Con questo articolo due giovani veneti incominciano per www.enordest.it il racconto del loro viaggio in Ucraina nei giorni del primo anniversario della guerra scatenata un anno fa dall’invasione delle forze armate della Russia. Luca Paglia, neolaureato in storia a Ca’ Foscari, e Stefano Pedrina, laureato in storia. E sono partiti in pullman per un lungo viaggio da Padova a Leopoli. Raccontano e documentano con le foto quello che hanno visto, quello che hanno sentito, quello che hanno capito di un paese in guerra, di un popolo aggredito e ogni giorno bombardato. Le paure, le speranze, ascoltando gli studenti, i docenti, i soldati, la gente comune. Muovendosi nelle vie di città martoriate nelle quali ogni casa porta le tracce della tragedia. Molte porte hanno appeso un nastro nero all’ingresso, la morte è già passata. La Pace sembra ancora un’utopia lontana.
In viaggio verso un mondo in cui la parola pace sembra svanita
Piove. Attraversiamo in piena notte il confine ucraino dal versante ungherese di Zàhony, stazione di frontiera adiacente al fiume Tibisco, di primaria importanza per la fornitura delle preziose merci europee. La sensazione che si prova è quella di entrare in contatto con un mondo dimenticato. Una realtà complessa da decifrare in particolare per noi occidentali. Confortati e talvolta viziati da uno “stile di vita” in cui vengono garantiti assistenza sociale, sicurezza e benessere. Diritti conquistati a caro prezzo in passato, che oramai diamo per scontati. Mentre alle porte orientali dell’Europa, a due passi dalla nostra “casa comune”, iniziano a venir meno. Rendendo il futuro incerto e accrescendo enormemente la cultura del sospetto e la depressione tra i popoli.
Niente pace ma tanta paura
È evidente dal comportamento austero del giovanissimo soldato armato di AK-47 che, entrato nell’autobus in cui viaggiamo, inizia a controllare con estrema cura i passaporti e i volti delle persone a bordo: «Dove sei diretto? Quali sono le tue intenzioni in Ucraina? Sei un turista?». Sembra essere alla ricerca di un indizio, di uno sguardo ostile, di una prova che determini quasi l’appartenenza al nemico. E ancora, lo si percepisce nella meticolosità con cui i suoi camerati ispezionano i bagagli di chi attraversa il confine. Aprono le valige, scartano i pacchi, prendono appunti su cosa viene trasportato. In autobus ci sono solamente uomini e donne anziane, mogli che ritornano con ciò che resta delle loro famiglie, ma il timore che possano esserci delle infiltrazioni è elevato. Non si possono fare eccezioni.
Al di là del confine
Oltrepassato il confine, gli Ucraini non sorridono, nessuno li accoglie a braccia aperte: si devono accontentare dell’inchiostro bluastro del timbro doganale e della bandiera “giallo-azzurra” fradicia di pioggia e ghiaccio, che e pende a peso morto nella notte senza vento. Piove a dirotto, e la Bezdorizhzhia, ovvero la stagione del “grande fango ucraino”, la stessa che impedì a Adolf Hitler di avanzare speditamente verso Est durante la seconda guerra mondiale. E questo sembra ormai essere l’ultimo temporaneo ostacolo all’intensificarsi delle ostilità nel paese.
Cercando la pace in una chiesa
Manca l’elettricità. Al di là dello scalo doganale si viene infatti inghiottiti dall’oscurità delle campagne, oggi quasi completamente al buio a causa degli imponenti attacchi russi alle centrali elettriche del paese. Fino all’alba, non sembra di trovarsi nel paese in cui si commettono le atrocità che ogni giorno vengono documentate dalle emittenti internazionali. L’inganno, tuttavia, viene in parte svelato alle prime luci, avvicinandosi ai centri abitati: ecco comparire i militari che pattugliano le strade incessantemente, mentre la parte della popolazione che non è fuggita o non si trova al fronte a combattere, si reca nelle chiese ‒ qui sempre affollate ‒ alla ricerca di conforto e di rifugio.
Molte case portano la bandiera Ucraina legata a un palo con un nastro nero, in segno di lutto
I reduci affollano le stazioni dei treni, principale punto di riferimento per gli spostamenti di uomini e armamenti diretti al fronte. Arrivati al deposito degli autobus di Leopoli i bagagli vengono scaricati a gran velocità, ma in tombale silenzio; subito dopo, tutti si mettono in cammino verso le loro abitazioni, ci si saluta appena. Nella terra dei girasoli, del cielo azzurrissimo e delle rondini, la pace sembra solo essere una parola impronunciabile, una condizione a cui nessuno sembra più essere abituato.
Racconto molto toccante. Leggendolo ti sembra di essere dentro il vostro viaggio. Aspetto il seguito…..
Racconto molto toccante. Leggendolo ti sembra di essere dentro il vostro viaggio. Aspetto il seguito…..