Questo non è un fatto di fascismo o di antifascismo. Non penso che ci sia spazio nell’Italia del 2023 per qualche nostalgico di quel periodo. Lo ha seppellito la storia. Siamo una democrazia vaccinata e matura, protetta da una Costituzione che precisa bene i diritti e i doveri di ciascuno di noi. Forse proprio per questo a qualcuno ogni tanto viene voglia di cambiarla; la parola doveri, a certi va stretta, vogliono solo i diritti. Questo è un fatto di verità storica. La storia può essere sempre ri-studiata, riscritta, con cognizione di causa, con nuovi documenti, con verità che non si possono prestare a sole interpretazioni di parte. Riscrivere non è negare.
Storia e antifascismo
Che l’Italia sia un paese antifascista è scritto anche nella Costituzione, perché la Repubblica ha archiviato il suo passato di dittatura e di una guerra. L’antifascismo della Costituzione non è soltanto nella XII disposizione transitoria e finale che vieta la ricostituzione del disciolto partito fascista. E’ nel rovesciamento completo dei fondamenti del sistema fascista, è in tutte le forme di libertà concessa, a incominciare da quella di espressione. E’ stato possibile dopo una dittatura, dopo una guerra che è stata anche guerra civile, una Resistenza.
Per questo bisogna conoscere la storia. “Chi non conosce la storia è condannato a ripeterla”, dice la scritta all’ingresso del campo di sterminio di Auschwitz. E’ così da sempre, a ignorare gli errori del passato li si commette ancora. Perfino gli orrori in tutta la loro atrocità.
Un po’ di confusione
Il Presidente del Senato Ignazio La Russa ha fatto qualche confusione sulle Fosse Ardeatine e su via Rasella
Poi si è anche scusato, seppure a denti stretti. Qualche confusione l’aveva fatta anche il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni a proposito delle vittime delle Ardeatine. Non dovrebbe accadere.
Nella primavera del 1944 l’Italia era divisa in due, da una parte il sud dove si era insediato il governo nominato dal re e che veniva gradualmente liberato dagli Alleati che risalivano la penisola. Al centro-nord c’erano i tedeschi che avevano invaso l’Italia settentrionale dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 e che si servivano di un governo collaborazionista creato dai fascisti a Salò sul lago di Garda. Era la Repubblica Sociale Italiana che aveva a capo lo stesso Benito Mussolini liberato dai tedeschi dalla prigione del Gran Sasso, portato in Germania e riportato in Italia giusto per creare nell’autunno del 1943 la sua RSI.
La vera storia
Con quell’armistizio l’Italia aveva dichiarato guerra alla Germania che l’aveva prontamente invasa. Le forze della Resistenza, antifascisti di ogni orientamento politico, si opponevano e combattevano. Roma era “Città aperta”, in mano ai tedeschi; migliaia di ebrei italiani erano stati subito deportati nei campi di sterminio, aiutati anche delle leggi razziste emanate da Mussolini e dal sovrano. Roma è prossima ad essere liberata dagli americani, che infatti entreranno il 4 giugno 1944 senza trovare opposizione. E’ in questo clima di attesa che si verifica l’attentato di via Rasella, un commando partigiano fa saltare in aria un carretto di rifiuti provocando la morte di 33 soldati del battaglione “Bozen”. Soldati ai diretti comandi delle SS, non come ha detto La Russa “semi pensionati di una banda musicale”. Quasi a dire che erano stati ammazzati dei vecchietti che non sapevano sparare e servivano per suonare alle parate.
Fu Hitler a decidere la storia
Per rappresaglia, per ordine pare dello stesso Hitler, fu decisa la fucilazione di dieci italiani per ogni soldato. Si pescò nelle carceri, dove erano rinchiusi antifascisti e ebrei. Non tra i detenuti comuni. E siccome chi collabora ci mette un impegno particolare, ai 330 ne vengono aggiunti anche altri cinque, giusto per compiacere il boia. Sia chiaro: era una rappresaglia decisa dopo un’azione di guerra fatta contro un nemico invasore. Non ci fu nessun tentativo di cercare i responsabili, non ci furono manifesti che invitavano gli attentatori a costituirsi. A sgomberare il terreno dagli equivoci c’è una sentenza della Cassazione del febbraio 1999 che sancisce che quello fu “un legittimo atto di guerra”, smentisce illazioni andate avanti per anni, si basa su documenti, conferma la Resistenza come istituzione della Repubblica.
I nazifascisti
I nazifascisti – perché i nazisti ordinarono ma i fascisti stilarono l’elenco e condussero le vittime dai boia – presero i 335 italiani tra i quali c’erano molti ebrei, tantissimi detenuti politici chiaramente antifascisti, gente di ogni regione e di ogni fede, anche un sacerdote, un ragazzo, un invalido di guerra privo di una gamba. Li condussero sui camion fuori porta, vicino alle catacombe di San Sebastiano, non lontano dalla chiesetta del “Quo Vadis”, sulla via Ardeatina. Fecero entrare i 335 uomini nelle cave arenarie, legati a due a due, e incominciarono a sparare, una coppia di prigionieri dietro l’altra, i morti cadevano l’uno sull’altro. Spararono per un giorno interno e un’intera notte del 24 marzo 1944 e quando qualche soldato crollava per stanchezza e per orrore, gli ufficiali ne prendevano il posto con la Luger d’ordinanza. Il buio delle cave fu rotto continuamente dai lampi degli spari. A dare gli ordini era il tenente delle SS Erich Priebke.
Poi per far sparire ogni traccia fecero brillare le mine all’entrate e trasformarono le cave in un’immensa tomba. Ci vorranno mesi per trovare le tracce della strage.
La storia e il Triveneto
In quella tomba morirono anche nove triveneti, giusto per rispettare la geografia dell’antifascismo e della persecuzione. Due veneziani: il capitano di cavalleria Manfredi Azzarita, 32 anni, e Aldo Eluisi di 46 anni. Il primo era un partigiano, aveva studiato negli Usa, si era laureato a Roma, aveva combattuto in Jugoslavia, si era unito alla Resistenza dopo l’8 settembre. Il secondo era un vecchio antifascista, partigiano, catturato e torturato dalla banda Kock nelle prigioni di via Tasso, portato a Regina Coeli per essere incluso nell’elenco. C’erano due triestini: il maresciallo Mario Haipel di 33 anni e il professore di lettere Paolo Petrucci, di 27. Entrambi partigiani, entrambi barbaramente torturati in via Tasso. Due polesani: l’asfaltista di Corbola Carlo Camisotti, 42 anni, e il falegname di Adria Mario Passarella, 39 anni; entrambi partigiani. Due commercianti: il padovano Pier Domenico Diociajuti di 65 anni, e il vicentino Mario Tapparelli di 52 anni. Entrambi partigiani. L’ultimo, Aldo Finzi di 53 anni, di Legnago, era un vecchio fascista dal passato importante, amico di Mussolini, ex sottosegretario, caduto in disgrazia con le leggi razziali perché ebreo.
Tutti italiani, certo, ma non scelti perché solo italiani come ha detto qualcuno: ma perché antifascisti o ebrei
Kappler il massacratore fu condannato all’ergastolo da scontare nel carcere militare di Gaeta. Evase il giorno di ferragosto del 1977 dall’ospedale militare di Roma. Raccontano chiuso in una valigia trasportata dalla moglie. Certo con molti complici. E’ morto da uomo libero.
Priebke è stato individuato nel 1996 sulle Ande Argentine e condannato in Italia all’ergastolo che non ha mai scontato perché ottuagenario e malato. E’ morto da uomo libero.
La storia e le Fosse Ardeatine
I 335 delle Fosse Ardeatine sono morti legati a due a due e ammucchiati l’uno sull’altro. Testimoniano quello che è realmente accaduto. Se siamo liberi, se ognuno può dire quello che vuole liberamente, anche quello che non corrisponde a verità, lo si deve anche a quei morti.
Forse è il caso di riaprire il libro di storia, di conoscere prima di parlare. Forse chi ricopre cariche così importanti potrebbe imparare che la libertà è anche quella di non dire niente quando si rischia di sbagliare. Di avere la capacità di ammettere gli errori.
Tra poco è il 25 Aprile, festa della Liberazione dell’Italia dal fascismo e dagli orrori della guerra. E’ la festa degli italiani tutti, non solo di una parte. E’ il rispetto per i tanti, come i martiri delle Ardeatine, che sono morti per regalare a figli e nipoti, che non avrebbero mai, visto la Libertà.
Splendido questo articolo!
Grazie a Edoardo Pittalis per questa preziosa e drammatica pagina sulle Fosse Ardeatine. Qualcuno cerca di riscrivere la nostra storia antifascista. E’ molto grave. Per questo è importante che le parole di Pittalis vengano lette da tutti
Bravo,, reperita intanto, sempre e ovunque.
Ivo