Da qualche tempo, a livello globale, nel mondo del lavoro, si sta registrando una nuova tendenza, anche l’Italia sembra non volersi sottrarre. Stiamo parlando del fenomeno del boom delle dimissioni dal posto di lavoro. Il nostro Paese, nei primi mesi del 2022 ha contato circa 1,66 milioni di dimissionari, il 22% in più rispetto allo stesso periodo del 2021. E non solo dei contratti a termine non rinnovati. Si parla anche di lavoratori che lasciano il cosiddetto “posto fisso”, al fine di cambiare con un lavoro che meglio possa conciliarsi con la vita privata e personale. Infatti i giovani rivendicano retribuzioni più eque ed una maggiore attenzione verso i bisogni da parte di una classe sociale non vecchia ma allo stesso tempo già incanalata nel mondo produttivo, poco attenta anche alle richieste di maggior flessibilità degli orari. Ed è proprio questa mancata attenzione a spingere i giovani lavoratori della Generazione Z a dimettersi, facendo sapere che la loro priorità è la felicità personale e non il lavoro . Li spinge anche a reinventarsi in questo fenomeno attuale chiamato “Great Resignation”.
Come la pandemia ha influito
La pandemia e la conseguente situazione post covid hanno mutato notevolmente le esigenze familiari. La voglia di avere una vita non più solo in ufficio, ma anche il semplice aperitivo con gli amici dopo il lavoro, hanno preso il sopravvento sulla mentalità diffusa del rimanere dietro ad una scrivania 24h al giorno, 7 giorni su 7. La causa scatenante il fenomeno delle dimissioni è il divario generazionale che si fa sentire soprattutto, nel mondo del lavoro
Generazione Z e Great Resignation
Il fenomeno della “Great Resignation” consiste nel lasciare il proprio lavoro senza una alternativa concreta, a volte intraprendendo percorsi alternativi anche molto diversi dal proprio ambito di studio e professionale, ma in linea con i propri sogni. Le nuove generazioni, specie quelle nate dal 1990 in poi, non sono più disposte a barattare una retribuzione sicura con un lavoro non soddisfacente. I sogni sono fatti per essere realizzati e, forse, e la pandemia, lo ha fatto capire. Il lavoro non deve essere più visto come una tappa obbligata per poter vivere. Il lavoro deve essere visto come parte integrante e soddisfacente della propria esistenza.
Gli studi della Fondazione
Le professioni con il maggior numero di dimissionari secondo la Fondazione studi Consulenti del lavoro, sono quelle più qualificate: medici, ingegneri, architetti ma anche informatici e commercialisti. Tutti professionisti che si lasciano alle spalle un ruolo di rispetto per inseguire e cogliere nuove opportunità. Per reinventarsi. Secondo gli studi effettuati dalla Fondazione, tra giugno e settembre dello scorso anno si sono dimesse 562.258 persone di cui 317.734 uomini e 244.524 donne. E la motivazione è sempre una: la voglia di reinventarsi. Coloro che sono spini da questa necessità riconoscono di essere nati e cresciuti seguendo un dettame logico: scuola, università, master e lavoro. Un dettame che seguirebbe binari posti da generazioni che non avrebbero mai dato spazio ai loro sogni. Si è sempre sentita la necessità di vivere per lavorare senza dar peso alle proprie attitudini e alle proprie aspirazioni.
Il covid ha avuto il suo peso sulla Generazione Z
Poi su questi binari, è improvvisamente crollato un masso gigante, il covid, che ha costretto ad arrestare la corsa. L’essere rimasti chiusi in casa per mesi e mesi, tra quattro mura e con un pc, ha fatto cadere quella coltre robotica e questo fenomeno del boom di dimissioni ne è la prova..