Ogni anno, il 10 ottobre, Mestre diventa la città più importante dell’universo alpino. E’ a quota zero e le montagne si vedono soltanto da lontano quando il cielo è sereno, ma in una chiesa del centro custodisce una reliquia sacra per tutte le penne nere. E’ l’immagine della Madonna del Don, protettrice degli alpini, trovata a Belegorije, provincia russa di Podgornoje, nel novembre del 1942. Siamo alla vigilia della grande controffensiva russa e della tragica ritirata che decimerà le nostre penne nere. In quella zona, in un’ansa del Don è schierato il battaglione Tirano della divisione Tridentina e gli alpini della 46ma compagnia frugando tra le macerie di un’isba hanno intravisto per caso un’icona cosacca miracolosamente intatta.
La Madonna del Don
Rappresenta una Vergine addolorata, dai tratti dolcissimi, con il cuore trafitto da sei spade e le mani in atteggiamento di preghiera, simbolo di una pace che in quel momento – come ora – in quella zona non c’è. Ai lati del volto, in alto spiccano le parole in greco: “Madre del figlio di Dio”. E’ un’immagine umile, tenera, dal valore inestimabile per chi è tanto lontano da casa e non sa se ci tornerà. Per quei ragazzi è un segno del destino e si affrettano a consegnarla al cappellano del battaglione, il cappuccino padre Policarpo da Valdagno, al secolo padre Narciso Crosara, perché la custodisca con cura.
Abbiamo trovato la Madonna – dicono – lei ci proteggerà. Poi, appena un mese dopo le cose precipitano. I russi sono passati all’attacco e sfondano il fronte in più punti. Quando tutto sta precipitando e c’è il rischio che l’icona vada perduta, padre Policarpo l’affida ad un alpino, uno degli ultimi che sta fortunosamente rientrando in Italia. Gliela consegna accompagnandola con delle parole che tutti gli alpini conoscono: “Portala a mia madre perché sia custode per tutte le mamme che non vedranno il nostro ritorno”.
La Madonna simbolo delle Penne Nere
Dopo c’è la tragedia di quell’interminabile ritirata, l’orrore di tanti morti, i combattimenti disperati. E finalmente il 31 gennaio del 1943 l’arrivo della Tridentina a Sebeniko, fuori della sacca. Padre Policarpo, ferito, ridotto ormai all’ombra di se stesso ha accompagnato passo dietro passo i suoi alpini confortandoli sempre. Ma il ritorno a casa è ancora lontano. Dopo la Russia per le nostre penne nere ci saranno i lager tedeschi, un altro inferno da cui molti non torneranno. Sarà solo nel 1945, a guerra finita, che il nostro intrepido cappuccino troverà la strada per Valdagno. Lì potrà riabbracciare l’anziana madre e pregare insieme a lei davanti alla Madonna del Don, fino ad allora custodita tra le mura di casa come una reliquia. E da quel momento, per tener fede alla promessa fatta sul campo di battaglia, sarà a lei che gli alpini d’Italia chiederanno la pace.
La memoria di chi non è tornato
Il suo sarà un culto spontaneo e sincero e a lei si rivolgeranno i parenti per perpetuare la memoria di chi non è tornato. E siccome quella tavola di legno salvata dalla guerra ha per loro un valore inestimabile, si quotano – ognuno come può – per regalarle finalmente una cornice. La realizza un artista friulano di Majano, Angelindo Modesti, ed è un piccolo capolavoro in argento e oro dal peso complessivo di 14 chili.
Poi, siccome il fascismo e la guerra hanno lasciato ferite che grondano ancora, padre Policarpo decide che è il momento di portarla in processione per “la crociata dell’amore e del perdono”. Simbolo della fraternità che nasce dagli orrori della guerra, ispirato frutto di un artista cosacco senza nome, la Madonnina viene fatta sfilare in ottanta città. Dove i fedeli si riuniscono a pregare davanti alla sua immagine. Si arriva così al 1967, anno in cui l’icona trova la sua sede definitiva nella grande chiesa di San Carlo Borromeo dei padri cappuccini a Mestre. Dove i reduci dei battaglioni alpini affluiscono in processione.
Simbolo degli alpini e della pace
La fede è una convinzione intima, di una limpidezza che sa di cielo sereno. E gli alpini riconoscono istintivamente in quella Madonna, salvata nella terra lontana dove tanti compagni sono rimasti, la loro protettrice. Ma si sa, gli alpini hanno il dono della semplicità e pretendono la chiarezza. Perciò 35 anni dopo, esattamente il 13 ottobre 2002, con un “atto di affidamento” ufficiale, la Madonna del Don viene consacrata per sempre la Madonna degli alpini. La sua immagine dolente e piena d’amore è stata attorniata nel tempo dalle targhe che ricordano tutte le unità alpine ed ai suoi lati brillano le lampade votive con l’olio che ogni anno le sezioni Ana offrono a turno. Ultime quelle di Como e Udine.
La preghiera della Madonna del Don
Davanti a lei si riuniscono ogni anno, in ottobre, le penne nere di tutta Italia per recitare la loro preghiera. Vale la pena, in questi tempi di guerra che affliggono le stesse zone del Don dove quella sacra immagine è stata trovata, di ricordarne le ultime due righe. “Ci affidiamo a te, vigila su tutti noi e in particolare sui nostri alpini impegnati al di là dei nostri confini. Essi si muovono senza odio o rancore alcuno, nell’unica prospettiva della pace”.