Ma è poi vero che gli alpini stanno sempre con il bicchiere in mano? Questa domanda è meglio non farla perché non sta bene e potrebbero offendersi in tanti. Fa pensare alle solite barzellette stantie sulle penne nere, magari a gente che parte per l’adunata nazionale con la damigiana sul portapacchi della macchina. E nessuno si chiede mai se lo fa per risparmiare o perché si fida solo del suo vino. Scherzi a parte – che quando non fanno male a nessuno sono sempre bene accetti – può anche capitare che a qualcuno in giornate tanto particolari capiti di esagerare.
Ma il mito degli alpini con la sbronza facile è un luogo comune
Messo in piedi da chi le penne nere non le conosce affatto ed è invidioso del loro inossidabile spirito di corpo. Anche se ci sta che quando ci si rivede dopo tanti mesi, qualche volta dopo anni, si festeggi come ci hanno insegnato i vecchi. L’importante, comunque, è sapere sempre come si deve bere. E su questo le fiamme verdi sono in grado di dare dei punti a tutti.
Mi viene in mente una sera d’inverno di tanto tempo fa
Avevo sedici, forse diciassette anni e per la prima volta mio padre mi aveva permesso di accompagnarlo ad una riunione coi suoi vecchi amici. Era la settimana prima di Natale e sapevo che quell’incontro dalla fine della guerra per loro era diventato un rito. Si rivedevano per farsi gli auguri, ma era soprattutto l’occasione per guardarsi in faccia, scoprire quanto erano invecchiati e soprattutto ricordare insieme. Parlavano di cose loro, di una giovinezza tradita, di tanti compagni che non c’erano più, di Russia, Grecia, Albania. Era tutta gente attempata che si conosceva da una vita e insieme ne avevano viste di tutti i colori. Mi aveva colpito però che parlavano senza alzare la voce, ricordando date e citando nomi con grande rispetto, storie private solo per loro di cui capivo pochissimo perché ero impegnato a seguire mio padre ad occhi sgranati. Lui, che in casa non andava mai oltre il mezzo bicchiere di vino durante i pasti – rosso di rigore – adesso alzava un calice dietro l’altro alla memoria di persone che non avevo mai sentito nominare, ma che dovevano essere importanti.
Gli alpini bevono! Mio padre docet
Dalle nove di sera all’ una di notte, avevo tenuto il conto con cura, aveva bevuto otto bicchieri di vino, quattro grappini e due prunelle. Roba da restare secchi per almeno tre giorni. Eppure lo vedevo ben saldo sulle gambe alla fine di quell’incontro mentre salutava: più abbracci che strette di mano. Fuori era pieno di stelle, eravamo ai Piani di Bolzano e il freddo, malgrado uno sciarpone che mi serrava la gola, mordeva come un cane arrabbiato. Ma non ci badavo perché ero preoccupato: con tutto quello che s’era bevuto, mio padre di sicuro aveva bisogno d’aiuto. Certo, camminava dritto, ma poteva inciampare e cadere da un momento all’altro. Così, beata ignoranza, m’ero fatto più vicino e rotti gli indugi avevo azzardato un: “Se vuoi, appoggiati alla mia spalla, ti sentirai più sicuro”. Lui s’era fermato di botto e m’aveva squadrato sorpreso, poi con un sorriso sotto i baffi aveva replicato tranquillo: “Grazie, ma non c’è bisogno, sto benissimo”. E andò così che ritornammo a casa senza più spiccicare una parola. C’era qualcosa però che non mi quadrava. Come aveva fatto ad ingurgitare tutta quella roba senza risentirne? Forse mio padre non lo conoscevo fino in fondo, anzi a quel punto mi sembrava di non conoscerlo affatto. E la faccenda non mi piaceva.
Enno Donà, un signore
Allora abitavamo ancora nella caserma di Laives dove era stanziato il Deposito della Brigata Tridentina, comandato dal generale Enno Donà. Era un signore tranquillo, abituato da sempre a comandare, ma non lo faceva mai pesare. Era ormai quasi al termine di una gloriosa carriera e conosceva benissimo mio padre, che in quel periodo era uno dei suoi collaboratori. Di sicuro poteva aiutarmi. Lui, in Russia, s’era trovato a comandare, da tenente, una compagnia del “Battaglione Verona”. Durante la grande ritirata, il 26 gennaio del 1943 aveva guidato i suoi alpini all’assalto nella battaglia di Nikolaevka, l’ultimo scontro prima di uscire dalla sacca in cui le truppe sovietiche avevano rinchiuso la nostra armata. Era stato un massacro, come racconterà poi: dei 240 alpini che guidava, alla fine ne erano rimasti meno di 20.
Lui stesso, alla sera, era più morto che vivo: ferito alle braccia, alle gambe ed al fianco destro. Non riusciva più a camminare, ma i suoi alpini non lo avevano abbandonato e se l’erano trascinato dietro su una slitta fino alla salvezza. Poi, era riuscito a scampare ai lager tedeschi e si era unito ai partigiani durante la Resistenza. Era un mito tra le penne nere ed era famoso anche per la sua disponibilità. “Se hai un problema, dicevano, lui ti sta a sentire. E lo fa per davvero.”
Gli alpini bevono ma sanno come farlo. Ora lo so
Tutte queste cose le sapevo ed avevo anche il vantaggio di conoscerlo. Più esattamente sarebbe giusto dire che era lui a conoscere me e da anni. Però ero sempre poco più di un ragazzo e lui un generale con la penna bianca. No, il coraggio di fermarlo non ce l’avevo. Come al solito, anche quella volta era stato invece lui a risolvere tutto, quando mi aveva visto aspettarlo ai piedi della palazzina-comando. La mia esitazione, forse anche troppo evidente, l’aveva incuriosito ed aveva preso lui l’iniziativa a modo suo: “Gioventù, c’è qualcosa che non va?” Se n’era uscito sorridendo. Ed io, rosso in faccia, dopo un buongiorno a testa bassa avevo preso coraggio. “Ecco, se posso, ma lei conosce bene papà? “Abbastanza e da tanto tempo, perché?” No è che ieri sera per la prima volta l’ho visto mischiare vino e grappa senza fare una piega e mi ha impressionato. “Ecco, si vede che tante cose di tuo padre non le conosci. Ma è normale, non è che si vanno a sbandierare in giro. Ricordati che si beve quando si è contenti, quando si vuole dimenticare e quando ci si deve scaldare. In Russia, certe volte usavamo l’elmetto per mescolarci dentro qualsiasi cosa, purché bruciasse una volta ingurgitata. Però, prima sgranocchiavamo sempre un pezzo di galletta o pane secco. Di sicuro l’avrà fatto ieri sera anche tuo padre e non te ne sei accorto. Gioventù, sta tranquillo. Gli alpini, quando vogliono, bevono tanto. Ma sanno come si fa.” E se n’era andato con un sorriso.