Intervista all’avvocato Anna Maria Marin presidente onorario della Camera Penale di Venezia. “Gli avvocati penalisti stanno dalla parte dei diritti fondamentali della persona tutelati dalla Costituzione. La nostra missione è la garanzia dell’effettiva applicazione di questi diritti”. Non facile nel sistema italiano, dove i processi sono troppo lunghi, le carceri traboccano per un eccesso di applicazione della custodia cautelare e il “giustizialismo” diffuso tende ad ammantare di “vendetta” pene che dovrebbero avere come obiettivo il recupero sociale.
L’appello dell’avvocato Anna Maria Marin
L’avvocato Anna Maria Marin, mestrina, 60 anni, prima donna ad aver guidato la Camera Penale Veneziana “Antonio Pognici” per due mandati ed ora presidente onorario, rivolge un appello al ministro della Giustizia Carlo Nordio. “Nell’ambito di una iniziativa dell’Unione delle Camere Penali italiane, tenutasi a Venezia, l’allora procuratore aggiunto Nordio aveva firmato la nostra richiesta di separazione delle carriere dei magistrati. Adesso aspettiamo di conoscere se il Ministro opererà in questo senso, noi penalisti siamo pronti a collaborare”.
Avvocato Marin, lei è stata la prima donna presidente della Camera Penale Veneziana. Qual è il ruolo delle donne oggi in avvocatura?
“Le colleghe iscritte agli Albi sono in numero superiore ai colleghi, anche a Venezia. Il Consiglio Nazionale Forense tutela la parità di genere nei Consigli degli Ordini Avvocati con precise regole elettorali che la garantiscono. Gli avvocati penalisti continuano ad essere in prevalenza uomini, anche se sono in aumento le colleghe che calcano le aule delle udienze penali. Ciò che non premia ancora, invece, la competenza e le capacità delle colleghe, è il perdurante forte divario dei redditi professionali tra donne e uomini”.
Avvocato, quali sono i compiti della Camera Penale? Nello specifico qual è il ruolo, anche culturale, della Camera Penale Veneziana nel contesto di una delle città più importanti del mondo?
La Camera Penale Veneziana è impegnata sia nella tutela della funzione del difensore, sia nell’affermazione del diritto alla difesa, nel rispetto dei principi e delle norme costituzionali, dell’Unione Europea ed internazionali, con la finalità di una migliore giustizia penale, attenta alle esigenze del singolo e della collettività e all’indipendenza della giurisdizione. Costante è la promozione di iniziative culturali e di formazione, indispensabili a garantire il ruolo ed il prestigio dell’avvocato penalista. Venezia è sede di Corte d’Appello ed ogni iniziativa ricerca un respiro distrettuale, in stretta collaborazione con il consiglio dell’Ordine degli Avvocati, l’Unione delle Camere Penali Italiane e l’Unione delle Camere Penali del Veneto”.
Durante i suoi due mandati da presidente, quali sono le sfide che l’hanno più coinvolta?
“Ho sempre rivolto il mio sguardo in particolare verso i giovani colleghi, prestando una costante attenzione alle loro difficoltà per l’accesso e l’esercizio della professione, mi sono impegnata in iniziative volte alla preparazione professionale, al rispetto della deontologia, ma anche al superamento delle difficoltà quotidiane. Per questo ho cercato di avvicinare la Camera Penale al territorio e alle associazioni più attente alla tutela dei diritti fondamentali (in particolare, le associazioni di volontariato penitenziario come “Il Granello di Senape”), nella convinzione dell’importanza del ruolo sociale dell’avvocato. Ho promosso relazioni e collaborazioni con Servizi pubblici e istituzionali (dal Garante dei diritti delle persone private o limitate della libertà personale del Comune di Venezia all’Ufficio interdistrettuale di Esecuzione Penale Esterna), con l’obiettivo di un miglior assolvimento delle reciproche funzioni”.
La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha condannato più volte l’Italia per aver violato alcuni diritti fondamentali degli imputati, tra i quali la lunghezza dei processi
“Nel nostro sistema giudiziario, l’insufficienza di uomini e mezzi (magistrati, cancellieri, risorse strutturali e finanziarie) rallenta la definizione di ogni contezioso, in maniera endemica. Ma attenzione: un sistema giudiziario più veloce non è sinonimo, di per sé, di una giustizia più efficiente. Solo il rispetto delle regole e dei principi può evitare che da una giustizia lenta si approdi ad una giustizia frettolosa”.
Garantismo contro giustizialismo, in Italia sembra non si riesca a trovare una possibilità di mediazione. Qual è il ruolo giocato dai media?
“Ci sono principi di civiltà giuridica che qualificano lo stato di diritto e che dovrebbero governare ogni esternazione in materia di giustizia. Succede invece che, alla presunzione di innocenza, garantita sino all’esito di un giusto processo, si contrapponga un giudizio sommario basato sulle sole tesi dell’accusa. Assistiamo parimenti alla sostituzione della richiesta di una pena proporzionata al fatto e alla personalità dell’imputato, con l’invocazione di una pena esemplare per severità, perdendo di vista il fine costituzionale delle stesse pene che è quello del recupero e della riabilitazione. La stampa è spesso megafono a senso unico dei tifosi dell’accusa e di chi tifa per una certezza della pena, che assomiglia in realtà più alla vendetta che al recupero e rieducazione del condannato: va ristabilito un equilibrio, anche per il bene di una corretta informazione. L’avvocato penalista non ha dubbi: sta dalla parte della Costituzione”.
Avvocato, lei è un noto avvocato penalista, qual è la situazione attuale nelle carceri italiane? E nello specifico nelle carceri del nostro territorio?
“Il carcere in Italia è nuovamente sovraffollato, anche per un ricorso alla custodia cautelare ancora eccessivo, inoltre continuano a mancare opportunità di lavoro e istruzione nei regimi di detenzione, questo vale per tutti, ma soprattutto per chi è in esecuzione di pena, che dovrebbe essere contraddistinta da attività riabilitative. Il carcere è un coacervo di disagi e, di conseguenza, è una fabbrica di malessere, un luogo dove non viene adeguatamente tutelato il diritto alla salute, soprattutto psichica (causa del numero esponenziale di suicidi registrato nel corso dell’ultimo anno), e ad una relazione minimamente sufficiente con gli affetti familiari, in particolare per i detenuti che hanno figli minorenni.
Condizioni particolarmente difficili riguardano detenuti tossicodipendenti o stranieri irregolari, ma voglio sottolineare anche la sofferenza di soggetti “italianissimi”, che si trovano magari senza abitazione e senza lavoro, per i quali non sembra possibile costruire alcun progetto di recupero e viene addirittura negata l’applicazione delle misure alternative alla detenzione, non per un giudizio di demerito, bensì per mancanza di presupposti oggettivi. La situazione nelle carceri è precipitata nel corso della pandemia da COVID ed ora appare in fase di recupero, soprattutto all’interno di alcune strutture come la casa di reclusione di Padova e la casa di reclusione donne di Venezia, grazie anche al meritorio impegno di cooperative sociali, come Rio Terà dei Pensieri e Il Cerchio, che operano all’interno di quegli istituti”.
Attualmente in Italia la Giustizia è uguale per tutti? Quale accesso c’è al diritto alla difesa per le persone non abbienti? Come funziona il gratuito patrocinio?
“L’istituto del patrocinio a spese dello Stato assicura una difesa dignitosa ai moltissimi indagati/imputati senza o con minime disponibilità economiche, perché consente un rapporto fiduciario con il proprio difensore, al contempo attribuendo all’avvocato un doveroso, seppur minimo, riscontro economico per l’attività resa, indispensabile a realizzare l’esercizio della giurisdizione. Note dolenti: gli ostacoli all’accesso per molti stranieri, l’esclusione per chi si trova in condizione di reddito pur meritevole di considerazione (ad es: sopravvenuta disoccupazione, imponibile IRPEF annuo di poco superiore a 12.000 euro all’anno, etc) e, per gli avvocati, i lunghi tempi di attesa tra l’attività svolta e l’effettivo pagamento del compenso. Nel nostro ordinamento, merita un plauso il servizio alla giustizia reso da tanti colleghi anche con le difese d’ufficio, si tratta infatti di un contributo alla definizione dei processi tanto generoso quanto ineludibile”.
Talvolta lo Stato sembra muoversi con due pesi e due misure e non senza poche contraddizioni. Basti pensare agli sconti di pena o addirittura alla libertà concessa ad alcuni collaboratori di giustizia e di contro alle condanne (anche all’ergastolo) comminate al termine di processi fortemente indiziari in cui non viene presentata la prova regina della “pistola fumante”. Lei ci può aiutare a capire meglio i meccanismi della giustizia?
“Il cosiddetto collaboratore di giustizia non è tenuto ad un sincero ravvedimento, né ad astenersi da future condotte illegali, ma solo a dare un contributo dichiarativo al processo in cambio di cospicui sconti di pena. L’errore giudiziario trova senza dubbio più facile albergo nei processi indiziari, nonostante il principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio. Ma ciò di cui si parla troppo poco, e che a mio avviso deve molto allarmare, sono le odissee giudiziarie di troppi individui, con relativo calvario umano, personale e familiare, e lunghe custodie cautelari, da innocenti, come nel recente caso di un ex assessore comunale di Aosta conclusosi con assoluzione”.
Torna spesso al centro delle cronache il regime di detenzione riservato ai boss mafiosi in base all’articolo 41 bis dell’Ordinamento Penitenziario. Cosa pensa anche del caso di Alfredo Cospito, condannato al “carcere duro” per attentato allo Stato?
“Sulla vicenda di Alfredo Cospito e sull’art. 41 bis dell’Ordinamento Penitenziario vi è stata cattiva informazione e molta propaganda. Tacere all’opinione pubblica la realtà quotidiana di chi vive il cosiddetto “carcere duro”, in nome della lotta alla mafia, è pura strumentalizzazione demagogica. Impedire a un padre di abbracciare il proprio figlio, costringendo a colloqui in carcere, beninteso registrati, attraverso un vetro divisorio, può forse ritenersi strumento efficace di lotta alla mafia o, piuttosto, violazione di elementari diritti umani?”.
Avvocato, immagino che lei abbia incontrato qualche volta il dottor Carlo Nordio, quando era magistrato a Venezia. Se potesse incontrarlo ora che è Ministro della Giustizia, cosa gli chiederebbe?
“Ricordo che il dottor Carlo Nordio, allora Procuratore Aggiunto a Venezia, firmò, in mia presenza, la richiesta di legge di riforma costituzionale, di iniziativa popolare, per la realizzazione della separazione delle carriere, promossa dall’Unione delle Camere Penali Italiane e sottoscritta da oltre 70.000 cittadini italiani. Memore di quella firma, chiederei oggi al Ministro Nordio di impegnarsi per l’approvazione di tale legge, nella piena realizzazione dei principi del giusto processo ed in particolare della terzietà del giudice”.
Quali sono le difficoltà che i giovani incontrano all’avvio della professione di avvocato?
“E’ evidente la pauperizzazione della professione di avvocato, che costringe i giovani colleghi a modalità organizzative non consone alla delicatezza del ruolo, costretti, per mancanza di mezzi finanziari, a esercitare senza poter contare su uno studio legale, segreteria e supporto di collaboratori. Questa mancanza di reddito correlato all’esercizio dell’avvocatura, determina, tra i giovani, un preoccupante tasso di abbandono della professione, alla quale vengono preferite attività più sicure dal punto di vista economico, che permettano il sacrosanto diritto a “metter su famiglia”.
Qual è la missione dell’avvocatura per rendere migliore la società nel suo complesso?
“L’avvocato è per antonomasia il difensore dei diritti di tutti. Una società, che si voglia definire civile, non può fare a meno di un avvocato competente, indipendente e impegnato nella tutela dei diritti fondamentali”.
*Avvocato Annamaria Marin
Classe 1962, maturità classica al liceo “Raimondo Franchetti” di Mestre, laurea in Giurisprudenza all’università “Alma Mater Studiorum” di Bologna, studio professionale a Padova e a Mestre; consulente del Centro Antiviolenza del Comune di Venezia ed oggi componente del Consiglio Direttivo del Centro Antiviolenza Telefono Rosa di Treviso, componente del Consiglio Direttivo e poi Presidente della Camera Penale Veneziana “Antonio Pognici” dal 2015 al 2019, ora ne è Presidente onorario e fa parte della Commissione Carcere della CPV.