Non credo che il 25 Aprile del 2023 sarà divisivo, che ci saranno un’altra volta due Italie contrapposte. Siamo una democrazia matura, nata dopo una dittatura, una guerra che è stata anche guerra civile, una monarchia che aveva perso dignità. Siamo tanti liberi che ognuno può dire liberamente quello che vuole; che andiamo a votare e eleggiamo il governo che ci piace, di centro, di sinistra, di destra. Sappiamo anche che questa Italia è figlia del 25 Aprile del 1945, che questa data si chiama Festa della Liberazione perché quel giorno finalmente l’Italia riacquistò la libertà. E perché quel giorno in qualche modo ha riscattato anni bui e terribili, ha ridato dignità al Paese, le ha restituito credibilità e speranza. Certo non eravamo tra chi aveva vinto la guerra, anzi eravamo tra quelli che l’avevano voluta. Certo senza gli americani la nostra storia sarebbe stata diversa. Ma qualcosa gli italiani l’avevano fatta per poter almeno essere ascoltati e non soltanto sopportati.
Mettere in dubbio la libertà è come mettere in dubbio la storia
Metterlo in dubbio è contro la Storia. Così come è assurdo dire che la Costituzione in nessun modo rivendica l’antifascismo della nuova Italia. Non solo perché ogni articolo è scritto in modo da esaltare proprio tutte le libertà che il fascismo aveva soppresso, ma anche perché è esplicitamente vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista. Non lascia dubbi. E chiunque governi, dallo Stato al più piccolo comune, deve rispettarne lo spirito e la verità che non può mai essere adattata all’abito di chi comanda al momento. I diritti e i doveri sono di tutti, nella stessa maniera.
Sicuramente il passato ha anche ombre, il sangue versato è stato di tutti, dei vincitori e dei vinti
L’Italia nell’aprile 1945 era ancora calpestata dai piedi di troppa gente per poter gridare felice. I vincitori non se ne volevano andare e sul confine orientale resteranno ancora per molti anni. Su un muro di Roma scrissero di notte: “Andatevene tutti, lasciateci piangere da soli”.
L’esercizio più difficile era guardare avanti, ossessionati da un passato cupo e dal ricordo di tanti che non c’erano più. Nel tempo per molti il futuro immaginato ha avuto il sapore amaro della delusione, anche se non della sconfitta. Ha detto nel 1990 padre Davide Maria Turoldo che era stato prete nella Resistenza: “Oggi si lotta ma senza ideali, si lavora ma senza luce, si recrimina ma senza speranza. E’ morta la fede…”.
Libertà è anche dignità
Ci sono stati periodi di perdita della memoria della nazione, è stato come se venisse azzerato il ricordo del fascismo e, dall’inizio della guerra fredda, anche il ricordo della guerra di liberazione. Per anni gli italiani non si sono riconosciuti. Abbiamo tardato a prendere atto che quella dal 1943 al 1945 è stata una lunga e feroce guerra civile, termine che a lungo è stato rifiutato. Ma non doveva servire a legittimare una parte o l’altra, serviva semplicemente a dire la verità: una lotta armata tra uomini di uno stesso paese. Non è una guerra regolare, non offre l’alibi di sparare per obbedire a un ordine; è stata guerra totale, sotto casa, con i morti impiccati, fucilati nelle piazze, delazioni, arresti, torture. Nel momento stesso in cui è iniziata, la guerra civile era segnata nell’esito. Ha scritto Renzo De Felice: “Nella sua follia Hitler ha portato la Germania alla distruzione, ma la Germania è caduta in piedi. L’Italia è caduta molto male, senza dignità…”.
Libertà non è vendetta
E alla guerra civile è seguita la fase della vendetta e nella vendetta nessuno è meglio dell’altro. Ma anche su questo non siamo stati capaci di scavare fino in fondo, fino alla verità. Come in altre cose, a incominciare dal processare i criminali di guerra, dal fare i conti con chi era compromesso col regime. Nessuno ha pagato, l’amnistia firmata dal ministro Guardasigilli Palmiro Togliatti, segretario del Pci, nel luglio del 1946 cancellò reati comuni, militari e politici commessi dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943. Disinnescò la carica di vendette, ma risvegliò nella coscienza popolare nuovi risentimenti.
Non si nasconde la libertà
Quasi tutti i fascicoli riguardanti gli autori delle stragi naziste in Italia finirono in un armadio con le ante sigillate contro la parete del palazzo di giustizia di Roma. L’armadio della vergogna. L’hanno aperto soltanto dopo che tutti i criminali erano morti nel loro letto da uomini liberi e mai chiamati a rispondere dei loro reati.
Lo storico Claudio Pavone, tra i primi a parlare inequivocabilmente di guerra civile, ha scritto: “I fascisti di Salò non si possono espungere dalla storia dell’Italia, così come non se ne possono espungere il razzismo e l’antisemitismo. Farlo significherebbe indulgere alla brutta (e cattolica) abitudine italiana alla facile autoassoluzione”.
Per decenni si è dato tutto fumosamente e colpevolmente per scontato
Bisognerà attendere il 1995 perché, in occasione del cinquantesimo della Liberazione, agli esami di maturità compaia un tema sugli ideali della Resistenza.
E’ stata guerra totale, civile e terribile. E i morti meritano tutti rispetto e anche pietà. Ma non si può fare confusione tra eguaglianza di fronte alla morte e le differenze di fronte alla vita. Si muore allo stesso modo da una parte e dall’altra, ma restano profondamente diverse le ragioni per le quali molti sono morti. Tra chi è caduto accanto all’invasore e chi per liberare l’Italia da quell’invasore qualche differenza c’era e resta. E’ su questa differenza che si basa la nostra libertà di oggi.