Dedicato allo scrittore argentino Jorge Luis Borges, c’è a Venezia, nell’isola di San Giorgio un giardino labirintico voluto dalla Fondazione Cini. Quest’opera simbolica non può non ricordare alle persone sensibili che la forma della sempre meravigliosa Città d’acqua è per l’appunto, labirintica. Questo per dire che la forma labirinto è un elemento del paesaggio e, più largamente, culturale che trae origine dall’antico mito del re miceneo Minosse. In letteratura troviamo tanti tipi di labirinti, come questo: “… nel laberinto allegro vario e popoloso degli anni più verdi” (I. Nievo), che è molto… psicologico.
I labirinti non sono solo un gioco
Nel nostro tempo, l’esperienza di quello spazio concluso è per molti un gioco, una occasione per provare il brivido dello smarrimento, per vivere un “viaggio” straordinario, tanto breve quanto intenso. La sensazione dominante che si prova quando si entra in quella geometria di verzura, e si avanza lungo i sentieri di quei giardini magici, è la perdita di orizzonte, il chiudersi dello spazio abituale intorno a noi, il sentirsi prigionieri.
Fa, quindi, un certo effetto, leggere su un giornale la parola labirinto in un dotto articolo di architettura politico-amministrativa, autore l’ex giudice della Corte costituzionale Sabino Cassese.
Labirinti nella testa
Nel suo intervento, il professore ha parlato di “questo governo che complica l’azione delle pubbliche amministrazioni aumentando i labirinti e i vicoli ciechi…” cioè impalcando ingarbugliate iniziative burocratiche che oscurano l’orizzonte (l’iter delle pratiche), ciò che la voce popolare ha sempre stigmatizzato con l’espressione “complicazione delle cose semplici”.
Dice il saggio: a volte i “labirinti” e i “vicoli ciechi” non si trovano nelle carte (per esempio, nelle leggi) ma, purtroppo, nella mente dei nostri legiferanti.
Le Guide e le greggi
La letteratura ci nutre culturalmente da sempre con le sue narrazioni che ci arrivano in varie forme, dai romanzi ai poemi, dai racconti alla forma-teatro. L’intreccio con la vita che scorre è inevitabile: la fantasia e la realtà si parlano e si contagiano. In questi giorni mi è tornata in mente la distopia, cioè la narrativa utopica negativa, quando ho letto una notizia che viene dalla lontana Corea del Nord militarizzata da una “guida” megalomane come sono in realtà i suoi simili. E ho pensato che ai nostri giorni certi poteri sembrano voler imitare la letteratura più “spinta” nell’invenzione.
Si tratta di regimi che esaltano il capo supremo come una specie di divinità in terra, e lo chiamano Guida Suprema, scritto sempre con le maiuscole e a caratteri d’oro, mentre il popolo o meglio il gregge non ha maiuscole, e continua a pascolare sotto la sorveglianza di cani addestrati a tenere compatte le pecore. L’Anonimo pensa che quelle guide di popoli, più che a buoni pastori assomigliano al Pifferaio di Hamelin, celebre trascinatore di innocenti verso il baratro. La letteratura (profetica per sua natura) ci ha messo in guardia, a cominciare dal Grande Fratello del 1984 di Orwell, l’autore forse più popolare del genere distopico, ma ci sono stati anche il Koestler de Il dio che è fallito, e il russo Zamjatin con Noi e tanti altri che hanno sognato a occhi ben aperti.
Quando le Guide impongono le loro dottrine e non capiscono che anche quelle sono labirinti in cui far perdere la gente come quello di Minosse
Quelle, però, erano fantasie che anticipavano la realtà, cioè visioni letterarie. Ma poi sono arrivati gli ayatollah di Teheran con la loro Polizia morale i cui agenti, d’ambo i sessi, percorrono le strade per punire le donne che portano il velo “non correttamente”: hanno anche ucciso “per la sicurezza pubblica” e “per le fondamenta della famiglia”. Fanatici servi di una teocrazia senz’anima che ha arricchito il museo degli orrori rappresentato dalle utopie negative incarnate dai regimi illiberali.
Oggi, come dicevo, la realtà si tinge di utopia con il regime del nordcoreano Kim Jong-un, il dittatore seduto su missili e bombe atomiche, che ha imposto da poco tempo ai suoi sudditi il Programma culturale di protezione del linguaggio (leggi censura). Una forma di violenza di Stato ritualizzata, propria della retorica del regime. E così, ancora una volta, è sulla parola libera che si accaniscono certi padri della patria con la loro missione salvifica (ci sono sempre nemici alle porte…), monarchie assolute che si perpetuano, ammantandosi addirittura di filosofia vetero-comunista e sono inconcepibili per una mentalità democratica come la nostra che si affanna a proteggere le libertà, a esercitare i diritti ovunque e comunque, a combattere le varie manifestazioni del male che ci soffia addosso il suo fetido alito. Ma la realtà, ahimè, in certi casi supera l’immaginazione e crea una propria narrazione.
Citazione d’autore
“La nostra vita è breve: parliamo continuamente dei secoli che hanno preceduto il nostro e di quelli che seguiranno come se ci fossero totalmente estranei; li sfioravo tuttavia nei miei giochi di pietra: le mura, che faccio puntellare, sono ancora calde del contatto di corpi scomparsi; mani che non esistono ancora carezzeranno i fusti di queste colonne”.
Marguerite Yourcenar
Da Memorie di Adriano