Mestre. Dalla primavera all’autunno (26 novembre), al museo M9 è visitabile la grande mostra Rivoluzione Vedova, ideata dalla Fondazione dedicata al Maestro veneziano (1919-2006) e alla moglie Annabianca, curata da Gabriella Belli e allestita dallo Studio Alvisi Kirimoto per conto della Fondazione di Venezia. Si tratta di un nuovo modo di usare gli spazi del museo, aperto cinque anni fa e interamente dedicato al Novecento, aprendo “un percorso inedito che sceglie l’arte contemporanea come strumento per esplorare e interpretare la storia sociale, culturale, politica ed economica del Novecento” come puntualizza l’ufficio stampa. Catalogo Marsilio.
L’M9 perfetto per Vedova
La mostra, che possiamo chiamare evento, grazie anche alla struttura architettonica dell’M9, sembra concepita e impostata come un’unica, stereometrica installazione dinamica su cui gioca un ruolo importante la luce naturale che scende dall’alto. Spettacolare e drammatica, la scena che ci accoglie comunica al visitatore un’impressione violenta, come un urto mentale, un misto di meraviglia e di timore: e in effetti è come entrare in uno spazio magico abitato da un formidabile creatore di gigantesche forme sagomate e dipinte che incutono soggezione e stupore insieme, e sembrano vibrare con una loro cupezza come temporali all’orizzonte.
Per Vedova l’M9 si trasforma in atelier
Per capire le emozioni che si provano al contatto visivo con questi capolavori dell’estetica contemporanea, è bene entrare nella scenografia. Il terzo piano dell’M9 è stato trasformato in un gigantesco atelier, nello studio del pittore ricreato su grande scala: le opere non sono appese alle pareti (salvo alcune) ma sparse nel salone di 1300 metri quadri e addirittura accatastate a formare una specie di scultura apparentemente caotica.
L’immaginazione fa il resto: qui c’è il disordine che non si trova nei musei, qui c’è stato un cataclisma che ha sconvolto le opere che ora giacciono a terra: il Maestro non c’è più, ma tutto parla di lui, della sua arte che è stata la sua vita “nella storia”. Il tornado che ha attraversato lo studio non è solo una metafora di un poeta, ma è il vento turbinoso del xx secolo.
Chi era Emilio Vedova
Emilio Vedova è stato al centro di quel tempo, viene dunque da lontano, dagli anni Trenta-Quaranta del Novecento quando scelse come proprio linguaggio l’astrattismo: e fu un atto di libertà (parola di Gabriella Belli). Nel mondo che cambiava, fatto di conflitti e di nuova creatività, il Maestro si affermò con forza e passionalità, e da protagonista fece la sua “rivoluzione” che oggi la mostra rievoca e riafferma.
I linguaggi mutavano in fretta, rivoluzionando la realtà: per esempio, nacque la musica dodecafonica, la poesia a sua volta si liberò dai vincoli delle rime e delle forme chiuse, e Vedova impose la sua originalità rinunciando ai tradizionali “quadri” della pittura corrente, a tele e cornici, mentre il suo colore magmatico e furente si faceva parola di una estetica che era colorata di ideologia, di un’etica sofferta e battagliera.
Un artista del suo tempo
Il mondo bussava violentemente alla coscienza dell’artista, e l’arte – in anni cupi – è stata l’arma che l’artista ha rivolto contro il Male multiforme del secolo: guerre, dittature, diritti civili calpestati, libertà conculcate, la democrazia umiliata e offesa: tutto diventava eco, graffi e lacerazioni cromatiche nelle sue creazioni dove si placava il tumulto del cuore e il sangue si asciugava. E oggi quei Dischi narranti, quegli audaci Multipli sono vivi nella nostra storia: non sono finite le guerre, si gonfiano le ingiustizie e in tutto il pianeta anelano migrazioni coatte “sotto cieli autocratici”.
Ma la mostra è anche altro: l’arte potente di un artista è proposta dagli ideatori e realizzatori come una forza che attrae e fonde in unum le due parti di Venezia, l’insulare e la terrestre. In quattro parole, Alfredo Bianchini ha fatto dimenticare divisioni e polemiche campanilistiche: “L’Arte unifica due realtà”.
Insomma, Vedova superstar.
M9, museo del 900, fino ad oggi si è qualificato come museo del progresso umano e della tecnica, ignorando che il 900 è stato secolo di passaggio anche nell’arte. Finalmente si è scelto di utilizzare il terzo piano del museo per aprire all’arte scegliendo però un artista veneziano di modesto richiamo a livello mondiale. L’Auditorium intitolato a Cesare De Michelis e non ad un mestrino quale avrebbe potuto essere Piero Bergamo e la mostra di Vedova e non di un artista mestrino quale avrebbe potuto essere Viani, riconfermano – se c’è ne fosse bisogno- la venezianitá del museo che ha deciso di non essere museo di Mestre, escludendo nel contempo, per la limitatezza culturale dei suoi gestori, di vedere il 900 in una dimensione mondiale.
Non conosco molto Dalla Vedova. Ma leggendo la critica vivace profonda e appassionata del giornalista mi è venuta voglia di visitare la mostra. A me piacevano gli astrattisti degli anni 70:Pomodoro De Biasi Carmi Dorazio. La
loro razionalità mi affascinava. DallaVedova era inquietante forse perché narrava con violenza ciò che di noi non volevamo vedere. Dalle foto ho capito
che l’ allestimento non banale è perfetto per i quadri.
Spero che qualche nipote misericordioso mi accompagni al museo….Per capire bisogna conoscere
VEDOVA, non Dalla Vedova…
Credo sia opportuno un chiarimento in ordine al mio commento sopra riportato. Non sono per la divisione tra Mestre e Venezia. Sono due città, una di terra e l’altra d’acqua ma tra loro strettamente avvinte così da costituire sociologicamente una città metropolitana. Come due fratelli che vivono insieme, Mestre e Venezia hanno entrambe una particolare sensibilità nel chiedere il riconoscimento del proprio essere e se questo per Venezia è pacifico, così non è per Mestre. Il museo M9 non ha mai ritenuto di farsi carico di questa problematica limitandosi a ritenersi figlio di una Venezia sostanzialmente provinciale. Il museo M9, come museo del 900, dovrebbe dare ai millennials, che il 900 non lo hanno vissuto, il senso di un secolo di passaggio epocale, dalla candela al computer, dalla carrozza allo spazio, organizzando per gli studenti visite differenziate per classi con guide specializzate, che ben potrebbero essere anche robot. Il terzo piano ben si attaglia alla scoperta di un 900 artistico che superando il figurativo porta all’arte dei nostri giorni. Ma perché vi sia un richiamo del grande pubblico, che tra l’altro servirebbe a rendere economicamente autosufficiente il museo, sarebbe necessario organizzare delle mostre che escano dal locale. Abbiamo a Venezia la Fondazione Guggenheim che al riguardo ben potrebbe essere di supporto.