Cristina, una nipote che vive in Polesine, ha ricevuto “una sorpresa di Pasquetta”: una sua amica le ha inviato un messaggio via WhatsApp che l’ha commossa e subito l’ha rilanciata a noi zii, che condividiamo il suo sentimento e la sua sorpresa.
Si tratta della fotografia di una grande targa che il Comune di Grugliasco, alle porte di Torino, ha inserito nella toponomastica cittadina e l’ha dedicata al Polesine nel sessantesimo anniversario della grande alluvione del 1951. Fra le vie comunali della cittadina piemontese c’è dunque il Largo Polesine, con la riproduzione geografica del territorio accompagnata dalla sintesi della sua storia che si conclude con questa frase: “Dopo l’alluvione del 1951, che ha devastato l’intero territorio, Grugliasco ha accolto centinaia di famiglie polesane”, e la data: 14 ottobre 2011.
Da quel dì, e per sempre, la targa diventa parte di una narrazione, che è testimonianza di un evento terribile e della solida fraternità che ne è derivata.
Oggi i cittadini grugliaschesi ex esodati polesani (noi dicevamo alluvionati) arrivati in Piemonte dalla tragica provincia di Rovigo sono 711, ai quali negli anni si sono aggiunti figli e nipoti che hanno dato vita a una comunità di forte rilievo “non solo numerico, ma culturale”: parola del sindaco.
Si parla tanto di Rete digitale, che ci rende “tutti interconnessi” quanto inconsapevoli. Ma questo “trapianto” di veneti in terra piemontese, uno dei più consistenti, ci dice che esiste e resiste un’altra rete, più antica e meno artificiale. Grugliasco è un “nodo vivente” in tale rete, fatta di sentimenti e di persone che insieme hanno scelto di ricordare a futura memoria la loro comune appartenenza, o meglio fratellanza: “Eravamo migranti, e ci avete accolti”.
Avanti guardando indietro
Inaspettata, una frase mi ha colpito nella prima pagina del saggio che stavo per leggere, ed è questa: “Mi sentivo depresso”, scrive l’autore, “a causa dello stato del mondo”. Confessione dello scrittore Jonathan Gottschall ad apertura de Il lato oscuro delle storie (Bollati Boringhieri 2022). Mi ha colpito per quello che significa, cioè la condizione di malessere di un uomo del nostro tempo che vive lontano da noi ma soffre come noi qui oggi. Infatti condividiamo con lui la pressione della realtà quotidiana, anche se non siamo capaci di esprimerci con la stessa precisione. Noi, infatti, sentiamo “il peso del mondo”, siamo “con il mondo addosso”, “la tempesta è arrivata”, “che posso fare io?”
Che cosa ci lega a questo autore americano? La condivisione della consapevolezza che esiste il Male, quello stesso “male che devasta il mondo” (S. Tamaro), che ci procura malessere morale, disagio sociale, paura, incertezza del domani mentre soffiano venti di guerra e la terra inaridisce.
La mente è tormenta e sono turbati i nostri cuori. Ci insidia un pensiero: se si potesse tornare indietro, se potessimo cancellare il male che soffia gelido sulle nostre anime… Se potessimo “riavvolgere la pellicola” di questo psicodramma… Ma è scritto: nessuno torna indietro.
Gli orsi non vanno al bancomat
È cronaca: una donna anziana rapinata davanti al bancomat. È voce popolare che ti rincorre se attraversi il mercato nei suoi giorni o, sempre, la Piazza. La gente racconta, e dice: c’è malavita scatenata in ogni città, un cocktail di mala italiana e di disperazione straniera, gli invisibili. Sbarcano e si disperdono nel territorio, affamati e determinati a tutto, anche a farsi reclutare per lo spaccio, così per sopravvivere vendono polvere di morte (mors tua…).
E ci sono le aggressioni. Le loro prede sono note: gli anziani (le loro magre pensioni), cioè i soggetti più deboli di ogni società, e anche loro spesso invisibili agli occhi delle amministrazioni pubbliche.
In montagna, ormai è cronaca nera, il pericolo sono gli orsi selvaggi, in città è rappresentato da umani solitari o “connessi” ad un gruppo violento chiamato anche branco: tutti figli di una crisi che non ha confini, molti approdati qui lungo la Via della Disperazione.
Cjanson
(poesia)
Mi pese in cour d’avril
la pene antighe,
il nassi da li’ robis dal muri
cussì aual al miò jessi
ch’intal nuje si pieri simpri di pi.
A’ no val preati, vite mare,
la storie ‘a no pos ferma-si a revoci –
o frutis malabiosis
cu li’ cjamésis gnòvis de viarte
a maecjis di vert e tiare!…
Canzone (tradotta dal friulano)
Mi pesa il cuore dell’aprile / la pena antica, /il nascere delle cose del morire / così uguale al mio essere / che nel nulla si perde sempre di più. / Non serve pregarti, vita amara, / la storia non può fermarsi a rievocare – oh ragazze capricciose / con le camicie nuove di primavera / a macchie di verde e terra!…
Amedeo Giacomini
Da Presumut unviar Presunto inverno, Libri Scheiwiller, Milano 1987
…. ricordi di bambina allora, ma ancora molto presenti, il lclima di solidarietà che si viveva nel piccolo paese di Campalto nella raccolta di indumenti è altro nel l’asilo… il passato è il presente oggi.
Ciao Ivo