“Urlando mi disse: ‘scaldati’. Il cuore mi palpitava. Mi sono scaldato, mancavano cinque minuti alla fine della partita e mi toccò Bettega da marcare non uno qualunque, di testa era mostruoso. Mi arrivò una gomitata sull’esofago che male! non respiravo. Mi si avvicina capitan Frosio che disse “se vuoi giocare in serie A devi usare i gomiti” Eseguii e Bettega si …incazzò”. Celeste Pin ama ricordare il suo “battesimo” nel calcio che conta.
16 dicembre 1979 stadio “Renato Curi” si gioca Perugia-Juventus
La squadra umbra sta vincendo per 1-0 con gol di Pablito Rossi. E vincerà quella partita. E’ più o meno lo stesso organico che l’anno prima aveva chiuso il campionato con zero sconfitte tanto da essere definita il “Perugia dei miracoli”, arricchita da un campione come Paolo Rossi. In panchina c’è ancora Ilario Castagner (morto pochi giorni fa), tecnico innovatore ed intelligente, l’uomo che riuscì a far cambiare ruolo ad un altro grandissimo del nostro calcio Gaetano Scirea ai tempi delle giovanili dell’Atalanta. In quella squadra che mette paura alle grandi ci sono due trevigiani provenienti dalle verdi colline della Marca, oggi terra di Prosecco, appunto Ilario Castagner da Vittorio Veneto e Celeste Pin da Colle Umberto.
Pin l’anno dei miracoli è alle giovanili ma si allena con la prima squadra: ci sono Bagni, Casarsa, Speggiorin capitan Frosio, Vannini.
Pin che ricordo ha del tecnico Castagner che è morto pochi giorni fa?
“Ho ottimi ricordi, arrivavo da Colle Umberto, lui mi faceva da padre. Mi allenavo in pianta stabile con la prima squadra mi fece esordire nel dicembre del 1979 poi purtroppo quel Perugia fu coinvolto nello scandalo scommesse del 1980, una brutta storia. Ma quella squadra era eccezionale”
Pin, tornando a Castagner, di lui si parla come un tecnico innovativo…
“Molto carismatico e aveva per noi giovani un occhio di riguardo. Innovativo? Assolutamente sì. Indubbiamente le sue idee le metteva a disposizione della squadra, insisteva molto sulle ripartenze, era meticoloso nella fase difensiva poi privilegiava il gioco di squadra. Se un difensore voleva sganciarsi poteva farlo però chiedeva di andarlo a coprire. Voleva equilibrio in tutte le zone del campo”.
Uno spogliatoio che funzionava benissimo….
“Avevo 17 anni e militavo in prima squadra. Ammiravo Pierluigi Frosio, era un uomo carismatico, quelle persone che ti danno fiducia e ti aiutano però dovevi metterti a disposizione. Oggi è diverso un giovane ha meno voglia di sacrificarsi, il calciatore è rappresentato dal procuratore, il calcio rimane sempre un gioco di squadra. Oggi i ragazzi sono viziati non conoscono l’umiltà. Un’altra persona meravigliosa che è mancata è il “Tigre Ceccarini”, grintoso e buono”.
Pin, la forza di quella squadra?
“Era un gruppo di amici un’amicizia che nasce nel campetto di casa o della parrocchia. La voglia di giocare di aggregazione e di stare assieme. Un modello in tutto e per tutto”.