Le cronache, qualche volta, ci costringono a guardare il cielo con la consapevolezza che non è poi così estraneo al nostro treno di vita. Personalmente, mi è ricapitato di recente. C’è stato, il 12 aprile, l’anniversario del volo orbitale di Yuri Gagarin, primo cosmonauta in carne e ossa dopo tanti eroi dei fumetti chiamati da noi astronauti (versione inglese e italiana); poi è successo il disastro, in America, del mega razzo di Elon Musk: esploso nella fase di lancio.
E fra questi due eventi pubblici legati all’esplorazione dello spazio – uno di pura memoria, l’altro in diretta tv – si è insinuato un piccolo fatto privato: da Roma, mi è arrivata una rivista che si intitola Dimensione cosmica ed è diretta da Gianfranco de Turris. Completa un tris di concomitanze che, come dicevo, indicano il cielo e, soprattutto l’oltre della volta celeste perché la rivista, che si occupa di “letteratura dell’Immaginario” dedica un gran numero di pagine a un’altra rivista: quell’Oltre il Cielo di cui ho parlato a suo tempo per averci scritto, in gioventù, decine di storie fantastiche: allora molti autori ventenni immaginarono l’oceano cosmico percorso da astronavi cariche di “migranti delle stelle”.
Tutto questo per dire che esiste per noi umani, terrestri e sapiens, una soglia posta dalla storia e dalla geografia che chiamiamo cielo – complice la Luna – e l’abbiamo prima superata con l’immaginazione e la religione, poi varcata orgogliosamente con la scienza e la tecnologia, e oggi conquistata da una pattuglia di pionieri che vivono lassù e studiano il grande Oltre mentre navigano su un’astronave chiamata ISS (comandata, per turno, da un’astronauta italiana).
Senza pretese filosofiche, possiamo trarre da queste situazioni pubbliche e private una considerazione: che la soglia celeste, che trattiene l’atmosfera respirabile sulla Terra e ci separa dal vuoto mortale dell’Infinito, è un confine, non una prigione. Per quanto pazzo, divoratore e autolesionista sia come specie e come individualità, l’Uomo di ogni tempo ha sognato la Luna finché non l’ha conquistata. Anche su scala personale dobbiamo affrontare la legge del limite, e la soglia obbligata da varcare ci aspetta ad ogni risveglio.
Dalla tamerice… alla Bibbia
Una nuvoletta rosa circondata di verzura: è una solitaria tamerice vista in un giardino di città. “Pensa – dice la signora N. – che ne parla già la Bibbia”. È infatti la parola tamerisco, da lei evocata, che fa volare i pensieri tra le pagine del Libro, dove, a sorpresa, le piante e gli arbusti, insieme ai fiori sono centinaia. E abbiamo scoperto che ci sono molti libri dedicati a questi “personaggi… vegetali”. A me ha impressionato il fatto che lo scriba biblico usi l’aggettivo bello, e anche bellissimo quando cita gli alberi da frutto del suo tempo, indipendentemente dall’uso alimentare, simbolico o religioso che il popolo del Libro praticava.
Curiosiamo: il cedro da grossi frutti “è bellissimo”; l’olivo è “di rara bellezza” e sta scritto: “avrà la bellezza dell’olivo e la fragranza del Libano”; il terebinto, “i cui rami sono rami di maestà e bellezza”. E ancora il glorioso melograno, l’orgogliosa palma da datteri, il carrubo “elegante” ecc.
Il fico, una delle sette piante della Terra promessa, è fra gli alberi più citati per i dolci frutti cari ai viandanti, per le sue fronde che danno ombra agli affaticati e ai saggi che ammaestrano i piccoli, ed è anche simbolo di fertilità, prosperità e felicità: bellissimo. Queste qualità ci parlano della bellezza di un “giardino” sacro di tremila anni fa. La tamerice di città viene da là, dal profondo pozzo del passato, e gode la nostra ammirazione.
Due parole a confronto
Le hanno usate nelle recenti cerimonie sui giornali con una certa voluttà devo dire, unendole anche in un unico abbraccio falso e mistificante: sono la parola libertà e l’altra, Liberazione, nel giorno anniversario. Forse a qualcuno sono sembrate uguali o, almeno, simili. Non è esattamente così.
Vediamole da vicino (secondo il nostro sentire) e troviamo che la libertà è un valore assoluto, non certo un privilegio, è una condizione, una facoltà/possibilità di vivere senza vincoli, in autonomia, è addirittura una filosofia. E poi, abbiamo forse dimenticato ciò che sta scritto, e cioè che “Ogni uomo nasce libero”?
Liberazione è invece dinamica, è un gesto, e il suo nome significa “azione che libera”. Oggi la Liberazione con la maiuscola, nata dalle ceneri fumanti del fascismo, della monarchia e della guerra, ci porta a dire, poeticamente se volete, che il vento patriottico della primavera del 1945 ha… liberato la libertà e le ha ridato voce. Il fascismo l’aveva ingabbiata, umiliata e offesa con le sue leggi non a caso chiamate liberticide.
La storica lotta di liberazione contro gli invasori nazisti, sostenuti ahimè da tanti italiani, è come il sole dell’aprile che ha dissolto l’inverno della dittatura. Questo è scritto in pagine macchiate dal sangue di Matteotti e degli altri martiri della libertà e della democrazia.
Un pensiero non superficiale. Ho l’impressione che il 25 Aprile festa nazionale non sia mai stato così appassionatamente celebrato come quest’anno. Le “due Italie” che un di’ si combatterono sanguinosamente – non solo ideologicamente – avranno un futuro di pace fra loro?
Alla luna
(poesia)
O bella luna
dea dei silenzi amica
Trivia che ridi fra le ninfe eterne,
pista di allunaggio
ganglio di strategie spaziali
serbatoio di minerali rari,
pietra lucente
sospesa nello spazio
quale ti vide il saggio di Clazòmene.
Mario Marzi
Da Mondo in bottiglia, Prefazione di A. Zanzotto,
All’insegna del pesce d’oro, Milano 1988