Fra i vecchi appunti che ho redatto a futura memoria, ho trovato e trascrivo questo: “Ci aspetta, come umanità, uno choc culturale universale? È quello ipotizzato dal fisico Guido Torelli e accadrà quando l’Uomo scoprirà che la vita esiste su altri mondi, quale che sia la forma che vi ha assunto. Mondi scoperti da Kopler, cioè pianeti più o meno somiglianti alla Terra”.
Questo tipo di pensiero – casualmente espresso da uno scienziato – si chiama “guardare con occhi di futuro”, cioè avere uno sguardo della mente che innesca pensieri fantastici. Per esempio, visti dalla narrativa di anticipazione, non estranea all’Anonimo, i terrestri del futuro saranno i migranti delle stelle; si ripeterà allora, nel cosmo, la straordinaria odissea vissuta sul pianeta dalla nostra stirpe Homo sapiens ovvero “specie umana sapiente” (così si legge nel libro Libertà di migrare di Calzolaio-Pievani, Einaudi 2016) che anche oggi e sempre esce da una patria e affronta l’ignoto per ricominciare in un’altra la costruzione di un futuro…
Infatti, “la nostra specie dimostrerà grandi flessibilità e duttilità, aprendosi alla vita in ogni contesto, costruendosi un confine di nicchia in ogni ecosistema” (pag. 8). E, aggiungiamo noi: varcando intrepida e curiosa ogni confine, terrestre o celeste che sia. Perché “il fenomeno migratorio umano resterà ancora collocato in un intervallo fra costrizioni e libertà dei singoli, dei gruppi e della specie” (pag. 129).
Utopie, si dirà. Vero, ma qualcuno le pensa in positivo, come il professor Umberto Campagnolo (1904-1976), filosofo, federalista, fondatore della Società europea di cultura e direttore della rivista internazionale Comprendre, che, un giorno, a Venezia, mi ha detto: “Utopia, lei dice? È, semplicemente, un progetto non ancora realizzato”.
Buon viaggio virtuale.
Ciao Shakespeare
La forza dei dialetti, o lingue locali, oggigiorno è spesso ignorata o misconosciuta, salvo eccezioni che ci sorprendono e ci convincono a usarli. Il bello è quando gli esempi positivi ci vengono dalla poesia. Vedi la traduzione in veneziano che ha realizzato Isabella Panfido sui famosi sonetti amorosi di William Shakespeare: è un lavoro che la studiosa e poetessa ha iniziato nel 2012 per le edizioni Santi Quaranta, e oggi è tornata su quei testi pubblicando una nuova versione con l’editore Ronzani.
Il passaggio dalla lingua del grande inglese a quella viva della Venezia d’oggi è un esempio di resilienza del patrimonio dialettale italiano qui messo alla prova; oltre, beninteso, alla vasta cultura della traduttrice-interprete: nativa veneziana, firma del giornalismo culturale, Isabella si è immersa nel linguaggio del passato, ne ha sondato l’anima (si tratta di sonetti d’amore dedicati da Shakespeare ad un giovane inglese del suo tempo, cioè il sedicesimo secolo) e ha sintonizzato la sua lingua materna con quella del Bardo.
Oggi, la forza del dialetto sembra quasi facilitata dal relativo declino dell’italiano, malmenato, semplicizzato cioè banalizzato sui social e purtroppo in tante cronache. Forse quelli che scrivono in italiano dovrebbero leggere di più i nostri poeti?
E se la sabbia celeste…
Ho sempre un occhio di riguardo per i sognatori e i visionari. Per esempio, la siccità che ci tormenta in pieno inverno con i livelli del Po e dei laghi che si abbassano pericolosamente, ha fatto ricordare all’Anonimo un romanzo pubblicato da Feltrinelli ormai tanti anni fa da un giovane autore italiano. Purtroppo, non ne ricordo il nome e il titolo del libro. Ma la storia è verosimile nella sua esagerata drammaticità (non per niente la fantascienza si chiama anche narrativa d’anticipazione, quasi avesse forza profetica).
In breve, l’autore racconta di una città del Sud che viene investita per giorni e notti da una pioggia di sabbia del Sahara: proprio quella che in certi giorni ricopre di un velo rossastro le nostre automobili nei parcheggi, moltiplicata però mostruosamente fino a accumularsi in dune urbane che sommergono e paralizzano totalmente la vita della città.
Questo tipo di narrazione si chiama distopia, fatta di fiabe negative direi, ma con una morale: l’ignoto è annidato nel futuro, e può esserci fatale. Come insegnava G. Rodari nella sua Grammatica della fantasia: “E se…?”
Io e l’alloro
(poesia)
Io ti guardo alloro del cortile, albero antico
della mia casa torinese; è tanto tempo
che sei vivo e cresci verso il cielo, mentre
io mi piego con le ginocchia piene di fatica,
e so che quando sarò alla mia riva
tu sarai vivo e darai amica
l’ombra, a chi arriva dopo di me
ad iniziare la salita verso il cielo.
Io sarò sempre con te, perché il vivo
che, come il nulla passa, anche lascia
quel suo tutto a far strada a chi verranno.
Lia Cucconi
Phos edizioni, Firenze 2009
Io sono molto preoccupata. La guerra e la siccità non mi fanno vivere. Una grande paura mi blocca e mi toglie ogni slancio.