Arriva sempre di corsa, Matteo Corradini. Carico di libri (c’è sempre un libro da presentare), di zaini, d’entusiasmo. Ha l’aria giovane, credo gli resterà in eterno, l’aria di chi ci crede. E ti abbraccia con forza. Se non esistesse già, una persona come lui bisognerebbe inventarla. Ormai da decenni, si occupa di rendere accessibili al grande pubblico, soprattutto alle giovani generazioni, tematiche complicate come la mistica ebraica e la Shoah. I suoi testi, in particolare rivolti ai ragazzi, sono pubblicati in Italia, Germania, Stati Uniti, Spagna. Ha collaborato per diversi anni a Popotus, inserto di “Avvenire”, prepara reading musicali, regie teatrali, progetti di didattica della memoria.
Il primo incontro con Corradini
Ricordo ancora il nostro primo incontro, in un pomeriggio d’inverno lagunare all’Ateneo Veneto: nell’Aula Magna, parlava del ruolo delle donne nella Shoah, ed era come fare la conoscenza di persone vive: una cartolina d’amore, il ricordo di una canzone a dare forza, un volto improvvisamente familiare. Così è iniziata la mia scoperta di questo personaggio, ormai caro; come se tutti i miei tentativi di raccontare, di dare memoria trovassero una conferma nel suo viaggio continuo, pervicace, convinto.
Chi è Corradini
Nato a Borgonovo Val Tidone, nel piacentino, a metà di aprile del 1975, Matteo – dottore in Lingue e Letterature Orientali, con specializzazione in lingua ebraica – è giornalista e scrittore. Per alcuni anni, ha insegnato come docente a contratto all’Università “Metodi e tecniche del gioco e dell’animazione”. Nel 2001 ha conseguito il premio Benassi come migliore giovane giornalista dell’Emilia Romagna, nel 2004 il premio nazionale Alberto Manzi per la miglior opera educativa per ragazzi, nel 2018 il Premio Andersen.
Ha un curriculum importante, ma gli interessa altro: il viaggio per il viaggio, sia un paese di qualche migliaio di abitanti o un importante Istituto Italiano di ricerca all’estero, sempre a raccontare, a coinvolgere ragazzi, a smontare pregiudizi radicati nell’immaginario. Il nostro ultimo incontro, benedetto dalla pioggia incessante, a Verona, alla Gran Guardia, per presentare insieme una delle sue ultime fatiche, Tu sei memoria, appena uscito per i tipi di Erickson: un testo di didattica, percorsi su ebraismo e Shoah alla scuola primaria.
Per ribadire ciò che ai piccoli, troppo piccoli, ancora non va detto (l’orrore delle camere a gas, lo sterminio), ma per definire invece itinerari di condivisione e di conoscenza: chi è l’ebreo? Lo sapreste descrivere? Perché ogni tanto qualcuno viene isolato dal gruppo? Come possiamo, invece, vivere bene insieme? Domande fondamentali, su cui anche i docenti vengono chiamati a ragionare, con venti proposte di attività da elaborare con gli alunni.
Corradini, come fare?
«Fare memoria è qualcosa di pragmatico, la memoria va applicata – mi suggerisce Corradini – è fatta di corpi reali, di storie vere. Se resta solo nei pensieri, nemmeno esiste».
Sono le storie che lo abitano, forse, a spingerlo lontano da casa, alla ricerca di un contatto, specie con i più giovani
«Sai, quando penso a tutto quello che resta da fare, mi prende una sorta di ansia felice …» Sorride, e in quell’ansia felice (che prende anche me, quando penso di essere sulla strada giusta) rivedo i chilometri macinati, da Borgo Val Tidone alla Francia, alla Germania, ai paesi italiani dove un ebreo forse non l’hanno mai conosciuto, alle città dove li hanno sentiti nominare, «quei tizi strani con la kippà», ma forse, chissà, sono tutti morti. Penso ai bimbi di una scuola elementare di Milano, che mi hanno stretto forte la mano – quando li ho accompagnati in sinagoga a Venezia – pensando che avrebbero trovato solo fantasmi.
Corradini di cosa parla?
Matteo Corradini parla di vita, di gente viva; dolci tradizionali da cucinare insieme e copricapi da costruire. Nel 2017, ha curato la nuova edizione del Diario di Anna Frank, con la traduzione di Dafna Fiano, ed è un inno al futuro, al di là del male. Un’arma luminosa e formidabile: il 26 ottobre di quell’anno, ne ha letto uno stralcio prima della partita Juventus-Spal, contro il razzismo e l’antisemitismo. Forse una goccia nel mare, ma brillante. Poi, nel 2019, in occasione del novantesimo anniversario della nascita di Anna, ha organizzato in Campo di Ghetto Novo a Venezia, la lettura completa del Diario: 90 persone che si sono alternate al leggìo, per undici ore; l’ultimo turno è stato coperto da Ottavia Piccolo.
La ricerca su Terezin
Ci unisce anche una farfalla, la più gialla che si possa immaginare: dal 2003, Matteo fa ricerca sul ghetto di Terezin, il campo d’internamento e deportazione a 60 chilometri da Praga, con una fortissima presenza di bambini. Presentato dalla propaganda nazista come insediamento esemplare, Terezin in realtà era luogo di raccolta e smistamento di prigionieri da indirizzare ai campi di sterminio di Treblinka ed Auschwitz. Sono passati di lì intellettuali, pittori, scrittori e musicisti: Corradini ci ha riportato da laggiù oggetti che parlano, soprattutto strumenti musicali, fino a fondare nel 2013 il Pavel Žalud Quartet, nel 2015 la Pavel Žalud Orchestra e il Pavel Žalud Trio. Storia di tredici strumenti musicali di marca Žalud, realizzati in quell’ombra; un violino, quattro clarinetti, un oboe, un flauto traverso, due ottavini, un mandolino, un basso tuba, una tromba, una tambura. Quasi il farli suonare, di nuovo, contasse di più che elencare i morti.
Ecco, per questo autore viandante, la memoria è – da sempre – legata al desiderio. Di una grande farfalla gialla, più grande dell’orrore
«Ogni volta che incontriamo ragazze e ragazzi più giovani di noi, ogni volta che lavoriamo come scrittori e insegnanti – ha scritto Corradini in Tu sei memoria – viviamo la sensazione di leggere nel futuro, di vedere nel domani. Ci sforziamo, a volte con fatica e a volte con frutti meravigliosi, di decifrare quello che sarà il desiderio più autentico di una persona (…) Educare è forse trasmettere uno struggimento, e l’azione dell’educare è forse legata alla presenza sul nostro futuro di un’impazienza comune, che è della persona educata ma è pure della persona che educa. Insomma, un desiderio che unisce. Il desiderio è collettivo».
Per Corradini una strada difficile
Eppure, la strada è difficile, irta di difficoltà. Non fila sempre tutto liscio. Ho chiesto a Matteo, alla Gran Guardia, cosa lo spinga, sempre, a procedere, anche controvento. Sospetto sia la sua capacità di ascolto costante, unita ad una dirompente autoironia. Mi ha confessato che, sulla scrivania, a casa, tiene un paio di occhiali neri finti, cui sono attaccati un naso di plastica e due baffi neri posticci. Una maschera da Groucho Marx, per non prendersi troppo sul serio.
Tuttavia, anche per queste parole di Groucho, vere e serissime
«La prima cosa a sparire, quando un paese viene trasformato in uno stato totalitario, sono i comici …»
La memoria, tuttavia, può anche essere piena di rimorsi per Corradini. Per quello che si sarebbe potuto fare e non si è fatto; persino perché si è ancora vivi
«E ci sono dubbi, nel viaggio, ci sono ferite», mi ha risposto Corradini, con sincerità. «Eppure ci proviamo, continuiamo a provarci. Magari ci sbagliamo, e ritentiamo. Sbagliamo di nuovo, ma meglio di prima … e ogni volta cerchiamo motivazioni valide, non tanto per chi ascolta, ma per noi stessi, per proseguire. Che ci tengano a testa alta, nonostante tutto».
Comprendo, è l’ansia felice a prevalere, in ogni caso.