Due parole, ascoltate alla radio e due giorni dopo alla tv, mi hanno colpito: “dispersione scolastica”. La loro ripetuta e ravvicinata presenza nei media ne indicavano l’importanza. È l’abbandono della scuola dopo le elementari da parte di tanti ragazzi, un fenomeno che denuncia uno spreco nazionale di risorse umane, culturali e sociali; una perdita irreversibile grave, che porta all’instaurarsi di una vera e propria “povertà scolastica”; un disastro sociale e politico, una dissipazione di talenti potenziali. Resta una domanda: com’è stato possibile arrivare a questo vergognoso traguardo?
E dobbiamo almeno accennare all’altra dispersione, quella dei nostri giovani laureati che emigrano verso società più accoglienti, e purtroppo il loro è un viaggio di sola andata. L’eccezione di Ilaria Capua, che ha lasciato la California, conferma purtroppo la regola.
Da una dispersione all’altra: ecco quella dell’acqua, ovvero una vera e propria emorragia degli acquedotti nel settore pubblico, e i comportamenti supponenti nel privato. Sì, anche noi come singole persone siamo protagonisti, sia con l’azione, sia soprattutto forse, con l’indifferenza. Sprechiamo perché lo vogliamo?
E che dire di uno spreco strettamente domestico? I consumi lasciano dietro di sé dei rifiuti che spesso non sono da buttare. Detto in soldoni: mangiata la mela, le bucce sono ancora buone, e anche il torsolo. Disperdiamo enormi quantità di cibo nell’immondizia: pensiamo per un momento al pane, che si può utilizzare, cioè mangiare, anche raffermo.
Boccasette e il buio stellato
Il Po, per chi lo vive, o lo ha vissuto in gioventù, è una presenza che incanta quando non impaurisce, come fa sempre e ovunque la Natura. Alla fine del suo viaggio, dove incontra il mare, il grande fiume italiano si ramifica e i suoi rami formano il Delta padano, una realtà anfibia, spettacolare. Perché ne parlo qui? Perché l’altro giorno F., un nipote che sul Po ci vive, a Polesella, ha annunciato di aver preso una casa nel Delta, e precisamente a Boccasette.
Il sito è una minuscola frazione del comune di Porto Tolle (Rovigo) vicino al Po di Maistra, un villaggio inondato dalla luce dell’Adriatico, con spiaggia e tante “valli” intorno, cioè il contesto naturale e umanizzato, tipico e affascinante lembo di Veneto che è stato più volte narrato dal cinema e dalla letteratura.
Il nipote è entusiasta della casa, ben inserita nel paesaggio deltizio, e dello scenario “dove finisce il fiume”, come recita il titolo di un libro fascinoso del giornalista scrittore Sergio Garbato con Gabbris Ferrari e Orio Toso (1991). Per capire le genuine emozioni di F., basterà un solo particolare, che sa di amore e di poesia: “E poi,” racconta il nipote, quasi sorpreso, “alla sera, ci sono sempre le stelle a guardarci”.
Il serpente e la mangusta
Fingiamo, per un momento, di dover descrivere Putin e Zelensky a un bambino, semplificando molto ma non troppo, e usando i personaggi fiabeschi di Kipling. Il primo personaggio è detto lo Zar, e si comporta con la freddezza di un cobra; è una specie di dio della guerra che vive in un lussuoso palazzo regale, sempre vestito con giacca e cravatta, la sua divisa (il sangue e le rovine dei bombardamenti sono lontani, invisibili): attorno a lui, i servizievoli dipendenti, come avviene con i sole e i suoi satelliti, ascoltano questo Putin mentre governa l’assalto delle sue armate a un nemico chiamato Zelensky l’Ucraino, che è come la mangusta: in difesa e contrattacco contrasta coraggiosamente l’aggressore che la vuole divorare.
Lo Zar-Serpente comanda i ministri che lo ascoltano impietriti, seduti in semicerchio a doverosa distanza dal suo scranno, li separa uno spazio sterilizzato e invalicabile; l’altro, chiamato il Presidente ma anche il Nemico, è più giovane dell’aggressore, più emotivo, e veste da militare, in maglietta grigioverde e pantaloni mimetici, e sta con i suoi soldati, si mischia alla sua gente davanti alle case sventrate dai missili russi: da una parte l’isolamento aristocratico, dall’altra la condivisione popolare, il tutto sovrastato dalla Bestia della guerra affamata e cieca.
Fuori dalla metafora, il racconto kiplinghiano ha una conclusione, e non è favorevole al serpente.
Urlo
(poesia)
Il giorno del fidanzamento
empiva Livorno il vento.
Che urlo, tutti insieme,
dal porto, le sirene!
Tinnivano, leggeri,
i brindisi, cristallini.
Cantavano, serafini,
gli angeli, nei bicchieri.
Annina, bianca e nera,
bastava a far primavera.
Com’era capinera,
col cuore che le batteva!
Fuggì nel vento, stretta
al petto la sciarpetta.
In cielo, in mare, in terra
che urlo, scoppiata la guerra…
Giorgio Caproni
Da Segni di poesia lingua di pace, Manni editore, Lecce 2014
GRAZIE!
Purtroppo era tutto previsto, (vedi i 10 comandamenti).
Non desiderare la roba d’altri