appena incominciando a conoscere.
Chi era
E raccontò agli allievi: “Quando finalmente avevo capito tutto, sono tornato davanti ai dirigenti della grande azienda e ho detto: in questa immensa fabbrica ho scoperto che tutti si odiano, proprio uno odia l’altro. Voi finalmente ne trovate due che si amano e la prima cosa che pensate anziché premiarli, è di licenziarli. Io non li licenzio, se escono loro esco anche io”. Il fatto che fosse in quell’aula a parlare con noi faceva capire come fossero andate le cose.
L’ho rivisto più volte negli anni, per lavoro, abbiamo ricordato l’episodio che lui credo avesse raccontato una volta in un salotto televisivo. Era rimasto il responsabile delle risorse umane in crisi di coscienza, il sociologo del lavoro e della politica attento più a capire il domani che a fare le statistiche del passato. Capiva più di tanti, era in anticipo sugli algoritmi. Troppo per essere capito e preso sempre sul serio.
Edoardo Pittalis, sempre racconti da maestro! Bellissimo ricordo del grande umanissimo Domenico De Masi